Giovanni Verga
I Malavoglia
Capitolo XIII
Padron Ntoni, come il nipote gli
arrivava a casa ubbriaco, la sera, faceva di tutto per mandarlo a letto senza che gli
altri se ne avvedessero, perché questo non cera mai stato nei Malavoglia, e gli
venivano le lagrime agli occhi. La notte, quando si alzava e chiamava Alessi per andare al
mare, lasciava dormire laltro; tanto non sarebbe stato buono a nulla. Ntoni da
prima se ne vergognava, e andava ad aspettarli sulla riva appena tornavano, colla testa
bassa. Ma a poco a poco ci fece il callo, e diceva fra di sé: - Così domani faremo
ancora domenica!
Il povero vecchio cercò tutti i mezzi di
toccargli il cuore e di nascosto gli fece persino esorcizzare la camicia da don Giammaria,
e spese tre tarì. - Vedi! Gli diceva, questo non cè mai stato nei Malavoglia! Se
tu prendi la mala strada di Rocco Spatu, tuo fratello e le tue sorelle ti verranno dietro.
«Una mela fradicia guasta tutte le altre», e quei soldi che abbiamo messo insieme con
tanto stento se ne andranno in fumo. «Per un pescatore si perde la barca», e allora che
faremo?
Ntoni restava a capo chino, o
brontolava fra i denti; ma lindomani tornava da capo, e una volta glielo disse: -
Che volete? almeno quando non sono più in sensi non penso alla mia disgrazia.
- Che disgrazia! Tu hai la salute, sei
giovane, sai il tuo mestiere, che ti manca? Io che son vecchio, e tuo fratello che è
ancora ragazzo, ci siamo tirati su dal fosso. Ora se tu volessi aiutarci, torneremo ad
essere quelli che eravamo, se non più col cuore contento, perché quelli che sono morti
non tornano più, almeno senza altre angustie; e tutti uniti, come devono stare le dita
della mano, e col pane in casa. Se io chiudo gli occhi come resterete voi altri? Adesso,
vedi, mi tocca daver paura, ogni volta che cimbarchiamo per andar lontano. E
son vecchio!...
Quando il nonno riesciva a toccargli il
cuore, Ntoni si metteva a piangere. I fratelli, che sapevano tutto, si
rincantucciavano, appena lo sentivano venire, come ei fosse un estraneo, o quasi avessero
paura di lui; e il nonno, col rosario in mano, borbottava: - O anima benedetta di
Bastianazzo! O anima di mia nuora Maruzza! fatelo voi il miracolo! - Come Mena lo vedeva
arrivare colla faccia pallida e gli occhi lustri, gli diceva: - Entra da questa parte, che
ci è il nonno! - E lo faceva entrare dalla porticina della cucina; poi si metteva a
piangere cheta cheta accanto al focolare; tanto che Ntoni disse alla fine: - Non
voglio andarci più allosteria, neanche se mammazzano! E tornò a lavorare di
buonavoglia come prima; anzi, si alzava prima degli altri, e andava ad aspettare il nonno
alla marina, che ci volevano due ore a far giorno, i Tre Re erano ancora alti sul
campanile del villaggio, e i grilli si udivano trillare nelle chiuse come se fossero lì
accanto. Il nonno non ci capiva più nella camicia dalla contentezza; andava
chiacchierando con lui onde provargli come gli volesse bene, e fra di sé diceva: - Son
lanime sante di sua madre e di suo padre che hanno fatto il miracolo.
Il miracolo durò tutta la settimana, e la
domenica Ntoni non volle nemmeno andare in piazza, per non vedere losteria da
lontano e gli amici che lo chiamavano. Ma si rompeva le mascelle a sbadigliare tutto quel
giorno in cui non aveva nulla da fare, e non finiva più. Oramai non era un ragazzo per
passare il tempo ad andare per le ginestre nella sciara, cantando come suo fratello
Alessi e la Nunziata, o a spazzare la casa come Mena, e nemmeno un vecchio come il nonno
per divertirsi ad accomodare i barilotti sfondati, e le nasse sfasciate. Egli restò
seduto accanto alla porta nella strada del Nero, che non ci passava nemmeno una gallina, e
sentiva le voci e le risate allosteria. Tanto che andò a dormire per non sapere che
fare, e il lunedì tornò a fare il muso lungo. Il nonno gli diceva: - Per te sarebbe
meglio che non venisse la domenica; perché il giorno dopo sei come se fossi malato. Ecco
quello che era meglio per lui, che non venisse mai la domenica! e gli cascava il cuore per
terra a pensare che tutti i giorni fossero dei lunedì. Sicché, quando tornava dal mare,
la sera, non aveva voglia nemmeno dandare a dormire, e si sfogava a scorrazzare di
qua e di là colla sua disgrazia, tanto che infine venne a capitare di nuovo
allosteria.
Prima, allorché tornava a casa malfermo
sulle gambe, si ficcava dentro mogio mogio, facendosi piccino e balbettando delle scuse, o
almeno non fiatava. Ma ora alzava la voce, litigava colla sorella se laspettava
sulluscio, colla faccia pallida e gli occhi gonfi, e se gli diceva sottovoce
dentrare dalla cucina che in casa cera il nonno. - A me non me ne importa!
rispondeva. Il giorno dopo si levava stravolto e di cattivo umore; e cominciava a gridare
e bestemmiare dalla mattina alla sera.
Una volta successe una brutta scena. Il
nonno, non sapendo più che fare per toccargli il cuore, laveva tirato
nellangolo della cameruccia, ad usci chiusi, perché non udissero i vicini, e gli
diceva, piangendo come un ragazzo, il povero vecchio: - Oh Ntoni! non ti rammenti
che qui cè morta tua madre? Perché vuoi darle questo dolore a tua madre, di
vederti fare la riescita di Rocco Spatu? Non lo vedi come stenta e si affatica la povera
cugina Anna per quellubbriacone di suo figlio? e come piange alle volte, allorché
non ha pane da dare agli altri suoi figliuoli e non le basta il cuore di ridere? «Chi va
col lupo allupa» e «chi pratica con zoppi allanno zoppica». Non ti rammenti
quella notte del colèra che eravamo qui tutti davanti a quel lettuccio, ed ella ti
raccomandava Mena e i ragazzi? - Ntoni piangeva come un vitello slattato, e diceva
che voleva morire anche lui; ma poi adagio adagio tornava allosteria, e la notte,
invece di venire a casa, andava per la via, fermandosi dietro gli usci, colle spalle
appoggiate al muro, stanco morto, insieme a Rocco Spatu e a Cinghialenta; e si metteva a
cantare con loro, per scacciare la malinconia.
Infine il povero padron Ntoni non
osava più mostrarsi per le strade dalla vergogna. Il nipote invece, per evitare le
prediche, veniva a casa colla faccia scura; così non gli rompevano la devozione con le
solite prediche. Già le prediche se le faceva da se stesso, a voce bassa, ed era tutta
colpa della sua disgrazia che laveva fatto nascere in quello stato.
E andava a sfogarsi collo speziale e con
altri di quelli che avevano un po di tempo per chiacchierare dellingiustizia
sacrosanta che ci è a questo mondo in ogni cosa; che se uno va dalla Santuzza, per
dimenticare i suoi guai, si chiama ubbriacone; mentre tanti altri si ubbriacano a casa di
vino buono non hanno guai per la testa, né nessuno che li rimproveri o faccia loro la
predica di andare a lavorare, giacché non hanno nulla da fare, e son ricchi per due;
eppure tutti siamo figli di Dio allo stesso modo, e ognuno dovrebbe avere la sua parte
egualmente. - Quel ragazzo lì ha del talento! diceva lo speziale a don Silvestro, e a
padron Cipolla, e a chi voleva sentirlo. - Vede le cose allingrosso, così alla
carlona, ma il sugo cè; non è colpa sua se non sa esprimersi meglio; è colpa del
governo che lo lascia nellignoranza.
Per istruirlo gli portava il Secolo
e la Gazzetta di Catania. Però Ntoni si seccava a leggere; prima di tutto
perché era una fatica, e quandera soldato gli avevano insegnato a leggere per
forza; ma adesso era libero di fare quello che gli pareva e piaceva, e aveva un po
dimenticato come si cuciono insieme le parole nello scritto. Poi tutte quelle chiacchiere
stampate non gli mettevano un soldo in tasca.
Che gliene importava a lui? Don Franco
glielo spiegava lui perché avrebbe dovuto importargliene; e quando passava don Michele
per la piazza, glielo indicava colla barbona, ammiccando, e gli spifferava sottovoce che
passava per donna Rosolina anche quello, ora che aveva sentito come donna Rosolina avesse
dei denari, e li dava alla gente per farsi sposare.
- Bisogna cominciare dal levarci dai piedi
tutti costoro col berretto gallonato. Bisogna far la rivoluzione. Ecco quello che bisogna
fare!
- E voi cosa mi date per fare la
rivoluzione?
Don Franco allora si stringeva nelle
spalle, e se ne andava indispettito a pestare lacqua sporca nel mortaio; giacché
con gente siffatta era proprio pestar lacqua nel mortaio, diceva. E Piedipapera,
appena Ntoni voltava le spalle, soggiungeva sottovoce:
- Se volesse ammazzare don Michele,
dovrebbe ammazzarlo per qualche altra cosa; ché gli vuol rubare la sorella; ma
Ntoni è peggio dun maiale, tanto che si fa mantenere dalla Santuzza.
Piedipapera se lo sentiva sullo stomaco don Michele, dacché guardava cogli occhi torvi
lui e Rocco Spatu e Ginghialenta quando li incontrava; perciò voleva levarselo davanti.
Quelle povere Malavoglia erano arrivate al
punto che andavano per le bocche di tutti, per colpa del fratello, tanto i Malavoglia
erano caduti in bassa fortuna. Ora tutto il paese sapeva che don Michele passava e
ripassava per la strada del Nero, onde far dispetto alla Zuppidda, la quale stava a
guardia di sua figlia colla conocchia in mano. Intanto don Michele per non perdere i suoi
passi, aveva gettato gli occhi su di Lia, la quale si era fatta una bella ragazza anche
lei, e non aveva nessuno che le stesse a guardia, tranne la sorella che si faceva rossa
per lei, e le diceva: - Rientriamo in casa, Lia. Sulla porta non ci stiamo bene ora che
siamo orfane.
Ma la Lia era vanerella peggio di suo
fratello Ntoni, e le piaceva starsene sulla porta a far vedere il fazzoletto colle
rose, che ognuno le diceva: - Come siete bella con quel fazzoletto, comare Lia! e don
Michele se la mangiava cogli occhi.
La povera Mena, mentre stava là sulla
porta, ad aspettare il fratello che tornava a casa ubbriaco, si sentiva così stanca ed
avvilita che le cascavano le braccia quando voleva tirare in casa la sorella, perché
passava don Michele, e Lia le rispondeva: - Hai paura che mi mangi? Già, nessuno ne vuole
di noi altri, ora che non abbiamo più niente. Non lo vedi come è andato a finire mio
fratello, che non lo vogliono nemmeno i cani!
- Se Ntoni avesse fegato, andava
dicendo Piedipapera, se lo leverebbe dinanzi quel don Michele.
Ntoni invece voleva levarsi dinanzi
don Michele per unaltra cosa. La Santuzza, dopo che laveva rotta con don
Michele, aveva preso a ben volere Ntoni, per quel modo di portare il berretto
sullorecchio, e di dondolare le spalle camminando che aveva preso da soldato; e gli
metteva in serbo sotto il banco tutti i piatti coi resti che lasciavano gli avventori; e
un po di qua e un po di là gli riempiva anche il bicchiere. In tal modo lo
manteneva per losteria grasso e unto come il cane del macellaio. Al bisogno poi
Ntoni si disobbligava facendo a pugni con quegli avventori della malannata, che
cercano il pelo nelluovo allora del conto, e gridano e bestemmiano prima di
pagare. Cogli amici della taverna invece era allegro e chiacchierone, e teneva
docchio anche il banco, allorché la Santuzza andava a confessarsi. Sicché, tutti
colà gli volevano bene come se fosse a casa sua; tranne lo zio Santoro il quale lo
guardava di malocchio, e borbottava, fra unavemaria e laltra, contro di lui,
che viveva alle spalle di sua figlia, come un canonico; la Santuzza rispondeva che era la
padrona, se voleva far vivere alle sue spalle Ntoni Malavoglia, grasso come un
canonico; segno che ei aveva il suo piacere, e non aveva più bisogno di nessuno.
- Sì, sì! brontolava lo zio Santoro,
quando poteva acchiapparla un momento a quattrocchi. Di don Michele ne hai sempre
bisogno. Massaro Filippo mha detto dieci volte che è tempo di finirla, che il vino
nuovo non può tenerlo più nella cantina, e bisognerebbe farlo entrare in paese di
contrabbando.
- Massaro Filippo pensa al suo interesse.
Ma io, vedete, dovessi pagare il dazio due volte, e il contrabbando, don Michele non lo
voglio più, no e poi no!
Ella non voleva perdonare a don Michele
quella partaccia che gli aveva fatta colla Zuppidda, dopo tanto tempo chera stato
trattato come un canonico nellosteria, per lamore dei suoi galloni; e
Ntoni Malavoglia, senza galloni, valeva dieci volte don Michele; a lui, quello che
gli dava, glielo dava di tutto cuore. Ntoni si guadagnava il pane in tal modo, e
quando il nonno gli rimproverava il suo far nulla, e la sorella lo guardava tristamente,
cogli occhi fissi, rispondeva: - Forse che vi costo qualche cosa? Dei denari della casa
non ne spendo, e il mio pane me lo guadagno da me. - Meglio sarebbe che tu morissi di
fame, gli diceva il nonno, e che avessimo a morire tutti oggi stesso! - Infine nessuno
parlava più, seduti doverano, e voltandosi le spalle. Padron Ntoni era
ridotto a non aprir bocca, per non litigare col nipote; e Ntoni poi, quandera
stanco della predica, piantava lì tutti della paranza, a piagnucolare, e se ne andava a
trovar Rocco o compare Vanni, coi quali si stava allegri e se ne trovava sempre una nuova
da inventare.
