ALTRI
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Rappresentano quindi un inno alla Grazia
ed alla Bellezza
e, ricche come sono di quadri mitologici, rientrano nel gusto della poesia
neoclassica. La prima ode è di stampo montiano e, partendo da un fatto di cronaca, si libra poi nelle sfere della mitologia, senza però conferire alle immagini quell’alito vitale che solo può fare poesia. E' insomma un’ode piuttosto impersonale, di eccellente resa pittorica, ma priva di un palpito sincero, capace di soddisfare l’orecchio e l’immaginazione, ma non il cuore. La seconda invece è più sentita, più rispondente ad un’autentica esigenza dell'animo del Poeta, e perciò più viva, più poetica. L’occasione per la prima ode fu
data dalla caduta da cavallo, durante una partita di caccia, di una nobile
donna genovese, che riportò ferite deturpanti al volto. L’incidente
avvenne a Genova, nel marzo del 1800, e fece scalpore negli ambienti
aristocratici della città, suscitando emozione in non pochi poeti. Le Grazie apprestino
per la nobildonna
infelice i balsami che porsero a Venere quando, per soccorrere il
giovinetto Adone, fu punta ad un piede da una spina. Ora le danze nelle
case signorili sentono la mancanza della dolce creatura, cui la chioma
disciolta arrecava dolce impaccio, rendendola simile a Pallade che,
immersa nelle acque, trattiene con la mano i capelli liberatisi
dall’elmo. Ma perché la donna ha voluto seguire le arti virili di
Marte, anziché quelle delle Muse? Il cavallo, indocile al freno di una
donna, scalpita, prende il via, aumenta sempre più l’andatura e
affronta impavido le onde del mare. Ma Nettuno lo respinge: atterrito, il
cavallo torna indietro, si impenna, disarciona l’amazzone e la trascina
per lungo tratto insanguinata e dolente. Muoia chi per primo osò affidare
“a infedele corsiero / l’agil
fianco femineo! ” Anche Diana fu scaraventata in un precipizio
quando le cerve che trasportavano il suo cocchio divennero furiose per gli
ululati delle fiere: gioirono
le dee dell’Olimpo quando videro la rivale col volto deturpato,
ma poi tremarono, quando la videro tornare dalle “danze
efesie” più bella di prima. La seconda ode è invece dedicata ad Antonietta Fagnani Arese che, reduce da una grave malattia, tornò più lieta e più bella alla vita mondana. Il
Foscolo era stato legato alla Fagnani da una fosca passione che però,
nel 1803, era soltanto un ricordo. Perciò l’ode non risente per niente
del tumulto dei sensi ed erige un altare alla Bellezza che la poesia può
rendere divina. Come il pianeta Venere sorge
dall'oceano in compagnia del sole, tra le fuggenti tenebre, così il
divino corpo della donna sorge dal letto ormai guarito e rifiorisce in lei
«l'aurea beltade ond'ebbero /
ristoro unico a' mali / le nate a vaneggiar menti mortali». Le Ore,
che prima le somministravano le medicine, apprestino per lei ornamenti
leggiadri: ella tornerà alle danze e farà palpitare il cuore dei giovani
e trepidare quello delle fanciulle. Le Grazie guardino mestamente chi osa
ricordare alla donna che la bellezza è fugace: Diana, Bellona, Venere non
furono che donne mortali, ma la loro bellezza, cantata dai poeti, le
tramutò in dee. Ed anche la Fagnani, grazie al canto del Poeta, sarà
venerata come una dea dalle future donne lombarde. |
Copyright © 1999 Luigi De Bellis