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  Ugo Foscolo: Gli studi sul Foscolo

Nella prima metà dell’Ottocento il Foscolo ebbe grandissimi ammiratori ed estimatori, ma anche grandissimi denigratori. I giudizi su di lui erano fortemente condizionati da ragioni morali e politiche e perciò non sempre sereni dal punto di vista estetico. Questo vale tanto per gli estimatori che per i denigratori. In linea di massima gli furono ostili i cattolici ed i neoguelfi, favorevoli i  laici e democratici. Fra questi ultimi si annovera il Manzoni, che vide nel Foscolo un maestro della coscienza risorgimentale e lo definì «per acume d'ingegno, filosofia di pensiero, e potenza d'espressione a null'altro secondo; per nobiltà di cuore, e indipendenza di vita, primo».

Nella seconda metà dell’Ottocento è notevole il saggio che dedicò al Foscolo il De Sanctis in occasione del rientro in patria delle ossa del Poeta. Il critico irpino per primo inquadra il Foscolo storicamente, mette in luce il contributo da lui dato all’ansia di rinnovamento proprio della sua età, chiarisce il rapporto fra il Foscolo e l’Alfieri, illustra il carattere romantico della sua arte, e riconosce infine che il Foscolo è «il primo fra i critici italiani che considera un lavoro d'arte come un fenomeno psicologico e ne cerca i motivi nell’anima dello scrittore e nell'ambiente del secolo in cui nacque». Per il De Sanctis il culmine della poesia foscoliana è dato dal carme “Dei Sepolcri”, l'opera della piena maturità artistica, che dà l’avvio non solo ad un profondo rinnovamento della poesia, ma anche alla riscoperta ed al rilancio della coscienza nazionale: «...questa prima voce della nuova lirica ha non so che di sacro, come un Inno: perché infine ricostituire la coscienza è ricostituire nell'anima una religione». Le “Grazie” indicano invece il declino dell’entusiasmo spirituale del Foscolo e si riducono a rappresentare «l'ultimo fiore del neoclassici­smo italiano».

Molte delle intuizioni desanctisiane  hanno resistito  e tuttora resistono nella tradizione della critica foscoliana, ma è stato Euge­nio Donadoni a darci un primo saggio veramente analitico sulla personalità del Foscolo. Il pregio maggiore di questo saggio consiste nell’aver individuato l’intimo contrasto tra intelletto e sentimento, tra materialismo illuministico e idealismo romantico, ma soprattutto nell’avere stabilito con chiarezza la differenza fra il classicismo del Foscolo, che “è abito spirituale” e quello del Monti e degli altri poeti della scuola neoclassica, che è invece convenzionale. Questo giudizio fu in seguito ripreso e approfondito da altri critici valorosi, fra i quali il Citanna e il Manacorda.

Più di recente il  Fubini  ha condotto un’indagine più organica sulla personalità e l’arte del Foscolo, chiarendo che non si può parlare di un suo pensiero originale e che bisogna individuare il fondamen­to della sua poesia nelle contraddizioni della sua vita sentimentale.

Il Russo ha messo in luce la continuità della poesia dei “Sepol­cri” e quella delle “Grazie”, le quali, a parer suo, hanno anch’esse una intrinseca “politicità” in quanto ripetono i miti dell’amore, della patria, della bellezza, della caducità della vita, anche se innal­zati in un’atmosfera di superiore armonia.

Per Francesco Flora il culmine della poesia  foscoliana è rappre­sentato piuttosto dalle “Grazie” che dai “Sepolcri” in quanto è nelle “Grazie” che il Poeta realizza compiutamente la sua aspirazione arti­stica di calare nella grazia del mito il suo mondo morale e sentimentale.

Copyright © 1999 Luigi De Bellis