Una volta inventarono di fare la serenata
allo zio Crocifisso, la notte in cui sera maritato colla Vespa, e condussero sotto
le finestre di lui tutti coloro cui lo zio Crocifisso non voleva prestare più un soldo,
coi cocci, e le pentole fesse, i campanacci del beccaio e gli zufoli di canna, a fare il
baccano e un casa del diavolo sino a mezzanotte, talché la Vespa lindomani
salzò più verde del solito, e se la prese con quella canaglia della Santuzza,
nella taverna della quale sera macchinata tutta quella birbonata, per gelosia che
lei se lera trovato il marito, onde stare in grazia di Dio, mentre le altre erano
sempre nel peccato mortale, e facevano mille porcherie, sotto labitino della
Madonna.
La gente gli rideva sul muso allo zio
Crocifisso, come lo vide sposo sulla piazza, vestito di nuovo, e giallo come un morto
dalla paura che gli aveva fatto la Vespa con quel vestito nuovo che costava denari. La
Vespa era sempre a spendere e spandere, che se lavessero lasciata fare avrebbe
vuotato il sacco in una settimana; e diceva che la padrona adesso era lei, tanto che tutti
i giorni cera il diavolo dallo zio Crocifisso. Sua moglie gli piantava le unghie
sulla faccia, e gli gridava che voleva aver le chiavi lei, e non voleva star sempre a
desiderare un pezzo di pane e un fazzoletto nuovo peggio di prima; perché se avesse
saputo quel che doveva venire dal matrimonio, con quel bel marito che le era toccato, si
sarebbe tenuta la chiusa e la medaglia di Figlia di Maria, piuttosto; già, tanto e tanto
avrebbe potuto portarla ancora, la medaglia di Figlia di Maria! E lui strillava che era
rovinato; che non era più padrone del fatto suo; che vera tuttora il colèra in
casa, e volevano farlo morire di crepacuore prima del tempo, per scialacquarsi
allegramente la roba che egli aveva stentato tanto a raggranellare! Lui pure, se avesse
saputo tutto questo, avrebbe mandato al diavolo la chiusa e la moglie; ché già lui di
moglie non ne aveva bisogno, e lavevano preso per il collo, facendogli credere che
la Vespa avesse acchiappato Brasi Cipolla, e stesse per scappargli insieme alla chiusa,
maledetta chiusa!
Giusto in quel punto si seppe che Brasi
Cipolla sera lasciato rubare dalla Mangiacarrubbe, come un bietolone, e padron
Fortunato li andava cercando per la sciara, e pel vallone, e sotto il ponte, colla
schiuma alla bocca, giurando e spergiurando che se li trovava voleva dar loro tante di
quelle pedate, e farsi venire le orecchie di suo figlio nelle mani. Lo zio Crocifisso a
quel discorso si cacciava le mani nei capelli anche lui, e diceva che la Mangiacarrubbe
laveva rovinato a non rapire Brasi una settimana prima. - Questa è stata la
volontà di Dio! andava dicendo picchiandosi il petto; - la volontà di Dio è stata che
io mavessi a pigliare la Vespa per castigo dei miei peccati! - E dei peccati doveva
avercene grossi assai, perché la Vespa gli avvelenava il pane in bocca, e gli faceva
soffrire le pene del purgatorio, notte e giorno. Per giunta poi si vantava di essergli
fedele, che non avrebbe guardato in faccia un cristiano, fosse giovane e bello come
Ntoni Malavoglia o Vanni Pizzuto, per tutto loro del mondo; mentre gli uomini
le ronzavano sempre attorno a tentarla come ci avesse il miele nelle gonnelle. - Se fosse
vero andrei a chiamarglielo io stesso colui! borbottava lo zio Crocifisso; - purché me la
levasse davanti! E diceva pure che avrebbe pagato qualche cosa a Vanni Pizzuto o a
Ntoni Malavoglia perché gli facessero le corna, giacché Ntoni faceva quel
mestiere. - Allora potrei mandarla via, quella strega che mi son cacciata in casa!
Ma Ntoni il mestiere lo faceva dove
era grasso, e ci mangiava e beveva, che era un piacere a vederlo. Ora portava la testa
alta, e se la rideva se il nonno gli diceva qualche parola a bassa voce; adesso era il
nonno che si faceva piccino, quasi il torto fosse suo. Ntoni diceva che se non lo
volevano in casa sapeva dove andare a dormire, nella stalla della Santuzza; e già non
spendevano nulla a casa sua per dargli da mangiare. Padron Ntoni, e Alessi, e Mena,
tutto quello che buscavano alla pesca, col telaio, al lavatoio, e con tutti gli altri
mestieri, potevano metterlo da parte, per quella famosa barca di San Pietro, colla quale
si guadagnava di rompersi le braccia tutti i giorni per un rotolo di pesce, o per la casa
del nespolo, nella quale si sarebbe andati a crepare allegramente di fame! tanto lui un
soldo non lavrebbe voluto; povero diavolo per povero diavolo, preferiva godersi un
po di riposo, finché era giovane, e non abbaiava la notte come il nonno. Il sole
cera lì per tutti, e lombra degli ulivi per mettersi al fresco, e la piazza
per passeggiare, e gli scalini della chiesa per stare a chiacchierare, e lo stradone per
veder passare la gente e sentir le notizie, e losteria per mangiare e bere cogli
amici. Poi quando gli sbadigli vi rompevano le mascelle, si giocava alla mora, o a
briscola; e quando infine si aveva sonno, ci era lì la chiusa dove pascevano i montoni di
compare Naso, per sdraiarsi a dormire il giorno, o la stalla di comare suor Mariangela
quando era notte.
- Che non ti vergogni di far questa vita?
gli disse alfine il nonno, il quale era venuto apposta a cercarlo colla testa bassa e
tutto curvo; e piangeva come un fanciullo nel dir così, tirandolo per la manica dietro la
stalla della Santuzza, perché nessuno li vedesse. - E alla tua casa non ci pensi? e ai
tuoi fratelli non ci pensi? Oh, se fossero qui tuo padre e la Longa! Ntoni!
Ntoni!...
- Ma voi altri ve la passate forse meglio
di me a lavorare, e ad affannarvi per nulla? È la nostra mala sorte infame! ecco
cosè! Vedete come siete ridotto, che sembrate un arco di violino, e sino a vecchio
avete fatto sempre la stessa vita! Ora che ne avete? Voi altri non conoscete il mondo, e
siete come i gattini cogli occhi chiusi. E il pesce che pescate ve lo mangiate voi? Sapete
per chi lavorate, dal lunedì al sabato, e vi siete ridotto a quel modo che non vi
vorrebbero neanche allospedale? per quelli che non fanno nulla e che hanno denari a
palate, lavorate!
- Ma tu non ne hai denari, né io ne ho!
Non ne abbiamo avuti mai, e ci siamo guadagnato il pane come vuol Dio; è per questo che
bisogna darsi le mani attorno, a guadagnarli, se no si muore di fame.
- Come vuole il diavolo, volete dire! Che
è tutta opera di Satanasso la nostra disgrazia! Ora sapete quel che vi aspetta quando non
potrete più darvele attorno le mani, perché i reumatismi le avranno ridotte come una
radica di vite? Vi aspetta il vallone sotto il ponte per andare a creparvi.
- No! no! esclamò il vecchio tutto
giulivo, e gettandogli al collo le braccia rattratte come radiche di vite. I denari per la
casa ci son già, e se tu ci aiuti...
- Ah! la casa del nespolo! Credete che sia
il più bel palazzo del mondo, voi che non avete visto altro?
- Lo so che non è il più bel palazzo del
mondo. Ma non dovresti dirlo tu che ci sei nato, tanto più che tua madre non ci è morta.
- Nemmeno mio padre non ci è morto. Il
nostro mestiere è di lasciare la pelle laggiù, in bocca ai pescicani. Almeno, finché
non ce la lascio, voglio godermi quel po di bene che posso trovare, giacché è
inutile logorarmi la pelle per niente! E poi? quando avrete la casa? e quando avrete la
barca? E poi? e la dote di Mena? e la dote di Lia?... Ah! sangue di Giuda ladro! che
malasorte è la nostra!
Il vecchio se ne andò desolato, scuotendo
il capo, col dorso curvo, ché le parole amare del nipote lavevano schiacciato
peggio di un pezzo di scoglio piombatogli sulla schiena. Adesso non aveva più coraggio
per nulla, gli cascavano le braccia, e aveva voglia di piangere. Non poteva pensare ad
altro, se non che Bastianazzo e Luca non ci avevano mai avuto pel capo quelle cose che ci
aveva Ntoni, e avevano sempre fatto senza lamentarsi quello che dovevano fare; e
mulinava pure che era inutile pensare alla dote di Mena, e di Lia, giacché non ci
sarebbero arrivati mai.
La povera Mena pareva che lo sapesse anche
lei, tanto era avvilita. Le vicine ora tiravano di lungo dinanzi alla porta dei
Malavoglia, come durasse il colèra, e la lasciavano sola, accanto alla sorella col
fazzoletto colle rose, o insieme alla Nunziata, e alla cugina Anna, quando esse facevano
la carità di venire a cianciare un po; giacché la cugina Anna ci aveva anche lei,
poveretta, quellubbriacone di Rocco, e oramai tutti lo sapevano; e la Nunziata era
troppo piccola quando quel bel mobile di suo padre laveva piantata per andarsene a
cercare fortuna altrove. Le poverette sintendevano fra di loro appunto per questo,
quando discorrevano a bassa voce, col capo chino, e le mani sotto il grembiule, ed anche
quando tacevano, senza guardarsi in viso, pensando ognuna ai casi suoi. - Quando si è
ridotti allo stato in cui siamo, diceva la Lia che parlava come una donna fatta, bisogna
aiutarsi da sé, e che ognuno pensi ai suoi interessi.
Don Michele di tanto in tanto si fermava a
salutarle o a dir qualche barzelletta; tanto che le donne si erano addomesticate col
berretto gallonato, e non ne avevano più paura; anzi la Lia sera lasciata andare a
dire anche lei le barzellette, e ci rideva sopra; né la Mena osava sgridarla, o andarsene
in cucina e lasciarla sola, ora che non avea più la madre; e restava lì anche lei
accasciata su di se stessa, guardando di qua e di là della strada con gli occhi stanchi.
Oramai come si vedeva che i vicini li avevano abbandonati, le si gonfiava il cuore di
riconoscenza ogni volta che don Michele con tutto il suo berretto gallonato non sdegnava
di fermarsi sulla porta dei Malavoglia a fare quattro chiacchiere. E se don Michele
trovava la Lia sola, la guardava negli occhi, tirandosi i mustacchi, col berretto
gallonato messo alla sgherra, e le diceva: - Che bella ragazza che siete, comare
Malavoglia!
Nessuno le aveva detto questo; perciò
ella si faceva rossa come un pomodoro.
- Come va che non vi siete maritata
ancora? le diceva anche don Michele.
Ella si stringeva nelle spalle, e
rispondeva che non lo sapeva.
- Voi dovreste avere la veste di lana e
seta, e gli orecchini lunghi; ché allora, in parola donore, gli fareste tenere il
candeliere a molte signore della città.
- La veste di lana e seta non fa per me,
don Michele! rispondeva Lia.
- O perché? La Zuppidda non lha? e
la Mangiacarrubbe, ora che ha acchiappato Brasi di padron Cipolla, non lavrà anche
lei? e la Vespa, se la vuole, non se la farà come le altre?
- Loro son ricche, loro!
- Sorte scellerata! esclamava don Michele
battendo col pugno sulla sciabola. Vorrei pigliare un terno al lotto, vorrei pigliare,
comare Lia! per farvi vedere cosa son capace di fare!
Alle volte don Michele aggiungeva: -
Permettete? - colla mano nel berretto, e si metteva a seder lì vicino sui sassi, mentre
non aveva da fare. Mena credeva che volesse stare lì per comare Barbara, e non gli diceva
nulla. Ma don Michele alla Lia le giurava che non era per la Barbara, e non ci aveva mai
pensato, sulla santa parola donore! Pensava a tuttaltro lui, se non lo sapeva
comare Lia!...
E si fregava il mento, o si tirava i baffi
guardandola come il basilisco. La ragazza si faceva di mille colori e si alzava per
andarsene. Però don Michele la prendeva per la mano, e le diceva: - Perché volete farmi
questa offesa, comare Malavoglia? Restate lì, che nessuno vi mangia.
Così, mentre aspettavano gli uomini dal
mare, passavano il tempo; ella sulla porta, e don Michele sui sassi, sminuzzando qualche
sterpolino per non sapere che fare, e le domandava: - Che ci verreste a stare nella
città?
- Quello è il posto per voi! Voi non
siete fatta per star qui, fra questi villani, in parola donore! Voi siete una roba
fine e di prima qualità, e siete fatta per stare in una bella casetta, e andare a spasso
alla Marina e alla Villa, quando cè la musica, vestita bene, come mintendo
io. Con un bel fazzoletto di seta in testa, e la collana dambra. Qui par di stare in
mezzo ai porci, parola mia donore! e non vedo lora di essere traslocato, che
mi hanno promesso di richiamarmi alla città collanno nuovo.
Lia si metteva a ridere della burla, e
scrollava le spalle, che lei non sapeva nemmeno come fossero fatte le collane dambra
e i fazzoletti di seta. Una volta poi don Michele tirò fuori in gran mistero un bel
fazzoletto giallo e rosso, colla sua brava carta, che lo aveva avuto da un contrabbando, e
voleva regalarlo a comare Lia.
