Giovanni Verga
I Malavoglia
Capitolo IX
Né i Malavoglia, né alcun altro in
paese sapevano di quel che stavano almanaccando Piedipapera collo zio Crocifisso. Il
giorno di Pasqua padron Ntoni prese quelle cento lire che ci erano nel canterano, e
si mise il giubbone nuovo per andare a portarle allo zio Crocifisso.
- Che sono tutte qui? disse costui.
- Tutte non ci possono essere, zio
Crocifisso; voi lo sapete quel che ci vuole a far cento lire. Ma «meglio poco che nulla»
e «chi dà acconto non è cattivo pagatore». Ora viene lestate, e collaiuto
di Dio pagheremo ogni cosa.
- A me perché venite a contarmela? Sapete
che non centro, ed è affare di compare Piedipapera.
- E tutta una cosa, perché il debito mi
pare di avercelo sempre con voi, quando vi vedo. A voi compare Tino non vi dirà di no,
per aspettare sino alla Madonna dellOgnina.
- Queste qui non bastano per le spese!
ripeteva Campana di legno, facendo saltare i denari nella mano. Andate a dirglielo voi se
vuole aspettarvi; perché non è più affar mio.
Piedipapera cominciò a bestemmiare e a
buttare il berretto per terra, al solito suo, dicendo che non aveva pane da mangiare, e
non poteva aspettare nemmeno sino allAscensione.
- Sentite, compare Tino, gli diceva padron
Ntoni colle mani giunte come dinanzi al Signor Iddio, se non mi volete aspettare
sino a San Giovanni, ora che sto per maritare mia nipote, è meglio che mi diate un colpo
di coltello addirittura.
- Santo diavolone! gridò compare Tino, mi
fate fare quello che non posso, maledetto sia il giorno e il minuto in cui mi misi in
questimbroglio! e se ne andò stracciando il berretto vecchio.
Padron Ntoni tornò a casa ancora
pallido, e disse alla nuora: - Ce lho tirato, ma ho dovuto pregarlo come Dio, - e
tremava ancora il poveretto. Però era contento che padron Cipolla non ne sapesse nulla, e
il matrimonio della nipote non andasse in fumo.
La sera dellAscensione, mentre i
ragazzi saltavano attorno ai falò, le comari si erano riunite di nuovo dinanzi al
ballatoio dei Malavoglia, ed era venuta anche comare Venera la Zuppidda a sentir quello
che si diceva, e a dir la sua. Oramai come padron Ntoni maritava la nipote, e la Provvidenza
sera rimessa in gambe, tutti tornavano a far buon viso ai Malavoglia, che non sapevano
nulla di quel che ci aveva nello stomaco Piedipapera, nemmeno comare Grazia, sua moglie,
la quale chiacchierava con comare Maruzza quasi suo marito non ci avesse niente di male
nello stomaco. Ntoni andava ogni sera a far quattro chiacchiere colla Barbara e le
aveva confidato che il nonno aveva detto: Prima deve maritarsi la Mena. - E dopo vengo io!
- conchiuse Ntoni. La Barbara perciò aveva mandato in regalo alla Mena il vaso del
basilico, tutto ornato di garofani, e con un bel nastro rosso, che era linvito di
farsi comare; e tutti le facevano festa, a SantAgata, persino sua madre sera
levata il fazzoletto nero, perché dove ci sono sposi è di malaugurio portare il lutto; e
avevano scritto anche a Luca, per dargli la notizia che Mena si maritava.
Ella sola, poveretta, non sembrava allegra
come gli altri, e pareva che il cuore le parlasse e le facesse vedere ogni cosa in nero,
mentre i campi erano tutti seminati di stelline doro e dargento, e i ragazzi
infilavano le ghirlande per lAscensione, ed ella stessa era salita sulla scala per
aiutare sua madre ad appendere le ghirlande alluscio e alle finestre.
Mentre tutte le porte erano fiorite,
soltanto quella di compare Alfio, nera e sgangherata, stava sempre chiusa, e non
cera più nessuno che vi appendesse i fiori dellAscensione.
- Quella civetta di SantAgata!
andava dicendo la Vespa colla schiuma alla bocca, tanto ha detto e tanto ha fatto che ha
mandato via dal paese compar Alfio!
Intanto a SantAgata le avevano messa
la veste nuova, e aspettavano la festa di San Giovanni per toglierle la spadina
dargento dalle trecce, spartirle i capelli sulla fronte, prima dandare in
chiesa, sicché ognuno al vederla passare diceva: - Beata lei!
