Il Boccaccio, come si è
visto, da giovane fece a Napoli esperienze non solo nel campo commerciale,
che poco lo attirava, ma soprattutto nel bel mondo della corte del dotto
re Roberto d'Angiò, ove poté soddisfare le sue esigenze intellettuali e
le sue giovanili ambizioni artistiche, oltre che appagare la nativa
esuberanza d'una cordiale adesione alla vita cortese e gaudente.
Ne ricavò un
atteggiamento di aristocratico distacco nella comprensione dei veri
problemi della realtà sociale e la tendenza al sogno ed al vagheggiamento
di riti classici e di nobili ardori.
Ma l'approccio con una
realtà ben diversa, più cruda e più prosaica, che dovette affrontare
dopo il fallimento del padre e il ritorno a Firenze, lo costrinse ad una
più realistica visione della vita: l'amore cortese, il sentimento
cavalleresco, la soave dolcezza delle Muse antiche divennero tutti
cittadini d'un mondo ormai passato e lontano, da conservare come un bene
prezioso e incorruttibile, ma non più attuale e soprattutto inadeguato
alla soluzione dei reali problemi esistenziali che gli si presentavano.
Fu dunque necessitato a
guardare il mondo con senso più obiettivo, più realistico, e si accorse
che esso andava in direzione opposta a quella che si era immaginata da
giovinetto, che esso riponeva le sorti del proprio destino nella ricchezza
materiale, nell'appagamento dei bisogni più naturali, nel godimento dei
piaceri mondani. In altre parole, che il mondo dei cavalieri aveva ceduto
il posto al mondo dei mercanti, che la grazia e la nobiltà dei sentimenti
avevano ceduto il passo alla furbizia ed alla malizia, così necessarie al
successo economico, alla conquista amorosa.
La sua maturità
artistica fu il frutto della sintesi di queste due cosi diverse
esperienze. Egli sentì di dover narrare la vita cosi com'era, come gli
scorreva dinanzi agli occhi, ma anche di dover conservare per sé
quell'aristocratico distacco, retaggio dei sogni giovanili, e quel tanto
di pudore sufficiente a non farsi coinvolgere nella volgarità della vita
reale. La quale, però, era quella vera e che proprio per questo andava
cordialmente accettata, non giudicata. E descritta con la simpatia di un
animo superiore ma non estraneo alla comune condizione dell'umanità.
Per questo il "Decameron"
risulta un grande affresco della società italiana, e particolarmente
fiorentina, del Trecento. In esso è significativa l'intuizione che
l'umanità va sempre più distaccandosi dall' idea dell'aldilà ed e
decisamente orientata a valorizzare la vita terrena e l'opera dell'uomo,
della quale si rivendica l'autonomia da ogni interferenza di natura
celeste. Ne consegue che la qualità umana più rilevante ed esaltata è
1' intelligenza, anche quando si degrada a furbizia, a qualsiasi fine sia
essa rivolta, indipendentemente dalla natura morale dei risultati
conseguiti, che possono essere nobili o volgari, onesti o disonesti. Nel
narrare la trovata di ser Ciappelletto, che da gran manigoldo che era
stato per tutta la vita, in punto di morte riesce a convincere il
confessore d'essere un santo (e come tale verrà venerato da tutta la
cittadinanza), pensando che il Padreterno, dopo i mille e mille affronti
subiti da lui, possa bene accettare anche questo, dato che, alla fin fine,
esso sarà veramente l'ultimo: nel narrare questa spassosima vicenda il
Boccaccio si diverte e si compiace col protagonista, non si scandalizza
per niente, perché il mondo va così ed è forse naturale che vada nel
senso voluto dai furbi anziché in quello indicato dagli stolti. Quindi c'è
poco da scandalizzarsi se, chi ce l'ha, sfrutti la propria intelligenza a
scapito degli stupidi, sia se c'è in ballo un profitto economico che se
si tratti di conquistare una donna, di spuntarla sulla più accanita
difesa della propria castità. E 1' amore è l'altro aspetto dominante
della vita dell'uomo, quale che sia la sua natura, platonico e sensuale,
rasserenante o sconvolgente, segnato da una tragica fedeltà o da una
infedeltà comicamente disgustosa.
Questi aspetti naturali
dell'esistenza umana vengono dal Boccaccio calati in vicende e personaggi
concreti realisticamente descritti con analisi minuziose o semplicemente
abbozzati, ma sempre con un eccezionale acume psicologico.
La vasta galleria di
personaggi del "Decameron" comprende una gran varietà di
esemplari umani: il ricco e il povero, il nobile e il plebeo, l'antico
"cavaliere" e il moderno "trafficante", il saggio e
l'insipiente, il furbo ed il gonzo. Tutti fanno parte del mondo e perciò
hanno diritto alla comprensione dell'uomo ed al rispetto dell'artista.