- No! no! diceva lei tutta rossa. Non lo
piglio se mi ammazzate! - E don Michele insisteva: - Questa non me laspettavo,
comare Lia. Non me lo merito, vedete! - E dovette avvolgere unaltra volta il
fazzoletto nella carta e metterselo in tasca.
Dallora in poi, quando vedeva
spuntare il naso di don Michele, Lia correva a ficcarsi in casa, per paura che volesse
darle il fazzoletto. Don Michele aveva un bel passare e ripassare, e far brontolare la
Zuppidda colla schiuma alla bocca, e aveva un bellallungare il collo dentro
luscio dei Malavoglia, che non vedeva più nessuno, talché alla fine si decise di
entrare. Le ragazze, come se lo videro dinanzi, rimasero a bocca aperta, tremando quasi
avessero la terzana, e senza saper che fare. - Voi non lavete voluto il fazzoletto
di seta, comare Lia, dissegli alla ragazza, la quale sera fatta rossa come un
papavero, ma io sono tornato pel bene che voglio a voi altri. Che cosa fa vostro fratello
Ntoni?
Anche Mena si faceva rossa, quando le
domandavano che cosa facesse suo fratello Ntoni, perché non faceva nulla. E don
Michele continuò: - Ho paura che vi dia qualche dispiacere, a tutti voi altri, vostro
fratello Ntoni. Io vi sono amico e chiudo gli occhi; ma quando verrà qui un altro
brigadiere in vece mia, vorrà sapere che cosa va a fare vostro fratello con Cinghialenta,
la sera, verso il Rotolo, e con quellaltro buon arnese di Rocco Spatu, quando vanno
a passeggiare nella sciara, come se avessero delle scarpe da buttar via. Aprite
bene gli occhi anche voi a quel che vi dico ora, comare Mena; e ditegli pure che non
bazzichi tanto con quellimbroglione di Piedipapera, nella bottega di Pizzuto, che si
sa tutto, e nei guai poi ci resterà lui. Gli altri sono volpi vecchie, e sarebbe bene che
vostro nonno non lo facesse andare a passeggiare nella sciara, perché la sciara
non è fatta per andarci a passeggiare, e gli scogli del Rotolo ci sentono come se
avessero orecchie, ditegli, e vedono anche senza cannocchiale le barche che vanno
costeggiando quatte quatte verso limbrunire, come se andassero a pescar pipistrelli.
Ditegli questo, comare Mena, e ditegli pure che chi gli dà questavvertimento è un
amico il quale vi vuol bene. Quanto a compare Cinghialenta e Rocco Spatu, ed anche Vanni
Pizzuto, son tenuti docchio.
Vostro fratello si fida di Piedipapera, e
non sa che le guardie doganali hanno il tanto per cento sui contrabbandi, e per
sorprenderli bisogna dar la parte a uno della combriccola, e farlo cantare per chiapparla.
Di Piedipapera questo solo rammentategli: - Gli disse Gesù Cristo a San Giovanni, «degli
uomini segnati guardatene!». Lo dice pure il proverbio.
Mena sbarrava gli occhi, e impallidiva,
senza capir bene quel che ascoltava; ma sentiva già la paura che suo fratello avesse a
fare con quelli del berretto gallonato. Don Michele allora la prese per mano onde farle
animo, e seguitò.
- Se si sapesse che son venuto a dirvi
tutto questo, sarei fritto. Io mi giuoco il mio berretto gallonato, per il bene che vi
voglio a voi altri Malavoglia. Ma non mi piace che vostro fratello patisca qualche guaio.
No! non vorrei incontrarlo di notte in qualche brutto posto, nemmeno per acchiappare un
contrabbando di mille lire, parola mia donore!
Le povere ragazze non ebbero più pace,
dacché don Michele ebbe messo loro quella pulce nellorecchio. Non chiudevano occhio
nella notte, aspettando il fratello dietro luscio sino a tardi, tremando di freddo e
di paura, mentre egli andava cantando per le strade con Rocco Spatu ed altri della
combriccola, e alle povere ragazze pareva sempre di udire delle grida e delle
schioppettate, come quando avevano detto che cera stata la caccia delle quaglie a
due piedi.
- Tu va a dormire, ripeteva Mena alla
sorella. Tu sei troppo giovane, e certe cose non devi saperle.
Al nonno non diceva nulla per non dargli
questaltro crepacuore; ma a Ntoni, quando lo vedeva un poco calmo, che si
metteva a sedere tristamente sulla porta, col mento in mano, si faceva coraggio per
chiedergli: - Cosa vai a fare sempre con Rocco Spatu e Cinghialenta? Guardati che ti hanno
visto sulla sciara e verso il Rotolo. Guardati di Piedipapera. Sai il detto
dellantico che gli disse Gesù Cristo a San Giovanni: «Degli uomini segnati
guardatene!».
- Chi te lha detto? domandava
Ntoni, saltando su come un diavolo. Dimmi chi te lha detto?
- Don Michele me lha detto!
rispondeva lei colle lacrime agli occhi. Mha detto di guardarti di Piedipapera, che
per acchiappare un contrabbando bisogna dar la parte ad uno della combriccola.
- E non ti ha detto altro?
- No, non mi ha detto altro.
Ntoni allora giurava che non era
vero niente, e non lo dicesse al nonno. Poi si levava di là frettoloso, e se ne andava
allosteria a smaltire luggia, e se incontrava quelli del berretto gallonato,
faceva il giro più lungo per non vederli neanche nel battesimo. Già don Michele non
sapeva nulla, e parlava a casaccio, onde fargli paura, per la bizza che ci aveva contro di
lui dopo laffare della Santuzza, la quale laveva messo fuori della porta come
un cane rognoso. Alla fin fine egli non aveva paura di don Michele e dei suoi galloni, che
era ben pagato per succhiare il sangue del povero. Bella cosa! Don Michele non aveva
bisogno di cercare di aiutarsi in qualche maniera, così grasso e pasciuto! e non aveva
altro da fare che metter le mani addosso a qualche povero diavolo, se si industriava a
buscarsi come poteva un pezzo di dodici tarì. E quellaltra prepotenza che per
sbarcare la roba di fuori regno, bisognava pagare il dazio, come fosse roba rubata! e
doveva metterci il naso don Michele coi suoi sbirri! Loro erano padroni di mettere le mani
su ogni cosa, e prendere quello che volevano; ma gli altri, se cercavano a rischio della
pelle di fare come volevano per sbarcare la loro roba, passavano per ladri, e li
cacciavano peggio dei lupi colle pistole e le carabine. - Ma rubare ai ladri non è stato
mai peccato. Lo diceva anche don Giammaria nella bottega dello speziale. E don Franco
approvava col capo e con tutta la barba, sogghignando, che quando si faceva la repubblica
non se ne vedevano più di quelle porcherie. - E di quegli impiegati di Satanasso! -
aggiungeva il vicario. A don Giammaria gli cuoceva tuttora delle venticinque onze che gli
erano scappate di casa.
Ora donna Rosolina aveva perso anche la
testa, colle venticinque onze, e correva dietro a don Michele, per farsi mangiare il
resto. Come lo vedeva andare nella strada del Nero, credeva ci andasse per veder lei sul
terrazzino, e stava sempre al poggiuolo colla conserva dei pomidoro, e colle bocce dei
peperoni, per far vedere di che era capace; poiché non glielo avrebbero levato dalla
testa colle tenaglie che don Michele, colla sua pancia, ora che si era levato dal peccato
mortale colla Santuzza, non cercasse una donna di casa e di giudizio, come intendeva lei;
perciò lo difendeva, se suo fratello diceva corna del Governo e dei mangiapane, e
rispondeva: - Dei mangiapane come don Silvestro sì! che si mangiano un paese senza far
nulla; ma i dazii ci vogliono per pagare i soldati, che fanno bella vista colla montura, e
senza soldati ci mangeremmo come lupi fra di noi.
- Dei fannulloni pagati per portare il
fucile, e non altro! sogghignava lo speziale; come i preti, che prendono tre tarì per
messa. Dite la verità, don Giammaria, che capitale ci mettete voi nella messa che vi
pagano tre tarì?
- E voi che capitale ci mettete in
quellacqua sporca che vi fate pagare a sangue duomo? rimbeccava il vicario
colla schiuma alla bocca.
Don Franco aveva imparato a ridere come
don Silvestro, per far dannare lanima a don Giammaria; e continuava senza dargli
retta, ché aveva sperimentato il mezzo migliore per fargli perdere la tramontana: - In
mezzora si guadagnano la loro giornata, e poi sono a spasso tutto il giorno; tale e
quale come don Michele il quale sembra un uccellaccio perdigiorno, sempre là per i piedi,
dacché non va più a scaldare le panche della Santuzza.
- Per questo ce lha con me, entrava
a dire Ntoni; è arrabbiato come un cane, e vuol fare il prepotente perché ci ha la
sciabola. Ma, sangue della Madonna! una volta o laltra voglio dargliela sul muso la
sua sciabola, per fargli vedere che me ne infischio, io!
- Bravo! esclamava lo speziale, così va
fatto! Bisogna che il popolo mostri i denti. Ma lontano di qua, ché non voglio pasticci
nella mia spezieria. Al Governo non parrebbe vero di tirarmi nellimbroglio pei
capelli; ma a me non mi piace aver che fare coi giudici e con tutta quella canaglia della
baracca.
Ntoni Malavoglia levava i pugni al
cielo, e giurava e sacramentava per Cristo e per la Madonna che voleva finirla, avesse
dovuto andare in galera; già egli non aveva niente da perdere. La Santuzza non lo
guardava più dello stesso occhio, tante gliene aveva dette quel paneperso di suo padre,
piagnucolando fra unavemaria e laltra, dopo che massaro Filippo non mandava
più il vino allosteria! Le diceva che gli avventori cominciavano a diradare come le
mosche a SantAndrea, dacché non ci trovavano più il vino di massaro Filippo, al
quale erano avvezzi come il bambino alla poppa. Lo zio Santoro ogni volta ripeteva alla
figliuola: - Che vuoi farne di quellaffamato di Ntoni Malavoglia? Non vedi che
ti mangia tutta la roba senza frutto? Tu lo ingrassi meglio di un maiale, e poi va a fare
il cascamorto colla Vespa e colla Mangiacarrubbe, ora che sono ricche. E le diceva pure: -
Gli avventori se ne vanno perché egli ti sta sempre alla gonnella, e non ti lascia un
momento da dirti una barzelletta. Oppure: - Così lacero e sudicio è una porcheria
avercelo per la bettola; che sembra tutta una stalla, e la gente ha schifo di beverci nei
bicchieri. Don Michele sì che ci stava bene sulla porta, coi galloni nel berretto. La
gente che paga il vino, vuol berselo in santa pace, ed è contenta di vedere uno colla
sciabola lì davanti. Poi tutti gli facevano di berretto, e nessuno ti avrebbe negato un
soldo se te lo doveva, quando era segnato col carbone sul muro. Ora che non cè più
lui, non viene nemmeno massaro Filippo. Laltra volta è passato di qua, ed io volevo
farlo entrare; ma ei dice che è inutile venirci, giacché il mosto non può farlo passare
più di contrabbando, ora che sei in collera con don Michele. Una cosa che non è buona
né per lanima né pel corpo. La gente comincia perfino a mormorare che a
Ntoni gli fai la carità pelosa, giacché massaro Filippo non ci viene più, e
vedrai come andrà a finire! Vedrai che arriverà allorecchio del vicario, e ti
leveranno la medaglia di Figlia di Maria.
La Santuzza teneva duro ancora, perché in
casa sua voleva essere sempre la padrona; ma cominciava ad aprire gli occhi anche lei,
giacché tutto quello che le diceva suo padre era il santo evangelio, e non trattava più
Ntoni come prima. Se cera un rimasuglio da riporre in serbo nel piatto, non lo
dava più a lui, e gli metteva dellacqua sporca nei fondi di bicchiere; sicché
Ntoni alla fine cominciò a fare il viso lungo, e la Santuzza gli rispose che i
fannulloni non le piacevano, e lei e suo padre se lo guadagnavano il pane, così pure
avrebbe dovuto far lui, e aiutare un po nella casa, a spaccar legna o a soffiare nel
fuoco, invece di starsene come un lazzarone a vociare e dormire colla testa fra le braccia
o a sputacchiare per terra dappertutto, che faceva un mare e non si sapeva più dove
mettere i piedi.
Ntoni un po andò a spaccar
legna, brontolando, o a soffiar nel fuoco, per fare meno fatica. Ma gli era duro lavorare
tutto il giorno come un cane, peggio di quello che faceva un tempo a casa sua, per vedersi
trattare peggio di un cane a sgarbi e parolacce, in grazia di quei piatti sporchi che gli
davano da leccare. Una volta finalmente, mentre la Santuzza tornava dal confessarsi col
rosario in mano, le fece una scenata, lagnandosi che questo avveniva perché don Michele
era tornato a girandolare davanti allosteria, che laspettava anche sulla
piazza, quando andava a confessarsi, e lo zio Santoro gli gridava dietro per salutarlo,
quando sentiva la sua voce, e andava a cercarlo fin nella bottega di Pizzuto, tastando i
muri col bastone per trovar la strada. La Santuzza allora cominciò a fare il diavolo, e
rispondergli che era venuto apposta per farle fare peccati, mentre aveva lostia in
bocca, e farle perdere la comunione. - Se non vi piace andatevene! gli diceva. Io non
voglio dannarmi lanima per voi; e non vi ho detto nulla quando ho saputo che correte
dietro le donnacce come la Vespa e la Mangiacarrubbe, ora che sono malmaritate. Correte a
trovarle, che ora ci hanno il truogolo in casa, e cercano il maiale. - Ma Ntoni
giurava che non era vero, e a lui non gliene importava di queste cose; alle femmine non ci
pensava più, e avrebbe potuto sputargli in faccia se lo vedeva parlare con unaltra
donna.
