Maria
Adele Garavaglia
Introduzione
ai
Promessi
Sposi
di
Alessandro
Manzoni
- tratto da: Antologia
da I Promessi Sposi,
Introduzione, scelta, commento e
apparato didattico, appendice critica
a cura di Maria Adele Garavaglia,
Mursia, Milano 1996
- edizione telematica, HTML,
impaginazione e revisione di Giuseppe
Bonghi
- La presente Introduzione può essere
riprodotta su qualsiasi tipo di supporto
magnetico, ma non su carta in qualsiasi
forma.
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Introduzione
Alessandro
Manzoni inizia a scrivere I Promessi
Sposi il 24 aprile 1821, mentre si
trova con la famiglia nella bella villa
di Brusuglio, immersa nella campagna, a
pochi chilometri da Milano.
Sono tempi difficili: in città la
polizia austriaca sta arrestando, uno a
uno, i patrioti affiliati alla società
segreta della Carboneria. L'anno prima
è stato arrestato Pietro Maroncelli e
ora sono in corso i processi nei quali
sono anche implicati i collaboratori del
Conciliatore, tra cui il
direttore del giornale, Silvio Pellico
(1789-1854).
Molti
di loro sono amici e conoscenti di
Manzoni che spera, nel suo rifugio, di
non essere coinvolto né chiamato a
subire estenuanti interrogatori .
Ha
con sé alcuni libri: le Storie
milanesi di Giuseppe Ripamonti
(1573-1643) e il saggio di Melchiorre
Gioia (1767-1829) Sul commercio di
commestibili e caro prezzo del vitto,
dove legge il passo di una grida
(legge emanata dal Governatore di
Milano, chiamata così perché veniva
gridata nelle strade da pubblici
ufficiali, al fine di informare i
cittadini, spesso analfabeti) del
Seicento, che commina pene severe a chi
impedisca la celebrazione di un
matrimonio.
Nell'arco
di quaranta giorni Manzoni stende di
getto l'Introduzione e i primi
due capitoli del romanzo che, in realtà,
sta enucleando nella mente da alcuni
anni e che rappresenta una vera e
propria sfida, per la sua novità
formale e di contenuto. Ricostruire il
processo di ideazione, stesura e
revisione di questo capolavoro significa
aprire anche uno spaccato sulla vita
culturale dell'Ottocento e calarsi in
quell'affascinante fase della cultura
italiana che segue e sorregge le prime
fasi del processo di unificazione
nazionale.
-
L'Illuminismo lombardo
Il
tardo Settecento è un momento
particolarmente felice per la vita
culturale di Milano: la Lombardia,
infatti, è passata nel 1713, con il
trattato di Utrecht, sotto il controllo
dell'Austria, liberandosi dal malgoverno
spagnolo. Sovrani aperti alle riforme,
come Maria Teresa e suo figlio, Giuseppe
II d'Asburgo, introducono innovazioni
che danno, nel decennio 1770-80, i primi
risultati positivi. Ricordiamo in
particolare l'istituzione del Catasto
geometrico della proprietà fondiaria
che pone la proprietà terriera su basi
sicure, regola il gettito fiscale,
accorda facilitazioni agli agricoltori
più intraprendenti, senza danneggiare
l'aristocrazia, che poggia la sua
ricchezza sul razionale sfruttamento
della fertile pianura Padana.
Gli
intellettuali, per lo più di estrazione
nobiliare o alto-borghese, sono chiamati
a collaborare: ricevono incarichi di
responsabilità e a volte sono
accreditati consulenti per migliorare la
legislazione e controllare l'opportunità
di scelte fondamentali, in ambito
monetario o nei rapporti commerciali.
Pietro
Verri (1728-1797) è un esempio
convincente di questa figura di
intellettuale calato nella vita civile:
chiamato a far parte nel 1770 della Giunta
per la riforma fiscale, ottiene
l'abolizione degli appalti privati nella
riscossione delle imposte. Come
presidente del Magistrato camerale
(l'equivalente della direzione
finanziaria), si sforza di riorganizzare
meglio l'apparato fiscale. Intanto si
diffondono in Europa nuove idee che egli
enuclea nelle Meditazioni
sull'economia politica (1771).
Il
movimento culturale dell'Illuminismo
(così chiamato perché gli
intellettuali confidano unicamente nel
lume della Ragione) nasce in Inghilterra
e si sviluppa rapidamente in Francia,
Italia e nel resto dell'Europa. Gli
illuministi esaltano una cultura
operativa, che propugna lo sviluppo
della scienza e delle tecniche.
