L'atteggiamento di Dante
di fronte alla vita reale era stato quello del censore, del giudice, del
moralista che mette a nudo i vizi dell' umanità, ne indica i rischi in
rapporto alla vita eterna, suggerisce i rimedi per il riscatto: Dante si
presentò come l'ultimo degli Apostoli di Cristo, se non addirittura come
un novello Messia di Dio. La sua coscienza, interamente calata
nell'ascetismo medievale, fu tetragona di fronte alle lusinghe del mondo.
Non così il Petrarca,
che certamente nutrì gli stessi propositi, come testimoniato dai
"Trionfi", ma non trovò la forza morale per perseguirli:
l'attrazione della terra fu in lui più forte di quella del Cielo ed egli
non seppe e non volle sottrarsi alle lusinghe mondane, sia pure con grave
tormento dell'anima. In effetti egli rappresentava inconsapevolmente
l'esaurimento di una ideologia tesa a negare ogni valore alla vita
terrena.
Il Boccaccio invece
rappresentò il superamento di questa ideologia. Per così dire, egli saltò
il fosso e aderì pienamente alla vita terrena così com'era. Per giungere
a tanto gli era bastato scrollarsi di dosso il peso della
"morale", la responsabilità del "giudizio" sui
pensieri, sulle passioni, sulle azioni degli uomini.
E' però da dire che il
suo atteggiamento nei confronti della vita terrena non maturo lentamente
attraverso un faticoso cammino della coscienza, attraverso una ricerca
filosofica, ma sorse per una genuina inclinazione del suo
"istinto" umano. E sotto questo aspetto coglieva
involontariamente il senso del nuovo corso della coscienza collettiva.
Come disse il De Sanctis, il "Decameron" "parve rispondere
a qualche cosa che voleva da lungo tempo uscir fuori dalle anime, parve
dire a voce alta ciò che tutti dicevano nel loro segreto... Il Boccaccio
fu dunque la voce letteraria di un mondo, quale era già confusamente
avvertito dalla coscienza". E il Cappuccio, commentando questo
giudizio, così scrive: "Il De Sanctis volle sottolineare la distanza
fra la concezione che ha il Boccaccio della realtà e quella che ne aveva
avuta Dante, e chiamò il "Decameron" la "Commedia
umana". E certo i personaggi e le vicende del "Decameron"
sono radicati sulla terra, nessuna provvidenza trascendente penetra in
quel mondo e ne regola il ritmo con una sua legge morale, i motivi
religiosi cari a Dante e al medioevo tacciono... La vita è guardata dalla
terra, non dal cielo: la forza che la domina è la natura con i suoi
istinti, ai quali appare vano ribellarsi".
Il Boccaccio fu dunque
antesignano di quella rivoluzione filosofica, religiosa, morale che
prenderà corpo nella concezione della vita che si dirà ''rinascimentale''
ma lo fu per istinto e non per conquista di natura culturale. Giustamente
osserva il Momigliano: "...rispetto all'umanesimo inteso come
movimento filologico e filosofico egli ha un'importanza assai minore del
Petrarca. Rispetto, invece, all'umanesimo inteso come atteggiamento di
coscienza, come mutamento del senso della vita, egli segna con il "Decameron"
un rivolgimento assai più evidente e più largo non solo della
"Divina Commedia" ma anche del "Canzoniere". Con il
"Decameron" la vita terrena diventa, senza forti attenuazioni e
turbamenti, il tema della poesia".