- No, così non te lo levi dai piedi,
ripeteva intanto lo zio Santoro. Non vedi come è attaccato al pane che ti mangia? Bisogna
rompere la pentola per aggiustarla. Bisogna farlo mettere fuori a pedate. Massaro Filippo
mi ha detto che il mosto non può tenerlo più nelle botti, e lo venderà ad altri se tu
non fai la pace con don Michele, e non ti riesce di farlo entrare di contrabbando come
prima! - E tornava a cercare massaro Filippo nella bottega di Pizzuto, tastando i muri col
bastone. Sua figlia faceva la sdegnosa, protestando che non avrebbe mai piegato il capo a
don Michele dopo la partaccia che colui le aveva fatto. - Lascia fare a me che
laggiusto io! assicurava lo zio Santoro. - Farò le cose con giudizio. Non ti
lascerei fare la figura di tornare a leccare gli stivali a don Michele; sono tuo padre o
no, santo Dio?
Ntoni, dacché la Santuzza gli
faceva degli sgarbi, bisognava che pensasse come pagare il pane che gli davano
allosteria, giacché a casa sua non osava comparire, e quei poveretti intanto
pensavano a lui quando mangiavano la loro minestra senza appetito, come se anchegli
fosse morto, e non stendevano nemmeno la tovaglia, sparpagliati per la casa, colla
scodella sulle ginocchia. - Questo è lultimo colpo, per me che sono vecchio! -
ripeteva il nonno; e chi lo vedeva passare colle reti in spalla, per andare a giornata,
diceva: - Questa è lultima invernata per padron Ntoni. Poco ci vorrà che
tutti quegli orfani rimangono sulla strada. - E la Lia, se la Mena le diceva di ficcarsi
dentro quando passava don Michele, rispondeva con tanto di bocca:
- Sì! bisogna ficcarsi in casa, quasi
fossi un tesoro! Sta tranquilla che di tesori come noi non ne vogliono neppure i cani!
- Oh! se tua madre fosse qui, non diresti
così! mormorava Mena.
- Se mia madre fosse qui, non sarei
orfana, e non dovrei pensarci da me ad aiutarmi. E nemmeno Ntoni andrebbe per le
strade, che è una vergogna sentirsi dire che siamo sue sorelle, e nessuno vorrà
prendersi in moglie la sorella di Ntoni Malavoglia.
Ntoni, ora che era in miseria, non
aveva più ritegno di mostrarsi insieme a Rocco Spatu e a Cinghialenta per la sciara
e verso il Rotolo, e a discorrere sottovoce tra di loro, colla faccia scura, a guisa di
lupi affamati. Don Michele le tornava a dire alla Mena: - Vostro fratello vi darà qualche
dispiacere, comare Mena!
Mena era ridotta ad andare a cercare il
fratello sulla sciara anche lei, e verso il Rotolo, o sulla porta
dellosteria; e piangeva e singhiozzava, tirandolo per la manica della camicia. Ma
egli rispondeva:
- No! È don Michele che mi vuol male, te
lho detto. Sta sempre a macchinar birbonate contro di me collo zio Santoro. Li ho
sentiti io nella bottega di Pizzuto, che lo sbirro gli diceva: - E se tornassi dalla
vostra figlia, che figuraccia ci farei? - E lo zio Santoro rispondeva: - Oh bella! se vi
dico che tutto il paese si mangerebbe i gomiti dallinvidia!
- Ma tu cosa vuoi fare? ripeteva Mena
colla faccia pallida. Pensa alla mamma, Ntoni, e pensa a noi che non abbiamo più
nessuno!
- Niente! Voglio svergognare lui e la
Santuzza davanti a tutto il paese, quando vanno alla messa! Voglio dir loro il fatto mio,
e far ridere la gente. Già non ho paura di nessuno al mondo; e mi sentirà anche lo
speziale lì vicino.
Mena infatti aveva un bel piangere e un
bel pregare, egli tornava a dire che non aveva nulla da perdere, e dovevano pensarci gli
altri più di lui; che era stanco di fare quella vita, e voleva finirla - come diceva don
Franco. E siccome allosteria lo vedevano di malocchio, andava a girandolare per la
piazza, specialmente la domenica, e si metteva sugli scalini della chiesa per vedere che
faccia facevano quegli svergognati che venivano lì a gabbare il mondo, e far le corna al
Signore e alla Madonna sotto i loro occhi stessi.
La Santuzza, dacché incontrava
Ntoni che faceva la sentinella sulla porta della chiesa, se ne andava ad Aci
Castello per la messa, di buon mattino, onde sfuggire la tentazione di far peccati.
Ntoni vedeva passare la Mangiacarrubbe, col naso nella mantellina, senza guardar
più nessuno, ora che aveva acchiappato il marito. La Vespa, tutta in fronzoli, e con
tanto di rosario in mano, andava a pregare il Signore a liberarla di quel castigo di Dio
di suo marito; e Ntoni sghignazzava loro dietro: - Ora che lhanno pescato il
marito non hanno più bisogno di nulla. Ci è chi deve pensare a dar loro da mangiare!
Lo zio Crocifisso aveva persa anche la
devozione, dacché si era messa la Vespa addosso, e non andava nemmeno in chiesa, per
stare lontano dalla moglie almeno il tempo della messa; così si dannava lanima.
- Questo è lultimo anno per me!
andava piagnucolando; e adesso correva a cercare padron Ntoni, e gli altri
disgraziati al pari di lui. - Nella mia vigna ci ha grandinato, e alla vendemmia non ci
arrivo di certo.
- Sapete, zio Grocifisso, rispondeva
padron Ntoni; quando vogliamo andare dal notaio per quellaffare della casa io
son pronto, e ci ho qui i denari. - Colui non pensava ad altro che alla sua casa, e non
gliene importava un corno degli affari degli altri.
- Non mi parlate di notaio, padron
Ntoni! Quando sento parlare di notaio, mi rammento del giorno in cui mi ci lasciai
trascinare dalla Vespa, maledetto sia il giorno che ci misi i piedi!
Ma compare Piedipapera che fiutava la
senseria, gli diceva: - Quella strega della Vespa, se morite voi, è capace di dargliela
per un pezzo di pane la casa del nespolo; ed è meglio che li facciate voi i vostri
affari, finché ci avete gli occhi aperti.
Allora lo zio Crocifisso rispondeva: -
Sì, sì, andiamo pure dal notaio; ma bisogna che mi facciate guadagnare qualche cosa su
questo affare. Vedete quante perdite ho fatte! - E Piedipapera aggiungeva, fingendo di
parlare con lui: - Quella strega di vostra moglie se sa che avete ripreso i denari della
casa, è capace di strozzarvi, per comprarsene tante collane e fazzoletti di seta. - E
diceva pure: - Almeno la Mangiacarrubbe non ne compra più collane e fazzoletti di seta,
ora che ha acchiappato il marito. La vedete come viene a messa con una vesticciuola di
cotonina!
- A me non me ne importa della
Mangiacarrubbe, ma avrebbero dovuto bruciarla viva anche lei, con tutte le altre donne che
sono al mondo per farci dannare lanima. Che ci credete che non compra più nulla?
Tutta impostura per minchionare padron Fortunato, il quale va gridando che vuole pigliarsi
una di mezzo alla strada, piuttosto che lasciar godere la roba sua a quella pezzente la
quale gli ha rubato il figliuolo. Io per me gli regalerei la Vespa, se la volesse! Tutte
le stesse! e guai a chi ci capita, per sua disgrazia! che il Signore leva il lume. Vedete
don Michele, che va nella strada del Nero, per far locchietto con donna Rosolina;
cosa gli manca a costui? Rispettato, ben pagato, con tanto di pancia!... Ebbene! corre
dietro alle donne anche lui per cercarsi i guai colla lanterna; per la speranza di quei
quattro soldi del vicario.
- No, egli non ci viene per donna
Rosolina, no! diceva Piedipapera ammiccandogli di nascosto. - Donna Rosolina può farci le
radiche sul terrazzino in mezzo ai suoi pomidoro, a fargli locchio di pesce morto. A
don Michele non gliene importa nulla dei denari del vicario. Lo so io cosa va a fare nella
strada del Nero!
- Dunque cosa pretendete per la casa?
tornò a dire padron Ntoni.
- Ne parleremo, ne parleremo quando saremo
dal notaio, rispose lo zio Crocifisso. Adesso lasciatemi ascoltare la santa messa; e in
tal modo lo mandava via mogio mogio.
- Don Michele ci ha altro per la testa, -
ripeteva Piedipapera, cacciando fuori tanto di lingua dietro le spalle di padron
Ntoni, e accennando collocchio a suo nipote, il quale andava ad appollaiarsi
sui muri, con un pezzo di giubbone sulle spalle, saettando delle occhiatacce sullo zio
Santoro, il quale aveva preso a venire alla messa, per stendere la mano ai fedeli,
borbottando avemarie e gloriapatri, e conosceva tutti ad uno ad uno, come la folla usciva
dalla chiesa, dicendo alluno: - Il Signore vi dia la provvidenza! e a
quellaltro: - Tanta salute! - e come gli passò accanto don Michele gli disse pure:
- Andateci che vi aspetta nellorto dietro la tettoia. Santa Maria, ora pro nobis!
Signore Iddio perdonatemi!...
La gente, appena don Michele tornò a
bazzicare dalla Santuzza, diceva: - Fecero pace cani e gatti! Vuol dire che ci era sotto
qualche cosa per tenersi il broncio. E come massaro Filippo era pure tornato
allosteria: - Anche quellaltro! Che non sa starci senza don Michele? È segno
che è innamorato di don Michele, piuttosto che della Santuzza. Certuni non sanno star
soli neppure in paradiso.
Allora Ntoni Malavoglia masticava
bile, vedendosi scacciato a pedate fuori della bettola peggio di un cane rognoso, senza un
baiocco in tasca per andare a bere sul mostaccio a don Michele, e piantarsi là tutto il
giorno, coi gomiti sul desco, a far loro mangiare il fegato. Invece gli toccava star sulla
strada come un cagnaccio, colla coda fra le gambe e il muso a terra, borbottando: - Sangue
di Giuda! un giorno o laltro succederà una commedia, succederà!
Rocco Spatu, e Cinghialenta, che avevano
sempre qualche soldo, gli ridevano sul naso, dalla porta della taverna, facendogli le
corna; e venivano a parlargli sottovoce, tirandolo pel braccio verso la sciara e
parlandogli nellorecchio. Egli tentennava sempre a dir di sì, come un minchione che
era. Allora gli rinfacciavano: - Ti sta bene a morir di fame, lì davanti, e a vederti far
le corna sotto agli occhi tuoi stessi da don Michele, carogna che sei!
- Sangue di Giuda! non dite così! gridava
Ntoni col pugno in aria, - che un giorno o laltro faccio succedere una
commedia, faccio succedere!
Ma gli altri lo piantavano lì, alzando le
spalle, sghignazzando; tanto che infine gli fecero montare la mosca al naso; e andò a
piantarsi proprio nel bel mezzo dellosteria, giallo come un morto, col pugno sul
fianco, e il giubbone vecchio sulle spalle, che pareva ci avesse un vestito di velluto,
girando gli occhiacci intorno per stuzzicare chi sapeva lui. Don Michele, per amore dei
galloni, fingeva di non vederlo, e cercava di andarsene; ma Ntoni ora che don
Michele faceva il minchione si sentiva crescere il fegato, e gli rideva e gli sghignazzava
sul mostaccio, a lui e alla Santuzza; e sputava sul vino che beveva, dicendo che era
tossico di quello che avevano dato a Gesù sacramentato! - E battezzato per giunta, che la
Santuzza ci aveva messa lacqua, ed era una vera minchioneria venire a lasciarsi
rubare i soldi in quella bettolaccia; per questo ei non ci veniva più! - La Santuzza,
toccata nel debole, non seppe più contenersi, e gli disse che non ci veniva più perché
erano stanchi di mantenerlo per carità, che erano stati costretti a cacciarlo fuori
delluscio colla scopa, tanto era affamato. Allora Ntoni cominciò a fare il
diavolo, gridando e rompendo i bicchieri, che lavevano messo fuori per tirarsi in
casa quellaltro baccalà col berretto gallonato; ma gli bastava lanima di
fargli uscire il vino dal naso, se voleva, perché lui non aveva paura di nessuno. Don
Michele, giallo anche lui, col berretto di traverso, balbettava: - Per la santa parola
donore, stavolta finisce brutta! - intanto che la Santuzza faceva piovere i
bicchieri e le mezzette addosso a tutti e due. Così finalmente si azzuffarono e
cominciarono a darsi dei pugni, e a rotolarsi sotto le panche, che volevano mangiarsi il
naso, mentre la gente li prendeva a calci e a pugni per separarli; e ci riescì infine
Peppi Naso colla cinghia di cuoio che sera levata dai calzoni, e dove arrivava
levava il pelo.
Don Michele si spolverò la montura, andò
a raccattare la sciabola che aveva persa, e se ne uscì borbottando fra i denti,
senzaltro, per amor dei galloni. Ma Ntoni Malavoglia, il quale mandava un
fiume di sangue dal naso, vedendolo sgattaiolare, non lo potevano tenere dal gridargli
dietro un mare dimproperi dalla porta dellosteria, mostrandogli il pugno, e
asciugandosi colla manica il sangue che gli colava dal naso; e gli prometteva che voleva
dargli il resto quando lincontrava.
