La
"Vita Nova"
Tra il 1292 e il 1293
Dante raccolse in un'operetta, che
intitolò "Vita Nova"(= vita
giovanile) un certo numero di rime (25
sonetti, 4 canzoni, una ballata ed una
stanza) a rievocazione del suo amore per
Beatrice. Le legò con brani di prosa
che valessero a spiegare l'occasione da
cui furono ispirate o a commentarle
secondo l'uso scolastico del tempo.
L'opera risultò così la storia (sia
pure romanzata) e l'idealizzazione
dell'amore di Dante per Beatrice. E'
divisa in 42 capitoli. Eccone la trama:
Dante all'età di nove anni vede per la
prima volta Beatrice, di un anno più
giovane, e resta incantato della sua
grazia e della sua bellezza. Nove anni
dopo la rivede ormai donna e se ne
innamora. Compone le prime rime per lei
tenendo però a tutti celata la identità
dell'amata. Un giorno, trovandosi nella
stessa chiesa ov'è Beatrice, non sa
staccare gli occhi dalla donna né
celare la propria emozione per tale
vicinanza. Ma fra lui e lei c'è
un'altra donna che ritiene rivolti a sé
gli sguardi amorosi di Dante. Così
pensano pure le altre persone che si
trovano vicine e ben presto si diffonde
in città la diceria che Dante sia
innamorato di tal donna. Dante
approfitta dell'equivoco lasciando
credere che le sue poesie amorose siano
rivolte proprio a questa "donna
dello schermo", ma quando questa si
trasferisce da Firenze e Dante inventa
una seconda donna dello schermo,
Beatrice gli toglie l' "amabile
salutare", considerando frivolo il
suo comportamento. Dante cade in una
cupa tristezza, ma si conforta scrivendo
ancora le "lodi" della sua
gentilissima. Dopo la morte di Beatrice,
Dante per un anno è afflitto da una
grave depressione, dalla quale lo libera
una "donna pietosa" di cui
Dante sta per innamorarsi. Ma Beatrice,
in sogno, lo richiama alla fedeltà
verso di lei e il Poeta decide di
dedicarsi completamente agli studi e di
non scrivere più di quella
"benedetta" fino a quando non
sarà in grado di "dire di lei
quello che mai non fue detto
d'alcuna". In questa promessa è
forse da vedere il primo proposito di
Dante di comporre la "Divina
Commedia" a glorificazione di
Beatrice.
La "Vita
Nova" è importante per varie
ragioni: perché documenta il tirocinio
artistico del Poeta, dai primi tentativi
fatti sotto l'influenza dei guittoniani
alla piena maturità; perché
rappresenta l'opera maggiore nell'ambito
del "dolce stil novo"; perché
presenta il primo autorevole esemplare
di prosa poetica in volgare.
Le
"Rime" o il
"Canzoniere"
Tutte le poesie
scritte da Dante e non incluse nella
"Vita Nova" o nel
"Convivio" (che, come vedremo,
contiene tre canzoni) furono dai posteri
raggruppate in un canzoniere. Esse
rappresentano momenti diversi
dell'esperienza artistica ed umana del
Poeta. Alcune sono di argomento amoroso
e sono rivolte a Beatrice o ad altre
donne; altre riguardano una donna dal
cuore di pietra (rime pietrose) che non
acconsentì all'amore di Dante; altre
sono di corrispondenza con amici poeti;
altre costituiscono la famosa
"tenzone" con Forese Donati;
altre infine sono di argomento
filosofico e morale e fanno presentire
il clima spirituale della "Divina
Commedia".
Il
"Convivio"
Il
"Convivio" fu composto tra il
1304 e il 1307 ed è un'opera dottrinale
che doveva essere di 15 libri (uno di
introduzione e 14 di commento ad
altrettante canzoni), ma che fu
interrotto al quarto libro (comprende
quindi il libro di introduzione e tre
libri di commento a tre canzoni:
"Voi che 'ntendendo il terzo ciel
movete", "Amor che ne la mente
mi ragiona" e "Le dolci rime
d'amor ch'i' solia").