La mamma invece, poveretta, si sentiva
dentro tutta in festa, perché la sua ragazza andava in una casa dove non le sarebbe
mancato nulla, e intanto ella era sempre in faccende a tagliare e cucire. Padron
Ntoni voleva vedere anche lui, quando tornava a casa la sera, e teneva la tela e la
matassa del cotone, e ogni volta che andava alla città portava qualche cosuccia. Il cuore
tornava ad aprirsi col bel tempo, i ragazzi guadagnavano tutti, chi più chi meno, e la Provvidenza
si buscava il pane anchessa, e facevano il conto che collaiuto di Dio a San
Giovanni si sarebbero cavati dimbarazzo. Padron Cipolla allora stava delle sere
intere seduto sugli scalini della chiesa con padron Ntoni, a discorrere di quel che
aveva fatto la Provvidenza. Brasi girandolava sempre per la straduccia dei
Malavoglia, col vestito nuovo; e poco dopo si seppe per tutto il paese che quella domenica
comare Grazia Piedipapera andava lei a spartire i capelli della sposa, e a levarle la
spadina dargento, perché Brasi Cipolla era orfano della madre, e i Malavoglia
avevano invitato lo zio Crocifisso, e tutto il vicinato, e tutti gli amici e i parenti,
senza risparmio.
- Io non ci vengo! borbottava lo zio
Crocifisso a compare Tino, colle spalle allolmo della piazza. Ho mangiato troppa
bile e non voglio dannarmi lanima. Andateci voi che non ve ne importa niente, e non
si tratta della roba vostra. Ancora cè tempo per mandare lusciere; lha
detto lavvocato.
- Voi siete il padrone, e farò come dite
voi. Adesso non ve ne importa più perché Alfio Mosca se ne è andato. Ma vedrete che
appena si marita Mena, egli torna qui e si piglia vostra nipote.
Comare Venera la Zuppidda faceva il
diavolo perché avevano invitato comare Grazia a pettinare la sposa, mentre sarebbe
toccato a lei, che stava per diventare parente dei Malavoglia, e la sua figliuola
sera fatta comare di basilico con la Mena, tanto che aveva fatto cucire alla Barbara
in fretta e furia la veste nuova, ché non se laspettava quellaffronto.
Ntoni ebbe un bel pregarla e scongiurarla di non attaccarsi a quel pelo, e lasciar
correre. Comare Venera, tutta pettinata, e colle mani intrise di farina, che sera messa
apposta ad impastare il pane, per far vedere che non le importava più dandare al
convito dei Malavoglia, rispondeva:
- Avete voluto la Piedipapera? tenetevela!
O lei o io! Tutte e due al mondo non possiamo starci.
I Malavoglia lo sapevano bene di aver
preferito comare Grazia per amore di quei denari che dovevano a suo marito. Adesso erano
tutti una cosa con compare Tino, dopo che padron Cipolla gli aveva fatto fare la pace con
Ntoni di padron Ntoni nellosteria della Santuzza, per quellaffare
dei pugni.
- Gli leccano le scarpe perché gli devono
quei soldi della casa! andava borbottando la Zuppidda.
- Anche a mio marito gli devono più di
cinquanta lire per la Provvidenza. Domani voglio farmele dare.
- Lasciate stare, mamma! lasciate stare!
supplicava la Barbara. Ma anchella aveva tanto di muso, perché non aveva potuto
mettere la veste nuova, e quasi quasi si pentiva dei soldi spesi pel basilico che aveva
mandato a comare Mena; e Ntoni il quale era venuto a prenderle, lo rimandarono mogio
mogio, che il giubbone nuovo gli cascava di dosso. Madre e figlia poi stavano a guardare
dal cortile, mentre infornavano il pane, la babilonia che cera a casa dei
Malavoglia, tanto che le voci e le risate si udivano fin là, per farle arrabbiare
maggiormente. La casa del nespolo era piena di gente, come quando era morto compare
Bastianazzo; e Mena, senza spadina dargento e coi capelli spartiti sulla fronte,
pareva tuttaltra, talché tutte le comari le facevano ressa intorno, e non si
sarebbe sentita una cannonata dal cicaleccio e dalla festa. Piedipapera sembrava che
facesse il solletico alle donne, tante ne diceva, mentre lavvocato stava preparando
le carte, giacché a mandare lusciere cera tempo, aveva detto lo zio
Crocifisso; persino padron Cipolla si lasciò andare a dire delle barzellette, alle quali
rideva soltanto suo figlio Brasi; e tutti parlavano in una volta, mentre i monelli si
disputavano le fave e le castagne fra le gambe della gente. La stessa Longa, poveretta,
aveva dimenticato i suoi guai dalla contentezza; e padron Ntoni, seduto sul
muricciuolo, diceva di sì col capo, e rideva tutto solo.
- Bada a non dar da bere ai tuoi calzoni,
come laltra volta, che non hanno sete, diceva al figlio compar Cipolla; e diceva
pure che si sentiva in gamba meglio della sposa e voleva ballare la fasola con lei.
- Allora io non ho più nulla da far qui,
e me ne posso andare! rispondeva Brasi il quale voleva dire le sue barzellette anche lui,
e gli seccava che lo lasciavano in un cantuccio come un minchione, e non gli dava retta
nemmeno comare Mena.
- La festa si fa per comare Mena, diceva
la Nunziata, ma essa non è contenta come tutti gli altri.