Capitolo XIII
Padron Ntoni, come il nipote gli
arrivava a casa ubbriaco, la sera, faceva di tutto per mandarlo a letto senza che gli
altri se ne avvedessero, perché questo non cera mai stato nei Malavoglia, e gli
venivano le lagrime agli occhi. La notte, quando si alzava e chiamava Alessi per andare al
mare, lasciava dormire laltro; tanto non sarebbe stato buono a nulla. Ntoni da
prima se ne vergognava, e andava ad aspettarli sulla riva appena tornavano, colla testa
bassa. Ma a poco a poco ci fece il callo, e diceva fra di sé: - Così domani faremo
ancora domenica!
Il povero vecchio cercò tutti i mezzi di
toccargli il cuore e di nascosto gli fece persino esorcizzare la camicia da don Giammaria,
e spese tre tarì. - Vedi! Gli diceva, questo non cè mai stato nei Malavoglia! Se
tu prendi la mala strada di Rocco Spatu, tuo fratello e le tue sorelle ti verranno dietro.
«Una mela fradicia guasta tutte le altre», e quei soldi che abbiamo messo insieme con
tanto stento se ne andranno in fumo. «Per un pescatore si perde la barca», e allora che
faremo?
Ntoni restava a capo chino, o
brontolava fra i denti; ma lindomani tornava da capo, e una volta glielo disse: -
Che volete? almeno quando non sono più in sensi non penso alla mia disgrazia.
- Che disgrazia! Tu hai la salute, sei
giovane, sai il tuo mestiere, che ti manca? Io che son vecchio, e tuo fratello che è
ancora ragazzo, ci siamo tirati su dal fosso. Ora se tu volessi aiutarci, torneremo ad
essere quelli che eravamo, se non più col cuore contento, perché quelli che sono morti
non tornano più, almeno senza altre angustie; e tutti uniti, come devono stare le dita
della mano, e col pane in casa. Se io chiudo gli occhi come resterete voi altri? Adesso,
vedi, mi tocca daver paura, ogni volta che cimbarchiamo per andar lontano. E
son vecchio!...
Quando il nonno riesciva a toccargli il
cuore, Ntoni si metteva a piangere. I fratelli, che sapevano tutto, si
rincantucciavano, appena lo sentivano venire, come ei fosse un estraneo, o quasi avessero
paura di lui; e il nonno, col rosario in mano, borbottava: - O anima benedetta di
Bastianazzo! O anima di mia nuora Maruzza! fatelo voi il miracolo! - Come Mena lo vedeva
arrivare colla faccia pallida e gli occhi lustri, gli diceva: - Entra da questa parte, che
ci è il nonno! - E lo faceva entrare dalla porticina della cucina; poi si metteva a
piangere cheta cheta accanto al focolare; tanto che Ntoni disse alla fine: - Non
voglio andarci più allosteria, neanche se mammazzano! E tornò a lavorare di
buonavoglia come prima; anzi, si alzava prima degli altri, e andava ad aspettare il nonno
alla marina, che ci volevano due ore a far giorno, i Tre Re erano ancora alti sul
campanile del villaggio, e i grilli si udivano trillare nelle chiuse come se fossero lì
accanto. Il nonno non ci capiva più nella camicia dalla contentezza; andava
chiacchierando con lui onde provargli come gli volesse bene, e fra di sé diceva: - Son
lanime sante di sua madre e di suo padre che hanno fatto il miracolo.
Il miracolo durò tutta la settimana, e la
domenica Ntoni non volle nemmeno andare in piazza, per non vedere losteria da
lontano e gli amici che lo chiamavano. Ma si rompeva le mascelle a sbadigliare tutto quel
giorno in cui non aveva nulla da fare, e non finiva più. Oramai non era un ragazzo per
passare il tempo ad andare per le ginestre nella sciara, cantando come suo fratello
Alessi e la Nunziata, o a spazzare la casa come Mena, e nemmeno un vecchio come il nonno
per divertirsi ad accomodare i barilotti sfondati, e le nasse sfasciate. Egli restò
seduto accanto alla porta nella strada del Nero, che non ci passava nemmeno una gallina, e
sentiva le voci e le risate allosteria. Tanto che andò a dormire per non sapere che
fare, e il lunedì tornò a fare il muso lungo. Il nonno gli diceva: - Per te sarebbe
meglio che non venisse la domenica; perché il giorno dopo sei come se fossi malato. Ecco
quello che era meglio per lui, che non venisse mai la domenica! e gli cascava il cuore per
terra a pensare che tutti i giorni fossero dei lunedì. Sicché, quando tornava dal mare,
la sera, non aveva voglia nemmeno dandare a dormire, e si sfogava a scorrazzare di
qua e di là colla sua disgrazia, tanto che infine venne a capitare di nuovo
allosteria.
Prima, allorché tornava a casa malfermo
sulle gambe, si ficcava dentro mogio mogio, facendosi piccino e balbettando delle scuse, o
almeno non fiatava. Ma ora alzava la voce, litigava colla sorella se laspettava
sulluscio, colla faccia pallida e gli occhi gonfi, e se gli diceva sottovoce
dentrare dalla cucina che in casa cera il nonno. - A me non me ne importa!
rispondeva. Il giorno dopo si levava stravolto e di cattivo umore; e cominciava a gridare
e bestemmiare dalla mattina alla sera.
Una volta successe una brutta scena. Il
nonno, non sapendo più che fare per toccargli il cuore, laveva tirato
nellangolo della cameruccia, ad usci chiusi, perché non udissero i vicini, e gli
diceva, piangendo come un ragazzo, il povero vecchio: - Oh Ntoni! non ti rammenti
che qui cè morta tua madre? Perché vuoi darle questo dolore a tua madre, di
vederti fare la riescita di Rocco Spatu? Non lo vedi come stenta e si affatica la povera
cugina Anna per quellubbriacone di suo figlio? e come piange alle volte, allorché
non ha pane da dare agli altri suoi figliuoli e non le basta il cuore di ridere? «Chi va
col lupo allupa» e «chi pratica con zoppi allanno zoppica». Non ti rammenti
quella notte del colèra che eravamo qui tutti davanti a quel lettuccio, ed ella ti
raccomandava Mena e i ragazzi? - Ntoni piangeva come un vitello slattato, e diceva
che voleva morire anche lui; ma poi adagio adagio tornava allosteria, e la notte,
invece di venire a casa, andava per la via, fermandosi dietro gli usci, colle spalle
appoggiate al muro, stanco morto, insieme a Rocco Spatu e a Cinghialenta; e si metteva a
cantare con loro, per scacciare la malinconia.
Infine il povero padron Ntoni non
osava più mostrarsi per le strade dalla vergogna. Il nipote invece, per evitare le
prediche, veniva a casa colla faccia scura; così non gli rompevano la devozione con le
solite prediche. Già le prediche se le faceva da se stesso, a voce bassa, ed era tutta
colpa della sua disgrazia che laveva fatto nascere in quello stato.
E andava a sfogarsi collo speziale e con
altri di quelli che avevano un po di tempo per chiacchierare dellingiustizia
sacrosanta che ci è a questo mondo in ogni cosa; che se uno va dalla Santuzza, per
dimenticare i suoi guai, si chiama ubbriacone; mentre tanti altri si ubbriacano a casa di
vino buono non hanno guai per la testa, né nessuno che li rimproveri o faccia loro la
predica di andare a lavorare, giacché non hanno nulla da fare, e son ricchi per due;
eppure tutti siamo figli di Dio allo stesso modo, e ognuno dovrebbe avere la sua parte
egualmente. - Quel ragazzo lì ha del talento! diceva lo speziale a don Silvestro, e a
padron Cipolla, e a chi voleva sentirlo. - Vede le cose allingrosso, così alla
carlona, ma il sugo cè; non è colpa sua se non sa esprimersi meglio; è colpa del
governo che lo lascia nellignoranza.
Per istruirlo gli portava il Secolo
e la Gazzetta di Catania. Però Ntoni si seccava a leggere; prima di tutto
perché era una fatica, e quandera soldato gli avevano insegnato a leggere per
forza; ma adesso era libero di fare quello che gli pareva e piaceva, e aveva un po
dimenticato come si cuciono insieme le parole nello scritto. Poi tutte quelle chiacchiere
stampate non gli mettevano un soldo in tasca.
Che gliene importava a lui? Don Franco
glielo spiegava lui perché avrebbe dovuto importargliene; e quando passava don Michele
per la piazza, glielo indicava colla barbona, ammiccando, e gli spifferava sottovoce che
passava per donna Rosolina anche quello, ora che aveva sentito come donna Rosolina avesse
dei denari, e li dava alla gente per farsi sposare.
- Bisogna cominciare dal levarci dai piedi
tutti costoro col berretto gallonato. Bisogna far la rivoluzione. Ecco quello che bisogna
fare!
- E voi cosa mi date per fare la
rivoluzione?
Don Franco allora si stringeva nelle
spalle, e se ne andava indispettito a pestare lacqua sporca nel mortaio; giacché
con gente siffatta era proprio pestar lacqua nel mortaio, diceva. E Piedipapera,
appena Ntoni voltava le spalle, soggiungeva sottovoce:
- Se volesse ammazzare don Michele,
dovrebbe ammazzarlo per qualche altra cosa; ché gli vuol rubare la sorella; ma
Ntoni è peggio dun maiale, tanto che si fa mantenere dalla Santuzza.
Piedipapera se lo sentiva sullo stomaco don Michele, dacché guardava cogli occhi torvi
lui e Rocco Spatu e Ginghialenta quando li incontrava; perciò voleva levarselo davanti.
Quelle povere Malavoglia erano arrivate al
punto che andavano per le bocche di tutti, per colpa del fratello, tanto i Malavoglia
erano caduti in bassa fortuna. Ora tutto il paese sapeva che don Michele passava e
ripassava per la strada del Nero, onde far dispetto alla Zuppidda, la quale stava a
guardia di sua figlia colla conocchia in mano. Intanto don Michele per non perdere i suoi
passi, aveva gettato gli occhi su di Lia, la quale si era fatta una bella ragazza anche
lei, e non aveva nessuno che le stesse a guardia, tranne la sorella che si faceva rossa
per lei, e le diceva: - Rientriamo in casa, Lia. Sulla porta non ci stiamo bene ora che
siamo orfane.
Ma la Lia era vanerella peggio di suo
fratello Ntoni, e le piaceva starsene sulla porta a far vedere il fazzoletto colle
rose, che ognuno le diceva: - Come siete bella con quel fazzoletto, comare Lia! e don
Michele se la mangiava cogli occhi.
La povera Mena, mentre stava là sulla
porta, ad aspettare il fratello che tornava a casa ubbriaco, si sentiva così stanca ed
avvilita che le cascavano le braccia quando voleva tirare in casa la sorella, perché
passava don Michele, e Lia le rispondeva: - Hai paura che mi mangi? Già, nessuno ne vuole
di noi altri, ora che non abbiamo più niente. Non lo vedi come è andato a finire mio
fratello, che non lo vogliono nemmeno i cani!
- Se Ntoni avesse fegato, andava
dicendo Piedipapera, se lo leverebbe dinanzi quel don Michele.
Ntoni invece voleva levarsi dinanzi
don Michele per unaltra cosa. La Santuzza, dopo che laveva rotta con don
Michele, aveva preso a ben volere Ntoni, per quel modo di portare il berretto
sullorecchio, e di dondolare le spalle camminando che aveva preso da soldato; e gli
metteva in serbo sotto il banco tutti i piatti coi resti che lasciavano gli avventori; e
un po di qua e un po di là gli riempiva anche il bicchiere. In tal modo lo
manteneva per losteria grasso e unto come il cane del macellaio. Al bisogno poi
Ntoni si disobbligava facendo a pugni con quegli avventori della malannata, che
cercano il pelo nelluovo allora del conto, e gridano e bestemmiano prima di
pagare. Cogli amici della taverna invece era allegro e chiacchierone, e teneva
docchio anche il banco, allorché la Santuzza andava a confessarsi. Sicché, tutti
colà gli volevano bene come se fosse a casa sua; tranne lo zio Santoro il quale lo
guardava di malocchio, e borbottava, fra unavemaria e laltra, contro di lui,
che viveva alle spalle di sua figlia, come un canonico; la Santuzza rispondeva che era la
padrona, se voleva far vivere alle sue spalle Ntoni Malavoglia, grasso come un
canonico; segno che ei aveva il suo piacere, e non aveva più bisogno di nessuno.
- Sì, sì! brontolava lo zio Santoro,
quando poteva acchiapparla un momento a quattrocchi. Di don Michele ne hai sempre
bisogno. Massaro Filippo mha detto dieci volte che è tempo di finirla, che il vino
nuovo non può tenerlo più nella cantina, e bisognerebbe farlo entrare in paese di
contrabbando.
- Massaro Filippo pensa al suo interesse.
Ma io, vedete, dovessi pagare il dazio due volte, e il contrabbando, don Michele non lo
voglio più, no e poi no!
Ella non voleva perdonare a don Michele
quella partaccia che gli aveva fatta colla Zuppidda, dopo tanto tempo chera stato
trattato come un canonico nellosteria, per lamore dei suoi galloni; e
Ntoni Malavoglia, senza galloni, valeva dieci volte don Michele; a lui, quello che
gli dava, glielo dava di tutto cuore. Ntoni si guadagnava il pane in tal modo, e
quando il nonno gli rimproverava il suo far nulla, e la sorella lo guardava tristamente,
cogli occhi fissi, rispondeva: - Forse che vi costo qualche cosa? Dei denari della casa
non ne spendo, e il mio pane me lo guadagno da me. - Meglio sarebbe che tu morissi di
fame, gli diceva il nonno, e che avessimo a morire tutti oggi stesso! - Infine nessuno
parlava più, seduti doverano, e voltandosi le spalle. Padron Ntoni era
ridotto a non aprir bocca, per non litigare col nipote; e Ntoni poi, quandera
stanco della predica, piantava lì tutti della paranza, a piagnucolare, e se ne andava a
trovar Rocco o compare Vanni, coi quali si stava allegri e se ne trovava sempre una nuova
da inventare.
