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Nel 1506 si dedicò con grande passione alla difficile questione del riordinamento delle milizie fiorentine, e sulla fine dell’anno quando venne istituito l’ufficio dei Nove dell’ordinanza e della milizia ne fu nominato cancelliere. Alla fine del 1507 andò presso l’imperatore Massimiliano I, alla cui corte già si trovava in qualità di ambasciatore di Firenze Francesco Vettori: soggiornò specialmente in Svizzera e Tirolo e dalle osservazioni sui costumi tedeschi ricavò l’acuto Rapporto delle cose d’Alemagna, rielaborato poi nel 1512 nel Ritratto delle cose della Magna. Presso l’imperatore stette sino al giugno 1508. Nel 1509 presente alla resa di Pisa fu tra coloro che sottoscrissero l’atto di sottomissione; si recò poi a Mantova e a Verona dopo la disfatta di Agnadello in legazione presso l’imperatore Massimiliano. Frattanto, poiché la svolta della politica di Giulio II in senso antifrancese rendeva estremamente precaria la posizione di Firenze, il Machiavelli partì per la Francia con incombenze diplomatiche assai delicate: due furono allora le sue legazioni, la prima nel 1510 e la seconda nel 1511. Il 16 settembre 1512 i partigiani dei Medici occuparono il palazzo della Signoria e la repubblica cadde. Il Machiavelli fu naturalmente coinvolto nella reazione che seguì: non solo venne allontanato dai suoi uffici, ma sospettato di complicità nella congiura di Pietro Paolo Boscoli nel febbraio 1513 fu per breve tempo imprigionato. La sanzione ultima fu di lì a poco la condanna al confino: si ritirò allora nella sua casa dell’Albergaccio a Sant’Andrea in Percussina presso San Casciano, occupandosi dell’amministrazione del piccolo patrimonio familiare, ma intanto dalla corrispondenza con gli amici e specialmente con Francesco Vettori cercava di avere notizie della vita politica, che restava pur sempre la sua passione, e soprattutto si dedicò nel raccoglimento e nello studio a comporre le opere nelle quali il suo pensiero si spiega in sintesi luminosa. Divenendo il confino progressivamente meno rigoroso il Machiavelli poté recarsi di tempo in tempo a Firenze, dove frequentò anche le riunioni degli Orti Oricellari. Nel novembre 1520 venne stipendiato per due anni per scrivere la storia di Firenze. L’anno seguente fu mandato a Carpi presso il capitolo generale dei frati minori che Firenze voleva staccare dagli altri confratelli, e da quell’ufficio di scarso rilievo trasse spunto un interessante carteggio col Guicciardini che si trovava allora a Modena. Tornato a Firenze il suo maggiore impegno fu attendere a scrivere la storia "a fiorini di suggello", ma le vicende private di quegli anni non ci sono in tutto note: certamente non subì persecuzioni per la congiura del 1522 contro il cardinale Giulio de’ Medici, alla quale parteciparono alcuni dei frequentatori degli Orti Oricellari; sappiamo che in quel periodo si colloca l’amore per una donna fiorentina, la Barbera, recatosi espressamente a Roma nel maggio 1525, a Clemente VII, al quale, durante il soggiorno romano, il Machiavelli propose anche di tentare in Romagna un arruolamento conforme a quello da lui sperimentato con l’"Ordinanza della milizia". A tal fine fu mandato presso il Guicciardini, allora presidente della Romagna, ma questi giudicò irrealizzabile il piano dell’amico. L’anno seguente nell’imminenza della guerra tra la lega di Cognac e Carlo V ebbe finalmente una mansione politica importante: fu nominato provveditore e cancelliere dei Procuratori delle mura, una magistratura che avrebbe dovuto provvedere alla difesa di Firenze; e per ragioni del suo ufficio ebbe anche occasione di recarsi presso Giovanni dalle Bande Nere. Ma la sconfitta della lega e gli errori di Clemente VII determinarono nel 1527 la cacciata dei Medici da Firenze e la breve instaurazione della Repubblica. Invano sperò allora di avere un incarico nel nuovo governo: per l’età avanzata e soprattutto per essersi compromesso con i Medici fu lasciato in disparte e forse l’amarezza sofferta affrettò la sua fine: dopo breve malattia la morte lo colse il 21 giugno. |
Copyright © 1999 Luigi De Bellis