Ricordiamo che l'opera più
significativa di questo movimento, l'Enciclopedia
(in 17 volumi pubblicati tra il 1751 e
il 1772, più altri volumi successivi di
tavole), riceve dai suoi ideatori e
organizzatori, Denis Diderot (1713-1784)
e Jean Baptiste d'Alembert (1717-1783),
un significativo sottotitolo: Dizionario
ragionato delle scienze, delle arti e
dei mestieri, da parte di
un'associazione di letterati. Ad
essa collaborano, con articoli e
interventi sulle varie voci, i nomi più
prestigiosi della Francia del tempo:
Voltaire (1694-1778), Jean-Jacques
Rousseau (1712-1778), Charles de
Secondat, barone di Montesquieu
(1689-1755), Claude-Adrien Helvétius
(1715-1771), Étienne de Condillac
(1715-80), Paul-Henry D'Holbach
(1723-89), il naturalista George-Louis
Buffon (1707-88), gli economisti Robert
Turgot (1727-81) e François Quesnay (
1694-1774).
Si
diffondono i giornali, sul modello dello
Spectator (1711) dell'inglese
John Addinson, strumento di informazione
destinato al largo pubblico, e dello
spregiudicato "Tatler"
("Il Chiacchierone") di
Richard Steele.
A
Milano questa cultura, proiettata verso
il progresso, attenta ai problemi
concreti dell'uomo, pronta a intervenire
nella gestione del pubblico interesse,
trova attenti interlocutori. Nasce, così
la Società dei Pugni e un
periodico, "Il Caffè",
edito dal giugno 1744 al maggio1766. Si
distinguono, per impegno e numero di
interventi, i fratelli Pietro e
Alessandro Verri (1741-1816), ma il
collaboratore più prestigioso è Cesare
Beccaria (1738-1794), l'autore di un
vero best-seller, il trattato Dei
delitti e delle pene (1764) in cui
dimostra l'inefficacia della pena di
morte e delle torture nella prevenzione
dei delitti.
-
Il Romanticismo
Il
Romanticismo entra in Italia attraverso
la garbata mediazione di una grande
"operatrice culturale", madame
de Stäel (1766-1817). Il suo articolo, Sulla
maniera e l'utilità delle traduzioni,
esce nel gennaio del 1816 sulla Biblioteca
italiana, periodico milanese
promosso e divulgato a cura del governo
austriaco.
La
scrittrice francese invita gli italiani
ad aprire i propri orizzonti, a guardare
anche alla produzione d'oltr'Alpe e, in
particolare, agli sviluppi della cultura
in Inghilterra, Germania e Francia, dove
ormai si sta diffondendo il Romanticismo.
Subito si infiamma il dibattito fra i
critici della proposta della Stäel e i
suoi sostenitori, come Pietro Borsieri
(1786-1852), autore dell'articolo Intorno
all'ingiustizia di alcuni giudizi
letterari italiani (1816) e Ludovico
Di Breme (1780-1820) che scrive Avventure
letterarie di un giorno (1816), ma
non mancano in primo piano gli amici del
Manzoni, come Ermes Visconti e Giovanni
Berchet. Questi, nella Lettera
semiseria di Giovanni Grisostomo
(dicembre 1816), elabora il manifesto
del Romanticismo italiano. In tono
elegante e vivace polemizza contro i
classicisti, che ripetono sempre gli
stessi moduli poetici, imitando i
modelli antichi, fanno della poesia
mezzo di diletto, piuttosto che di
educazione, ignorano il sentimento, si
rivolgono a una categoria ristretta di
"addetti ai lavori".
Invece
il Romanticismo propugna un'arte diretta
a un ampio pubblico borghese, mira a
riprodurre i problemi degli uomini,
calati nella realtà, si propone una
funzione importante, perché vuole
educare le menti e i cuori.
Anche
Alessandro Manzoni vi aderisce con
entusiasmo, ma non si pronuncia per
iscritto. Conosciamo le sue idee sul
questo movimento dalla lettera Sul
Romanticismo, inviata al marchese
Cesare D'azeglio nel 1823 e pubblicata
senza il suo consenso nel 1846. Egli
ritiene assurdo l'uso della mitologia,
massicciamente presente nella poesia
neoclassica, perché crea una
letteratura d'evasione, elaborata
secondo l'imitazione acritica,
pedissequa e anacronistica dei classici.
Invece l'opera d'arte deve essere
educativa, cioè deve aiutare l'uomo a
conoscere meglio se stesso e il mondo in
cui vive. In questo testo Manzoni
elabora una formula che mette a fuoco la
sua concezione poetica: l'opera
letteraria ha «l'utile per iscopo,
il vero per oggetto e l'interessante per
mezzo».