Una volta inventarono di fare la serenata
allo zio Crocifisso, la notte in cui sera maritato colla Vespa, e condussero sotto
le finestre di lui tutti coloro cui lo zio Crocifisso non voleva prestare più un soldo,
coi cocci, e le pentole fesse, i campanacci del beccaio e gli zufoli di canna, a fare il
baccano e un casa del diavolo sino a mezzanotte, talché la Vespa lindomani
salzò più verde del solito, e se la prese con quella canaglia della Santuzza,
nella taverna della quale sera macchinata tutta quella birbonata, per gelosia che
lei se lera trovato il marito, onde stare in grazia di Dio, mentre le altre erano
sempre nel peccato mortale, e facevano mille porcherie, sotto labitino della
Madonna.
La gente gli rideva sul muso allo zio
Crocifisso, come lo vide sposo sulla piazza, vestito di nuovo, e giallo come un morto
dalla paura che gli aveva fatto la Vespa con quel vestito nuovo che costava denari. La
Vespa era sempre a spendere e spandere, che se lavessero lasciata fare avrebbe
vuotato il sacco in una settimana; e diceva che la padrona adesso era lei, tanto che tutti
i giorni cera il diavolo dallo zio Crocifisso. Sua moglie gli piantava le unghie
sulla faccia, e gli gridava che voleva aver le chiavi lei, e non voleva star sempre a
desiderare un pezzo di pane e un fazzoletto nuovo peggio di prima; perché se avesse
saputo quel che doveva venire dal matrimonio, con quel bel marito che le era toccato, si
sarebbe tenuta la chiusa e la medaglia di Figlia di Maria, piuttosto; già, tanto e tanto
avrebbe potuto portarla ancora, la medaglia di Figlia di Maria! E lui strillava che era
rovinato; che non era più padrone del fatto suo; che vera tuttora il colèra in
casa, e volevano farlo morire di crepacuore prima del tempo, per scialacquarsi
allegramente la roba che egli aveva stentato tanto a raggranellare! Lui pure, se avesse
saputo tutto questo, avrebbe mandato al diavolo la chiusa e la moglie; ché già lui di
moglie non ne aveva bisogno, e lavevano preso per il collo, facendogli credere che
la Vespa avesse acchiappato Brasi Cipolla, e stesse per scappargli insieme alla chiusa,
maledetta chiusa!
Giusto in quel punto si seppe che Brasi
Cipolla sera lasciato rubare dalla Mangiacarrubbe, come un bietolone, e padron
Fortunato li andava cercando per la sciara, e pel vallone, e sotto il ponte, colla
schiuma alla bocca, giurando e spergiurando che se li trovava voleva dar loro tante di
quelle pedate, e farsi venire le orecchie di suo figlio nelle mani. Lo zio Crocifisso a
quel discorso si cacciava le mani nei capelli anche lui, e diceva che la Mangiacarrubbe
laveva rovinato a non rapire Brasi una settimana prima. - Questa è stata la
volontà di Dio! andava dicendo picchiandosi il petto; - la volontà di Dio è stata che
io mavessi a pigliare la Vespa per castigo dei miei peccati! - E dei peccati doveva
avercene grossi assai, perché la Vespa gli avvelenava il pane in bocca, e gli faceva
soffrire le pene del purgatorio, notte e giorno. Per giunta poi si vantava di essergli
fedele, che non avrebbe guardato in faccia un cristiano, fosse giovane e bello come
Ntoni Malavoglia o Vanni Pizzuto, per tutto loro del mondo; mentre gli uomini
le ronzavano sempre attorno a tentarla come ci avesse il miele nelle gonnelle. - Se fosse
vero andrei a chiamarglielo io stesso colui! borbottava lo zio Crocifisso; - purché me la
levasse davanti! E diceva pure che avrebbe pagato qualche cosa a Vanni Pizzuto o a
Ntoni Malavoglia perché gli facessero le corna, giacché Ntoni faceva quel
mestiere. - Allora potrei mandarla via, quella strega che mi son cacciata in casa!
Ma Ntoni il mestiere lo faceva dove
era grasso, e ci mangiava e beveva, che era un piacere a vederlo. Ora portava la testa
alta, e se la rideva se il nonno gli diceva qualche parola a bassa voce; adesso era il
nonno che si faceva piccino, quasi il torto fosse suo. Ntoni diceva che se non lo
volevano in casa sapeva dove andare a dormire, nella stalla della Santuzza; e già non
spendevano nulla a casa sua per dargli da mangiare. Padron Ntoni, e Alessi, e Mena,
tutto quello che buscavano alla pesca, col telaio, al lavatoio, e con tutti gli altri
mestieri, potevano metterlo da parte, per quella famosa barca di San Pietro, colla quale
si guadagnava di rompersi le braccia tutti i giorni per un rotolo di pesce, o per la casa
del nespolo, nella quale si sarebbe andati a crepare allegramente di fame! tanto lui un
soldo non lavrebbe voluto; povero diavolo per povero diavolo, preferiva godersi un
po di riposo, finché era giovane, e non abbaiava la notte come il nonno. Il sole
cera lì per tutti, e lombra degli ulivi per mettersi al fresco, e la piazza
per passeggiare, e gli scalini della chiesa per stare a chiacchierare, e lo stradone per
veder passare la gente e sentir le notizie, e losteria per mangiare e bere cogli
amici. Poi quando gli sbadigli vi rompevano le mascelle, si giocava alla mora, o a
briscola; e quando infine si aveva sonno, ci era lì la chiusa dove pascevano i montoni di
compare Naso, per sdraiarsi a dormire il giorno, o la stalla di comare suor Mariangela
quando era notte.
- Che non ti vergogni di far questa vita?
gli disse alfine il nonno, il quale era venuto apposta a cercarlo colla testa bassa e
tutto curvo; e piangeva come un fanciullo nel dir così, tirandolo per la manica dietro la
stalla della Santuzza, perché nessuno li vedesse. - E alla tua casa non ci pensi? e ai
tuoi fratelli non ci pensi? Oh, se fossero qui tuo padre e la Longa! Ntoni!
Ntoni!...
- Ma voi altri ve la passate forse meglio
di me a lavorare, e ad affannarvi per nulla? È la nostra mala sorte infame! ecco
cosè! Vedete come siete ridotto, che sembrate un arco di violino, e sino a vecchio
avete fatto sempre la stessa vita! Ora che ne avete? Voi altri non conoscete il mondo, e
siete come i gattini cogli occhi chiusi. E il pesce che pescate ve lo mangiate voi? Sapete
per chi lavorate, dal lunedì al sabato, e vi siete ridotto a quel modo che non vi
vorrebbero neanche allospedale? per quelli che non fanno nulla e che hanno denari a
palate, lavorate!
- Ma tu non ne hai denari, né io ne ho!
Non ne abbiamo avuti mai, e ci siamo guadagnato il pane come vuol Dio; è per questo che
bisogna darsi le mani attorno, a guadagnarli, se no si muore di fame.
- Come vuole il diavolo, volete dire! Che
è tutta opera di Satanasso la nostra disgrazia! Ora sapete quel che vi aspetta quando non
potrete più darvele attorno le mani, perché i reumatismi le avranno ridotte come una
radica di vite? Vi aspetta il vallone sotto il ponte per andare a creparvi.
- No! no! esclamò il vecchio tutto
giulivo, e gettandogli al collo le braccia rattratte come radiche di vite. I denari per la
casa ci son già, e se tu ci aiuti...
- Ah! la casa del nespolo! Credete che sia
il più bel palazzo del mondo, voi che non avete visto altro?
- Lo so che non è il più bel palazzo del
mondo. Ma non dovresti dirlo tu che ci sei nato, tanto più che tua madre non ci è morta.
- Nemmeno mio padre non ci è morto. Il
nostro mestiere è di lasciare la pelle laggiù, in bocca ai pescicani. Almeno, finché
non ce la lascio, voglio godermi quel po di bene che posso trovare, giacché è
inutile logorarmi la pelle per niente! E poi? quando avrete la casa? e quando avrete la
barca? E poi? e la dote di Mena? e la dote di Lia?... Ah! sangue di Giuda ladro! che
malasorte è la nostra!
Il vecchio se ne andò desolato, scuotendo
il capo, col dorso curvo, ché le parole amare del nipote lavevano schiacciato
peggio di un pezzo di scoglio piombatogli sulla schiena. Adesso non aveva più coraggio
per nulla, gli cascavano le braccia, e aveva voglia di piangere. Non poteva pensare ad
altro, se non che Bastianazzo e Luca non ci avevano mai avuto pel capo quelle cose che ci
aveva Ntoni, e avevano sempre fatto senza lamentarsi quello che dovevano fare; e
mulinava pure che era inutile pensare alla dote di Mena, e di Lia, giacché non ci
sarebbero arrivati mai.
La povera Mena pareva che lo sapesse anche
lei, tanto era avvilita. Le vicine ora tiravano di lungo dinanzi alla porta dei
Malavoglia, come durasse il colèra, e la lasciavano sola, accanto alla sorella col
fazzoletto colle rose, o insieme alla Nunziata, e alla cugina Anna, quando esse facevano
la carità di venire a cianciare un po; giacché la cugina Anna ci aveva anche lei,
poveretta, quellubbriacone di Rocco, e oramai tutti lo sapevano; e la Nunziata era
troppo piccola quando quel bel mobile di suo padre laveva piantata per andarsene a
cercare fortuna altrove. Le poverette sintendevano fra di loro appunto per questo,
quando discorrevano a bassa voce, col capo chino, e le mani sotto il grembiule, ed anche
quando tacevano, senza guardarsi in viso, pensando ognuna ai casi suoi. - Quando si è
ridotti allo stato in cui siamo, diceva la Lia che parlava come una donna fatta, bisogna
aiutarsi da sé, e che ognuno pensi ai suoi interessi.
Don Michele di tanto in tanto si fermava a
salutarle o a dir qualche barzelletta; tanto che le donne si erano addomesticate col
berretto gallonato, e non ne avevano più paura; anzi la Lia sera lasciata andare a
dire anche lei le barzellette, e ci rideva sopra; né la Mena osava sgridarla, o andarsene
in cucina e lasciarla sola, ora che non avea più la madre; e restava lì anche lei
accasciata su di se stessa, guardando di qua e di là della strada con gli occhi stanchi.
Oramai come si vedeva che i vicini li avevano abbandonati, le si gonfiava il cuore di
riconoscenza ogni volta che don Michele con tutto il suo berretto gallonato non sdegnava
di fermarsi sulla porta dei Malavoglia a fare quattro chiacchiere. E se don Michele
trovava la Lia sola, la guardava negli occhi, tirandosi i mustacchi, col berretto
gallonato messo alla sgherra, e le diceva: - Che bella ragazza che siete, comare
Malavoglia!
Nessuno le aveva detto questo; perciò
ella si faceva rossa come un pomodoro.
- Come va che non vi siete maritata
ancora? le diceva anche don Michele.
Ella si stringeva nelle spalle, e
rispondeva che non lo sapeva.
- Voi dovreste avere la veste di lana e
seta, e gli orecchini lunghi; ché allora, in parola donore, gli fareste tenere il
candeliere a molte signore della città.
- La veste di lana e seta non fa per me,
don Michele! rispondeva Lia.
- O perché? La Zuppidda non lha? e
la Mangiacarrubbe, ora che ha acchiappato Brasi di padron Cipolla, non lavrà anche
lei? e la Vespa, se la vuole, non se la farà come le altre?
- Loro son ricche, loro!
- Sorte scellerata! esclamava don Michele
battendo col pugno sulla sciabola. Vorrei pigliare un terno al lotto, vorrei pigliare,
comare Lia! per farvi vedere cosa son capace di fare!
Alle volte don Michele aggiungeva: -
Permettete? - colla mano nel berretto, e si metteva a seder lì vicino sui sassi, mentre
non aveva da fare. Mena credeva che volesse stare lì per comare Barbara, e non gli diceva
nulla. Ma don Michele alla Lia le giurava che non era per la Barbara, e non ci aveva mai
pensato, sulla santa parola donore! Pensava a tuttaltro lui, se non lo sapeva
comare Lia!...
E si fregava il mento, o si tirava i baffi
guardandola come il basilisco. La ragazza si faceva di mille colori e si alzava per
andarsene. Però don Michele la prendeva per la mano, e le diceva: - Perché volete farmi
questa offesa, comare Malavoglia? Restate lì, che nessuno vi mangia.
Così, mentre aspettavano gli uomini dal
mare, passavano il tempo; ella sulla porta, e don Michele sui sassi, sminuzzando qualche
sterpolino per non sapere che fare, e le domandava: - Che ci verreste a stare nella
città?
- Quello è il posto per voi! Voi non
siete fatta per star qui, fra questi villani, in parola donore! Voi siete una roba
fine e di prima qualità, e siete fatta per stare in una bella casetta, e andare a spasso
alla Marina e alla Villa, quando cè la musica, vestita bene, come mintendo
io. Con un bel fazzoletto di seta in testa, e la collana dambra. Qui par di stare in
mezzo ai porci, parola mia donore! e non vedo lora di essere traslocato, che
mi hanno promesso di richiamarmi alla città collanno nuovo.
Lia si metteva a ridere della burla, e
scrollava le spalle, che lei non sapeva nemmeno come fossero fatte le collane dambra
e i fazzoletti di seta. Una volta poi don Michele tirò fuori in gran mistero un bel
fazzoletto giallo e rosso, colla sua brava carta, che lo aveva avuto da un contrabbando, e
voleva regalarlo a comare Lia.