Fu chiamato
"Convivio" perché voleva
essere un simbolico banchetto in cui le
canzoni rappresentassero le vivande e il
commento rappresentasse il pane. In
questa opera il poeta dell'amore per
Beatrice diventa il cantore della
rettitudine; al culto per Beatrice si
sostituisce l'interesse per un mondo
morale e politico rinnovato. In essa si
tratta di tutta la scienza del tempo e
l'autore attinge alla Bibbia, a
Cicerone, a Seneca, ad Orazio, a Boezio,
ad Alberto Magno, a San Tommaso ed ai
filosofi arabi. C'è inoltre gia
un'anticipazione del pensiero dantesco
circa 1'uso del volgare, tema che sarà
poi approfondito nel "De vulgari
eloquentia". Infine Dante afferma
che i sensi con cui interpretare le
scritture sono quattro: il letterale,
l'allegorico, il morale e l'anagogico.
Il letterale è quello legato al
significato della parola; l'allegorico
è quello che si nasconde dietro il
senso delle parole e dipende
dall'interpretazione simbolica delle
immagini (ad esempio la lupa della
Divina Commedia nel senso Letterale
signica "la lupa", nel senso
allegorico significa
"l'avarizia") il senso morale
è l'insegnamento che si deve trarre dal
senso allegorico; il senso anagogico è
quello che si ricava dalla narrazione di
un episodio di per sé vero ma che ha
anche un significato superiore (per
esempio la fuga dall'Egitto degli Ebrei
rappresenta la ricerca della libertà da
parte del popolo di Dio).
I1
"Convivio" è importante per
varie ragioni: perché lo scrittore
vuole acquistarsi fama di saggezza e
dottrina per favorire il richiamo in
patria da parte dei suoi concittadini;
perché apre la via del sapere, prima
esclusivamente degli ecclesiastici,
anche ai non dotti; perché rappresenta
il primo grande esempio di prosa volgare
scientifica e filosofica.
Il
"De vulgari eloquentia"
Quest'opera fu
scritta contemporaneamente al
"Convivio" ma in lingua latina
perché fosse letta soprattutto dai
dotti. Doveva comprendere quattro libri
ma fu interrotta al 14° capitolo del
secondo libro. Tratta dell'arte di dire
in volgare.
Dante ammette
l'origine divina del linguaggio e
afferma che mentre il volgare è una
lingua viva, parlata e perciò naturale,
il latino è una lingua fissata in
regole dai dotti e perciò
convenzionale. Quindi passa a trattare
degl'idiomi d'Europa e particolarmente
d'Italia. Le lingue d'Europa si dividono
in tre gruppi: quello
centro-settentrionale o germanico,
quello orientale o greco e quello
sud-occidentale o romanzo. Quest'ultimo
si divide in francese (lingua d'oil), in
provenzale (lingua d'oc) e in italiano
(lingua del si). La lingua del si a sua
volta si divide in 14 dialetti, 7 a
destra e 7 a sinistra degli Appennini.
Dante quindi si dà alla ricerca per
tutta l'Italia di un "volgare
illustre" e dice che lo sente in
ogni dialetto ma non lo trova
perfettamente in nessuno di essi.
Egli lo definisce
illustre poiché interessa le opere
d'arte; cardinale poiché gli altri
dialetti ruotano intorno ad esso; aulico
perché degno di essere parlato in una
corte se l'Italia l'avesse; curiale
perché la "curialità" non è
altro che la norma ben ponderata delle
cose che si debbono fare, la quale norma
trovasi solo nelle più eccellenti corti
e pertanto anche in quella corte ideale
costituita dai letterati italiani. I
quali, essendo l'Italia priva di una
corte unitaria, debbono riunirsi in una
corte "ideale" per elaborare
insieme il "volgare illustre"
italiano.