È
questa un'affermazione non nuova nella
forma, ma certamente nuova nella
sostanza. L'utile coincide con la
moralità in senso cristiano ed è il
fine stesso della poesia tesa alla
formazione delle coscienze; l'interessante
viene a coincidere con la scelta stessa
dell'argomento da trattare, che deve
restare nell'ambito della meditazione
sull'uomo, sulla sua vita e sul suo
rapporto con la Divina Provvidenza;
mentre il vero coincide
con la ricerca del vero storico.
In
pratica considera il Romanticismo come
un rinnovamento dei moduli espressivi e
dei temi propri della letteratura, poiché
si indirizza a un pubblico vasto. In
modo particolare sottolinea le
peculiarità del Romanticismo
lombardo‚ che, erede
dell'Illuminismo, non lo sconfessa ma ne
approfondisce e sviluppa le tematiche.
Aperta all'Europa, Milano, ex capitale
della napoleonica Repubblica Cisalpina,
ospita intellettuali e periodici che non
intendono sconfessare la Ragione, ma,
semmai, vogliono affiancarle il
sentimento, per rendere più completa la
visione dell'uomo. In nome della Ragione
si cerca di svecchiare la letteratura,
liberandola da regole assurde, come le
tre unità aristoteliche, che hanno
condizionato la produzione teatrale
italiana sino al Settecento.
I
classici sono letti con ammirazione e
costante interesse, ma non più imitati,
perché l'opera d'arte nasce
strettamente congiunta con lo spirito di
un'epoca, che è irripetibile. Infine
anche la Religione è vissuta in
sintonia con il vaglio della Ragione.
L'esempio
più evidente delle strette
interrelazioni tra i due movimenti
culturali, in Lombardia, è proprio
Manzoni, un grande romantico, nipote di
un grande illuminista, Cesare Beccaria.
Ma c'è di più: il Romanticismo
lombardo porta avanti, senza
nasconderlo, un preciso intendimento
patriottico-risorgimentale che emerge
dalle pagine del periodico Il
Conciliatore.
È
un foglio azzurro che viene pubblicato
due volte la settimana a Milano, dal 3
settembre 1818 al 17 ottobre 1819: viene
sostenuto economicamente dal conte Luigi
Porro Lambertenghi (1780-1860) e dal
conte Federico Confalonieri (1785-1846),
che collaborano anche con interventi
redazionali. Lo dirige il piemontese
Silvio Pellico e scrivono articoli
Giovanni Berchet, Ludovico Di Breme,
Pietro Borsieri, Ermes Visconti.
Collaboratori occasionali sono grandi
nomi dell'economia, come Melchiorre
Gioia, Gian Domenico Romagnosi
(1761-1835) e Giuseppe Pecchio
(1785-1835), storici come il ginevrino
Sismonde de Sismondi (1773-1842),
scienziati come il medico-letterato
Giovanni Rasori (1766-1837).
Manzoni
ne rimane estraneo, troppo assorbito
dalla sua attività creativa, che in
quegli anni è davvero intensa. Segue,
però, con attenzione e partecipazione,
condividendone il programma. Il titolo
del periodico, Conciliatore, non
è casuale: nasce dall'intenzione di
mettere in comune gli sforzi dei circoli
intellettuali milanesi per dare alla
letteratura forza ed efficacia, per
elaborare un valido progetto culturale,
sociale e politico: inevitabile, quindi,
proprio alla luce dell'evidente intento
patriottico, che intervenga l'occhio
vigile della censura austriaca, la quale
lascia ben poca vita al giornale.
L'impegno sociale del Conciliatore,
che mira alla «pubblica utilità»,
istruendo i Milanesi sulle innovazioni
che in Europa segnano il progresso in
tutte le branche del sapere (dalla
pedagogia all'agricoltura, dalle
istituzioni alla medicina, dalle scienze
naturali alle loro applicazioni
tecniche), lo pongono sulla linea del Caffè,
del quale, peraltro, i
"conciliatori" si considerano
eredi e prosecutori.
Naturalmente
il giornale si presenta come espressione
di una cultura italiana. Per
esempio, il problema della coltivazione
della vite in Toscana non risulta meno
interessante di quello dei bachi da seta
in Lombardia. C'è quanto basta per
indurre l'Austria a sopprimere il
giornale e costringere al silenzio i
collaboratori con l'intimidazione o la
deportazione: tra questi ricordiamo
Si