- No! no! diceva lei tutta rossa. Non lo
piglio se mi ammazzate! - E don Michele insisteva: - Questa non me laspettavo,
comare Lia. Non me lo merito, vedete! - E dovette avvolgere unaltra volta il
fazzoletto nella carta e metterselo in tasca.
Dallora in poi, quando vedeva
spuntare il naso di don Michele, Lia correva a ficcarsi in casa, per paura che volesse
darle il fazzoletto. Don Michele aveva un bel passare e ripassare, e far brontolare la
Zuppidda colla schiuma alla bocca, e aveva un bellallungare il collo dentro
luscio dei Malavoglia, che non vedeva più nessuno, talché alla fine si decise di
entrare. Le ragazze, come se lo videro dinanzi, rimasero a bocca aperta, tremando quasi
avessero la terzana, e senza saper che fare. - Voi non lavete voluto il fazzoletto
di seta, comare Lia, dissegli alla ragazza, la quale sera fatta rossa come un
papavero, ma io sono tornato pel bene che voglio a voi altri. Che cosa fa vostro fratello
Ntoni?
Anche Mena si faceva rossa, quando le
domandavano che cosa facesse suo fratello Ntoni, perché non faceva nulla. E don
Michele continuò: - Ho paura che vi dia qualche dispiacere, a tutti voi altri, vostro
fratello Ntoni. Io vi sono amico e chiudo gli occhi; ma quando verrà qui un altro
brigadiere in vece mia, vorrà sapere che cosa va a fare vostro fratello con Cinghialenta,
la sera, verso il Rotolo, e con quellaltro buon arnese di Rocco Spatu, quando vanno
a passeggiare nella sciara, come se avessero delle scarpe da buttar via. Aprite
bene gli occhi anche voi a quel che vi dico ora, comare Mena; e ditegli pure che non
bazzichi tanto con quellimbroglione di Piedipapera, nella bottega di Pizzuto, che si
sa tutto, e nei guai poi ci resterà lui. Gli altri sono volpi vecchie, e sarebbe bene che
vostro nonno non lo facesse andare a passeggiare nella sciara, perché la sciara
non è fatta per andarci a passeggiare, e gli scogli del Rotolo ci sentono come se
avessero orecchie, ditegli, e vedono anche senza cannocchiale le barche che vanno
costeggiando quatte quatte verso limbrunire, come se andassero a pescar pipistrelli.
Ditegli questo, comare Mena, e ditegli pure che chi gli dà questavvertimento è un
amico il quale vi vuol bene. Quanto a compare Cinghialenta e Rocco Spatu, ed anche Vanni
Pizzuto, son tenuti docchio.
Vostro fratello si fida di Piedipapera, e
non sa che le guardie doganali hanno il tanto per cento sui contrabbandi, e per
sorprenderli bisogna dar la parte a uno della combriccola, e farlo cantare per chiapparla.
Di Piedipapera questo solo rammentategli: - Gli disse Gesù Cristo a San Giovanni, «degli
uomini segnati guardatene!». Lo dice pure il proverbio.
Mena sbarrava gli occhi, e impallidiva,
senza capir bene quel che ascoltava; ma sentiva già la paura che suo fratello avesse a
fare con quelli del berretto gallonato. Don Michele allora la prese per mano onde farle
animo, e seguitò.
- Se si sapesse che son venuto a dirvi
tutto questo, sarei fritto. Io mi giuoco il mio berretto gallonato, per il bene che vi
voglio a voi altri Malavoglia. Ma non mi piace che vostro fratello patisca qualche guaio.
No! non vorrei incontrarlo di notte in qualche brutto posto, nemmeno per acchiappare un
contrabbando di mille lire, parola mia donore!
Le povere ragazze non ebbero più pace,
dacché don Michele ebbe messo loro quella pulce nellorecchio. Non chiudevano occhio
nella notte, aspettando il fratello dietro luscio sino a tardi, tremando di freddo e
di paura, mentre egli andava cantando per le strade con Rocco Spatu ed altri della
combriccola, e alle povere ragazze pareva sempre di udire delle grida e delle
schioppettate, come quando avevano detto che cera stata la caccia delle quaglie a
due piedi.
- Tu va a dormire, ripeteva Mena alla
sorella. Tu sei troppo giovane, e certe cose non devi saperle.
Al nonno non diceva nulla per non dargli
questaltro crepacuore; ma a Ntoni, quando lo vedeva un poco calmo, che si
metteva a sedere tristamente sulla porta, col mento in mano, si faceva coraggio per
chiedergli: - Cosa vai a fare sempre con Rocco Spatu e Cinghialenta? Guardati che ti hanno
visto sulla sciara e verso il Rotolo. Guardati di Piedipapera. Sai il detto
dellantico che gli disse Gesù Cristo a San Giovanni: «Degli uomini segnati
guardatene!».
- Chi te lha detto? domandava
Ntoni, saltando su come un diavolo. Dimmi chi te lha detto?
- Don Michele me lha detto!
rispondeva lei colle lacrime agli occhi. Mha detto di guardarti di Piedipapera, che
per acchiappare un contrabbando bisogna dar la parte ad uno della combriccola.
- E non ti ha detto altro?
- No, non mi ha detto altro.
Ntoni allora giurava che non era
vero niente, e non lo dicesse al nonno. Poi si levava di là frettoloso, e se ne andava
allosteria a smaltire luggia, e se incontrava quelli del berretto gallonato,
faceva il giro più lungo per non vederli neanche nel battesimo. Già don Michele non
sapeva nulla, e parlava a casaccio, onde fargli paura, per la bizza che ci aveva contro di
lui dopo laffare della Santuzza, la quale laveva messo fuori della porta come
un cane rognoso. Alla fin fine egli non aveva paura di don Michele e dei suoi galloni, che
era ben pagato per succhiare il sangue del povero. Bella cosa! Don Michele non aveva
bisogno di cercare di aiutarsi in qualche maniera, così grasso e pasciuto! e non aveva
altro da fare che metter le mani addosso a qualche povero diavolo, se si industriava a
buscarsi come poteva un pezzo di dodici tarì. E quellaltra prepotenza che per
sbarcare la roba di fuori regno, bisognava pagare il dazio, come fosse roba rubata! e
doveva metterci il naso don Michele coi suoi sbirri! Loro erano padroni di mettere le mani
su ogni cosa, e prendere quello che volevano; ma gli altri, se cercavano a rischio della
pelle di fare come volevano per sbarcare la loro roba, passavano per ladri, e li
cacciavano peggio dei lupi colle pistole e le carabine. - Ma rubare ai ladri non è stato
mai peccato. Lo diceva anche don Giammaria nella bottega dello speziale. E don Franco
approvava col capo e con tutta la barba, sogghignando, che quando si faceva la repubblica
non se ne vedevano più di quelle porcherie. - E di quegli impiegati di Satanasso! -
aggiungeva il vicario. A don Giammaria gli cuoceva tuttora delle venticinque onze che gli
erano scappate di casa.
Ora donna Rosolina aveva perso anche la
testa, colle venticinque onze, e correva dietro a don Michele, per farsi mangiare il
resto. Come lo vedeva andare nella strada del Nero, credeva ci andasse per veder lei sul
terrazzino, e stava sempre al poggiuolo colla conserva dei pomidoro, e colle bocce dei
peperoni, per far vedere di che era capace; poiché non glielo avrebbero levato dalla
testa colle tenaglie che don Michele, colla sua pancia, ora che si era levato dal peccato
mortale colla Santuzza, non cercasse una donna di casa e di giudizio, come intendeva lei;
perciò lo difendeva, se suo fratello diceva corna del Governo e dei mangiapane, e
rispondeva: - Dei mangiapane come don Silvestro sì! che si mangiano un paese senza far
nulla; ma i dazii ci vogliono per pagare i soldati, che fanno bella vista colla montura, e
senza soldati ci mangeremmo come lupi fra di noi.
- Dei fannulloni pagati per portare il
fucile, e non altro! sogghignava lo speziale; come i preti, che prendono tre tarì per
messa. Dite la verità, don Giammaria, che capitale ci mettete voi nella messa che vi
pagano tre tarì?
- E voi che capitale ci mettete in
quellacqua sporca che vi fate pagare a sangue duomo? rimbeccava il vicario
colla schiuma alla bocca.
Don Franco aveva imparato a ridere come
don Silvestro, per far dannare lanima a don Giammaria; e continuava senza dargli
retta, ché aveva sperimentato il mezzo migliore per fargli perdere la tramontana: - In
mezzora si guadagnano la loro giornata, e poi sono a spasso tutto il giorno; tale e
quale come don Michele il quale sembra un uccellaccio perdigiorno, sempre là per i piedi,
dacché non va più a scaldare le panche della Santuzza.
- Per questo ce lha con me, entrava
a dire Ntoni; è arrabbiato come un cane, e vuol fare il prepotente perché ci ha la
sciabola. Ma, sangue della Madonna! una volta o laltra voglio dargliela sul muso la
sua sciabola, per fargli vedere che me ne infischio, io!
- Bravo! esclamava lo speziale, così va
fatto! Bisogna che il popolo mostri i denti. Ma lontano di qua, ché non voglio pasticci
nella mia spezieria. Al Governo non parrebbe vero di tirarmi nellimbroglio pei
capelli; ma a me non mi piace aver che fare coi giudici e con tutta quella canaglia della
baracca.
Ntoni Malavoglia levava i pugni al
cielo, e giurava e sacramentava per Cristo e per la Madonna che voleva finirla, avesse
dovuto andare in galera; già egli non aveva niente da perdere. La Santuzza non lo
guardava più dello stesso occhio, tante gliene aveva dette quel paneperso di suo padre,
piagnucolando fra unavemaria e laltra, dopo che massaro Filippo non mandava
più il vino allosteria! Le diceva che gli avventori cominciavano a diradare come le
mosche a SantAndrea, dacché non ci trovavano più il vino di massaro Filippo, al
quale erano avvezzi come il bambino alla poppa. Lo zio Santoro ogni volta ripeteva alla
figliuola: - Che vuoi farne di quellaffamato di Ntoni Malavoglia? Non vedi che
ti mangia tutta la roba senza frutto? Tu lo ingrassi meglio di un maiale, e poi va a fare
il cascamorto colla Vespa e colla Mangiacarrubbe, ora che sono ricche. E le diceva pure: -
Gli avventori se ne vanno perché egli ti sta sempre alla gonnella, e non ti lascia un
momento da dirti una barzelletta. Oppure: - Così lacero e sudicio è una porcheria
avercelo per la bettola; che sembra tutta una stalla, e la gente ha schifo di beverci nei
bicchieri. Don Michele sì che ci stava bene sulla porta, coi galloni nel berretto. La
gente che paga il vino, vuol berselo in santa pace, ed è contenta di vedere uno colla
sciabola lì davanti. Poi tutti gli facevano di berretto, e nessuno ti avrebbe negato un
soldo se te lo doveva, quando era segnato col carbone sul muro. Ora che non cè più
lui, non viene nemmeno massaro Filippo. Laltra volta è passato di qua, ed io volevo
farlo entrare; ma ei dice che è inutile venirci, giacché il mosto non può farlo passare
più di contrabbando, ora che sei in collera con don Michele. Una cosa che non è buona
né per lanima né pel corpo. La gente comincia perfino a mormorare che a
Ntoni gli fai la carità pelosa, giacché massaro Filippo non ci viene più, e
vedrai come andrà a finire! Vedrai che arriverà allorecchio del vicario, e ti
leveranno la medaglia di Figlia di Maria.
La Santuzza teneva duro ancora, perché in
casa sua voleva essere sempre la padrona; ma cominciava ad aprire gli occhi anche lei,
giacché tutto quello che le diceva suo padre era il santo evangelio, e non trattava più
Ntoni come prima. Se cera un rimasuglio da riporre in serbo nel piatto, non lo
dava più a lui, e gli metteva dellacqua sporca nei fondi di bicchiere; sicché
Ntoni alla fine cominciò a fare il viso lungo, e la Santuzza gli rispose che i
fannulloni non le piacevano, e lei e suo padre se lo guadagnavano il pane, così pure
avrebbe dovuto far lui, e aiutare un po nella casa, a spaccar legna o a soffiare nel
fuoco, invece di starsene come un lazzarone a vociare e dormire colla testa fra le braccia
o a sputacchiare per terra dappertutto, che faceva un mare e non si sapeva più dove
mettere i piedi.
Ntoni un po andò a spaccar
legna, brontolando, o a soffiar nel fuoco, per fare meno fatica. Ma gli era duro lavorare
tutto il giorno come un cane, peggio di quello che faceva un tempo a casa sua, per vedersi
trattare peggio di un cane a sgarbi e parolacce, in grazia di quei piatti sporchi che gli
davano da leccare. Una volta finalmente, mentre la Santuzza tornava dal confessarsi col
rosario in mano, le fece una scenata, lagnandosi che questo avveniva perché don Michele
era tornato a girandolare davanti allosteria, che laspettava anche sulla
piazza, quando andava a confessarsi, e lo zio Santoro gli gridava dietro per salutarlo,
quando sentiva la sua voce, e andava a cercarlo fin nella bottega di Pizzuto, tastando i
muri col bastone per trovar la strada. La Santuzza allora cominciò a fare il diavolo, e
rispondergli che era venuto apposta per farle fare peccati, mentre aveva lostia in
bocca, e farle perdere la comunione. - Se non vi piace andatevene! gli diceva. Io non
voglio dannarmi lanima per voi; e non vi ho detto nulla quando ho saputo che correte
dietro le donnacce come la Vespa e la Mangiacarrubbe, ora che sono malmaritate. Correte a
trovarle, che ora ci hanno il truogolo in casa, e cercano il maiale. - Ma Ntoni
giurava che non era vero, e a lui non gliene importava di queste cose; alle femmine non ci
pensava più, e avrebbe potuto sputargli in faccia se lo vedeva parlare con unaltra
donna.