Nel II libro Dante
afferma che codesto volgare illustre si
addice, però, solo agli argomenti più
elevati, quelli cioè che trattano delle
virtù militari e morali e dell'amore, i
soli per i quali si conviene il metro
della canzone, della quale dà un esame
dettagliato. Inoltre distingue tre
"stili": quello tragico, ossia
elevato; quello comico, ossia mediano; e
quello elegiaco, ossia umile.
Gli errori
fondamentali della teoria di Dante sono
quello di concepire il latino come una
lingua artificiale e quello di dare
scarsa importanza all'uso vivo, popolare
della lingua. I pregi fondamentali sono
soprattutto quello del concetto che il
linguaggio si muta nel tempo e nello
spazio e quello della convinzione che
gli scrittori contribuiscono alla sua
formazione.
La
"Monarchia"
E' un trattato di
filosofia politica scritto in tre libri,
in lingua latina, tra il 1319 e il 1313,
in occasione della venuta in Italia
dell'imperatore Arrigo VII.
Nel primo libro Dante
dimostra la necessita dell'impero
universale, poiché esso solo assicura
giustizia e pace e permette il
conseguimento della felicità terrena.
Nel secondo libro afferma che l'Impero
romano assunse il potere universale per
volontà divina e perciò Roma ha il
diritto di continuare ad essere la
capitale dell'Impero universale:
infatti, lo stesso Dio, quando si incarnò
in Cristo, come uomo si sottopose alle
leggi dell'Impero di Roma (Augusto e
Tiberio). Nel terzo libro Dante affronta
il problema dei rapporti tra papa e
imperatore: egli afferma che entrambe le
autorità derivano il loro potere
direttamente da Dio e sono perciò
indipendenti l'uno dall'altro:
l'imperatore deve guidare l'umanità
verso la felicita terrena, mentre il
papa deve guidarla verso la felicita
soprannaturale.
Nella
"Monarchia" è racchiuso tutto
l'ideale politico di Dante,che abbraccia
l'intera società del genere umano,
ponendo nel suo centro l'Italia, da cui
si irradia nel mondo la luce del
diritto, che è la fonte primaria d'ogni
civiltà.
"Egloghe","Epistole","Quaestio
de aqua et terra"
Tra il 1319 e il 1321
Dante indirizzò due egloghe in latino,
ad imitazione delle "Bucoliche"
virgiliane, a Giovanni del Virgilio,
maestro dello studio bolognese. La prima
risponde garbatamente al rimprovero
rivoltogli perché spendeva tanti tesori
d'arte (Dante aveva già composto
1'"Inferno" ed il
"Purgatorio") usando il
volgare in luogo del latino che,a detta
del maestro, gli avrebbe potuto fruttare
l'incoronazione poetica. Dante ribatte
che desidera 1'alloro, ma che conta di
meritarlo appunto con la
"Commedia" in volgare. Intanto
gli fa dono dei primi dieci canti del
"Paradiso". Nella seconda
Dante ricusa l'invito di recarsi
all'università di Bologna e ringrazia
delle lodi espressegli.
Più importanti sono
le tredici Epistole, pure in latino,
alcune di argomento privato, come quella
celebre, all'amico fiorentino, del
rifiuto dell'amnistia che gli veniva
offerta in termini indegni per la sua
persona; altre riguardano la sua attività
artistica, come quella sulla Commedia
inviata a Cangrande della Scala; altre -
e sono le più notevoli - trattano
argomenti politici, come quelle scritte
in occasione della discesa in Italia di
Arrigo VII (una ai Signori d'Italia, una
ai Fiorentini, una allo stesso
imperatore e tre alla moglie
dell'imperatore, Margherita di Prabante).
C'è infine da ricordare la
"Quaestio de aqua et terra",
tesi filosofica letta a Verona nel
gennaio del 1320,in cui si afferma che
l'acqua nella sua sfera non può avere
in nessun punto un livello più alto
della terra emersa.