- No, così non te lo levi dai piedi,
ripeteva intanto lo zio Santoro. Non vedi come è attaccato al pane che ti mangia? Bisogna
rompere la pentola per aggiustarla. Bisogna farlo mettere fuori a pedate. Massaro Filippo
mi ha detto che il mosto non può tenerlo più nelle botti, e lo venderà ad altri se tu
non fai la pace con don Michele, e non ti riesce di farlo entrare di contrabbando come
prima! - E tornava a cercare massaro Filippo nella bottega di Pizzuto, tastando i muri col
bastone. Sua figlia faceva la sdegnosa, protestando che non avrebbe mai piegato il capo a
don Michele dopo la partaccia che colui le aveva fatto. - Lascia fare a me che
laggiusto io! assicurava lo zio Santoro. - Farò le cose con giudizio. Non ti
lascerei fare la figura di tornare a leccare gli stivali a don Michele; sono tuo padre o
no, santo Dio?
Ntoni, dacché la Santuzza gli
faceva degli sgarbi, bisognava che pensasse come pagare il pane che gli davano
allosteria, giacché a casa sua non osava comparire, e quei poveretti intanto
pensavano a lui quando mangiavano la loro minestra senza appetito, come se anchegli
fosse morto, e non stendevano nemmeno la tovaglia, sparpagliati per la casa, colla
scodella sulle ginocchia. - Questo è lultimo colpo, per me che sono vecchio! -
ripeteva il nonno; e chi lo vedeva passare colle reti in spalla, per andare a giornata,
diceva: - Questa è lultima invernata per padron Ntoni. Poco ci vorrà che
tutti quegli orfani rimangono sulla strada. - E la Lia, se la Mena le diceva di ficcarsi
dentro quando passava don Michele, rispondeva con tanto di bocca:
- Sì! bisogna ficcarsi in casa, quasi
fossi un tesoro! Sta tranquilla che di tesori come noi non ne vogliono neppure i cani!
- Oh! se tua madre fosse qui, non diresti
così! mormorava Mena.
- Se mia madre fosse qui, non sarei
orfana, e non dovrei pensarci da me ad aiutarmi. E nemmeno Ntoni andrebbe per le
strade, che è una vergogna sentirsi dire che siamo sue sorelle, e nessuno vorrà
prendersi in moglie la sorella di Ntoni Malavoglia.
Ntoni, ora che era in miseria, non
aveva più ritegno di mostrarsi insieme a Rocco Spatu e a Cinghialenta per la sciara
e verso il Rotolo, e a discorrere sottovoce tra di loro, colla faccia scura, a guisa di
lupi affamati. Don Michele le tornava a dire alla Mena: - Vostro fratello vi darà qualche
dispiacere, comare Mena!
Mena era ridotta ad andare a cercare il
fratello sulla sciara anche lei, e verso il Rotolo, o sulla porta
dellosteria; e piangeva e singhiozzava, tirandolo per la manica della camicia. Ma
egli rispondeva:
- No! È don Michele che mi vuol male, te
lho detto. Sta sempre a macchinar birbonate contro di me collo zio Santoro. Li ho
sentiti io nella bottega di Pizzuto, che lo sbirro gli diceva: - E se tornassi dalla
vostra figlia, che figuraccia ci farei? - E lo zio Santoro rispondeva: - Oh bella! se vi
dico che tutto il paese si mangerebbe i gomiti dallinvidia!
- Ma tu cosa vuoi fare? ripeteva Mena
colla faccia pallida. Pensa alla mamma, Ntoni, e pensa a noi che non abbiamo più
nessuno!
- Niente! Voglio svergognare lui e la
Santuzza davanti a tutto il paese, quando vanno alla messa! Voglio dir loro il fatto mio,
e far ridere la gente. Già non ho paura di nessuno al mondo; e mi sentirà anche lo
speziale lì vicino.
Mena infatti aveva un bel piangere e un
bel pregare, egli tornava a dire che non aveva nulla da perdere, e dovevano pensarci gli
altri più di lui; che era stanco di fare quella vita, e voleva finirla - come diceva don
Franco. E siccome allosteria lo vedevano di malocchio, andava a girandolare per la
piazza, specialmente la domenica, e si metteva sugli scalini della chiesa per vedere che
faccia facevano quegli svergognati che venivano lì a gabbare il mondo, e far le corna al
Signore e alla Madonna sotto i loro occhi stessi.
La Santuzza, dacché incontrava
Ntoni che faceva la sentinella sulla porta della chiesa, se ne andava ad Aci
Castello per la messa, di buon mattino, onde sfuggire la tentazione di far peccati.
Ntoni vedeva passare la Mangiacarrubbe, col naso nella mantellina, senza guardar
più nessuno, ora che aveva acchiappato il marito. La Vespa, tutta in fronzoli, e con
tanto di rosario in mano, andava a pregare il Signore a liberarla di quel castigo di Dio
di suo marito; e Ntoni sghignazzava loro dietro: - Ora che lhanno pescato il
marito non hanno più bisogno di nulla. Ci è chi deve pensare a dar loro da mangiare!
Lo zio Crocifisso aveva persa anche la
devozione, dacché si era messa la Vespa addosso, e non andava nemmeno in chiesa, per
stare lontano dalla moglie almeno il tempo della messa; così si dannava lanima.
- Questo è lultimo anno per me!
andava piagnucolando; e adesso correva a cercare padron Ntoni, e gli altri
disgraziati al pari di lui. - Nella mia vigna ci ha grandinato, e alla vendemmia non ci
arrivo di certo.
- Sapete, zio Grocifisso, rispondeva
padron Ntoni; quando vogliamo andare dal notaio per quellaffare della casa io
son pronto, e ci ho qui i denari. - Colui non pensava ad altro che alla sua casa, e non
gliene importava un corno degli affari degli altri.
- Non mi parlate di notaio, padron
Ntoni! Quando sento parlare di notaio, mi rammento del giorno in cui mi ci lasciai
trascinare dalla Vespa, maledetto sia il giorno che ci misi i piedi!
Ma compare Piedipapera che fiutava la
senseria, gli diceva: - Quella strega della Vespa, se morite voi, è capace di dargliela
per un pezzo di pane la casa del nespolo; ed è meglio che li facciate voi i vostri
affari, finché ci avete gli occhi aperti.
Allora lo zio Crocifisso rispondeva: -
Sì, sì, andiamo pure dal notaio; ma bisogna che mi facciate guadagnare qualche cosa su
questo affare. Vedete quante perdite ho fatte! - E Piedipapera aggiungeva, fingendo di
parlare con lui: - Quella strega di vostra moglie se sa che avete ripreso i denari della
casa, è capace di strozzarvi, per comprarsene tante collane e fazzoletti di seta. - E
diceva pure: - Almeno la Mangiacarrubbe non ne compra più collane e fazzoletti di seta,
ora che ha acchiappato il marito. La vedete come viene a messa con una vesticciuola di
cotonina!
- A me non me ne importa della
Mangiacarrubbe, ma avrebbero dovuto bruciarla viva anche lei, con tutte le altre donne che
sono al mondo per farci dannare lanima. Che ci credete che non compra più nulla?
Tutta impostura per minchionare padron Fortunato, il quale va gridando che vuole pigliarsi
una di mezzo alla strada, piuttosto che lasciar godere la roba sua a quella pezzente la
quale gli ha rubato il figliuolo. Io per me gli regalerei la Vespa, se la volesse! Tutte
le stesse! e guai a chi ci capita, per sua disgrazia! che il Signore leva il lume. Vedete
don Michele, che va nella strada del Nero, per far locchietto con donna Rosolina;
cosa gli manca a costui? Rispettato, ben pagato, con tanto di pancia!... Ebbene! corre
dietro alle donne anche lui per cercarsi i guai colla lanterna; per la speranza di quei
quattro soldi del vicario.
- No, egli non ci viene per donna
Rosolina, no! diceva Piedipapera ammiccandogli di nascosto. - Donna Rosolina può farci le
radiche sul terrazzino in mezzo ai suoi pomidoro, a fargli locchio di pesce morto. A
don Michele non gliene importa nulla dei denari del vicario. Lo so io cosa va a fare nella
strada del Nero!
- Dunque cosa pretendete per la casa?
tornò a dire padron Ntoni.
- Ne parleremo, ne parleremo quando saremo
dal notaio, rispose lo zio Crocifisso. Adesso lasciatemi ascoltare la santa messa; e in
tal modo lo mandava via mogio mogio.
- Don Michele ci ha altro per la testa, -
ripeteva Piedipapera, cacciando fuori tanto di lingua dietro le spalle di padron
Ntoni, e accennando collocchio a suo nipote, il quale andava ad appollaiarsi
sui muri, con un pezzo di giubbone sulle spalle, saettando delle occhiatacce sullo zio
Santoro, il quale aveva preso a venire alla messa, per stendere la mano ai fedeli,
borbottando avemarie e gloriapatri, e conosceva tutti ad uno ad uno, come la folla usciva
dalla chiesa, dicendo alluno: - Il Signore vi dia la provvidenza! e a
quellaltro: - Tanta salute! - e come gli passò accanto don Michele gli disse pure:
- Andateci che vi aspetta nellorto dietro la tettoia. Santa Maria, ora pro nobis!
Signore Iddio perdonatemi!...
La gente, appena don Michele tornò a
bazzicare dalla Santuzza, diceva: - Fecero pace cani e gatti! Vuol dire che ci era sotto
qualche cosa per tenersi il broncio. E come massaro Filippo era pure tornato
allosteria: - Anche quellaltro! Che non sa starci senza don Michele? È segno
che è innamorato di don Michele, piuttosto che della Santuzza. Certuni non sanno star
soli neppure in paradiso.
Allora Ntoni Malavoglia masticava
bile, vedendosi scacciato a pedate fuori della bettola peggio di un cane rognoso, senza un
baiocco in tasca per andare a bere sul mostaccio a don Michele, e piantarsi là tutto il
giorno, coi gomiti sul desco, a far loro mangiare il fegato. Invece gli toccava star sulla
strada come un cagnaccio, colla coda fra le gambe e il muso a terra, borbottando: - Sangue
di Giuda! un giorno o laltro succederà una commedia, succederà!
Rocco Spatu, e Cinghialenta, che avevano
sempre qualche soldo, gli ridevano sul naso, dalla porta della taverna, facendogli le
corna; e venivano a parlargli sottovoce, tirandolo pel braccio verso la sciara e
parlandogli nellorecchio. Egli tentennava sempre a dir di sì, come un minchione che
era. Allora gli rinfacciavano: - Ti sta bene a morir di fame, lì davanti, e a vederti far
le corna sotto agli occhi tuoi stessi da don Michele, carogna che sei!
- Sangue di Giuda! non dite così! gridava
Ntoni col pugno in aria, - che un giorno o laltro faccio succedere una
commedia, faccio succedere!
Ma gli altri lo piantavano lì, alzando le
spalle, sghignazzando; tanto che infine gli fecero montare la mosca al naso; e andò a
piantarsi proprio nel bel mezzo dellosteria, giallo come un morto, col pugno sul
fianco, e il giubbone vecchio sulle spalle, che pareva ci avesse un vestito di velluto,
girando gli occhiacci intorno per stuzzicare chi sapeva lui. Don Michele, per amore dei
galloni, fingeva di non vederlo, e cercava di andarsene; ma Ntoni ora che don
Michele faceva il minchione si sentiva crescere il fegato, e gli rideva e gli sghignazzava
sul mostaccio, a lui e alla Santuzza; e sputava sul vino che beveva, dicendo che era
tossico di quello che avevano dato a Gesù sacramentato! - E battezzato per giunta, che la
Santuzza ci aveva messa lacqua, ed era una vera minchioneria venire a lasciarsi
rubare i soldi in quella bettolaccia; per questo ei non ci veniva più! - La Santuzza,
toccata nel debole, non seppe più contenersi, e gli disse che non ci veniva più perché
erano stanchi di mantenerlo per carità, che erano stati costretti a cacciarlo fuori
delluscio colla scopa, tanto era affamato. Allora Ntoni cominciò a fare il
diavolo, gridando e rompendo i bicchieri, che lavevano messo fuori per tirarsi in
casa quellaltro baccalà col berretto gallonato; ma gli bastava lanima di
fargli uscire il vino dal naso, se voleva, perché lui non aveva paura di nessuno. Don
Michele, giallo anche lui, col berretto di traverso, balbettava: - Per la santa parola
donore, stavolta finisce brutta! - intanto che la Santuzza faceva piovere i
bicchieri e le mezzette addosso a tutti e due. Così finalmente si azzuffarono e
cominciarono a darsi dei pugni, e a rotolarsi sotto le panche, che volevano mangiarsi il
naso, mentre la gente li prendeva a calci e a pugni per separarli; e ci riescì infine
Peppi Naso colla cinghia di cuoio che sera levata dai calzoni, e dove arrivava
levava il pelo.
Don Michele si spolverò la montura, andò
a raccattare la sciabola che aveva persa, e se ne uscì borbottando fra i denti,
senzaltro, per amor dei galloni. Ma Ntoni Malavoglia, il quale mandava un
fiume di sangue dal naso, vedendolo sgattaiolare, non lo potevano tenere dal gridargli
dietro un mare dimproperi dalla porta dellosteria, mostrandogli il pugno, e
asciugandosi colla manica il sangue che gli colava dal naso; e gli prometteva che voleva
dargli il resto quando lincontrava.
© 1996 - by prof. Giuseppe Bonghi - E-mail: Giuseppe.Bonghi@mail.fausernet.novara.it
Ultimo aggiornamento: 11 febbraio 1998