Allora la cugina Anna finse che le
scappasse di mano il boccale, nel quale cera ancora più di un quartuccio di vino, e
cominciò a gridare:
- Allegria! allegria! «Dove ci sono i
cocci ci son feste», e il vino che si spande è di buon augurio.
- Un altro po me lo versava sui
calzoni anche questa volta! brontolò Brasi, il quale dacché gli era accaduta quella
disgrazia sul vestito stava guardingo.
Piedipapera sera messo a cavalcioni
sul muro, col bicchiere fra le gambe, che sembrava il padrone, per quellusciere che
poteva mandare, e disse: - Allosteria non cè nemmeno Rocco Spatu, oggi tutta
lallegria è qui, e pare di essere dalla Santuzza.
- Qui è meglio assai! osservò il figlio
della Locca, il quale era venuto in coda alla folla, e lavevano fatto entrare per
dare da bere anche a lui. Dalla Santuzza se ci andate senza denari non vi danno niente.
Piedipapera dal muro stava guardando un
piccolo crocchio di persone che discorrevano fra di loro vicino alla fontana, colla faccia
seria come se fosse per cascare il mondo. Alla spezieria cerano i soliti sfaccendati, che
si dicevano le orazioni, col giornale in mano, o si piantavano le mani sulla faccia,
chiacchierando, quasi volessero accapigliarsi; e don Giammaria rideva e ci tirava su una
presa, che si vedeva di là il piacere che gli faceva.
- O perché non sono venuti il vicario e
don Silvestro? domandò Piedipapera.
- Glielho detto anche a loro, ma
vuol dire che hanno da fare, rispose padron Ntoni.
- Son là, alla spezieria, che sembra ci
sia quello dei numeri del lotto. O cosa diavolo è successo?
Una vecchia andava strillando per la
piazza, e si strappava i capelli, quasi le avessero portato la malanuova; e davanti alla
bottega di Pizzuto cera folla come quando casca un asino sotto il carro, e tutti si
affollano a vedere cosè stato, talché anche le donnicciuole guardavano da lontano
colla bocca aperta, senza osare daccostarsi.
- Io, per me, vado a vedere cosè
successo; disse Piedipapera, e scese dal muro adagio adagio.
In quel crocchio, invece dellasino
caduto, cerano due soldati di marina, col sacco in spalla e le teste fasciate, che
tornavano in congedo. Intanto si erano fermati dal barbiere a farsi dare un bicchierino
derbabianca. Raccontavano che si era combattuta una gran battaglia di mare, e si
erano annegati dei bastimenti grandi come Aci Trezza, carichi zeppi di soldati; insomma un
mondo di cose che parevano quelli che raccontavano la storia dOrlando e dei paladini
di Francia alla Marina di Catania, e la gente stava ad ascoltare colle orecchie tese,
fitta come le mosche.
- Il figlio di Maruzza la Longa ci era
anche lui sul Re dItalia, osservò don Silvestro, il quale si era accostato
per sentire.
- Ora vado a dirlo a mia moglie! saltò su
mastro turi Zuppiddu, così si persuaderà ad andarci da comare Maruzza, ché i musi
lunghi non mi piacciono fra vicini ed amici.
Ma intanto la Longa non ne sapeva nulla,
poveraccia! e rideva ed era in festa coi parenti e gli amici. Il soldato non finiva di
chiacchierare con quelli che volevano ascoltarlo, giocando colle braccia come un
predicatore. - Sì, cerano anche dei siciliani; ce nerano di tutti i paesi.
Del resto, sapete, quando suona la generale nelle batterie, non si sente più né scìa
né vossìa, e le carabine le fanno parlar tutte allo stesso modo. Bravi giovanotti
tutti! e con del fegato sotto la camicia. Sentite, quando si è visto quello che hanno
veduto questi occhi, e come ci stavano quei ragazzi a fare il loro dovere, per la madonna!
questo cappello qui lo si può portare sullorecchio.
Il giovanotto aveva gli occhi lustri, ma
diceva che non era nulla, ed era perché aveva bevuto. - Si chiamava il Re
dItalia, un bastimento come non ce ne erano altri, colla corazza, vuol dire come
chi dicesse voi altre donne che avete il busto, e questo busto fosse di ferro, che
potrebbero spararvi addosso una cannonata senza farvi nulla. E andato a fondo in un
momento, e non labbiamo visto più, in mezzo al fumo, un fumo come se ci fossero
state venti fornaci di mattone, lo sapete?
- A Catania cera una casa del diavolo!
aggiunse lo speziale.
- La gente si affollava attorno a quelli
che leggevano i giornali, che pareva una festa.
- I giornali son tutte menzogne stampate!
sentenziò don Giammaria.
- Dicono che è stato un brutto affare;
abbiamo perso una gran battaglia, disse don Silvestro.
Padron Cipolla era accorso anche lui a
vedere cosera quella folla.
- Voi ci credete? sogghignò egli alfine.
Son chiacchiere per chiappare il soldo del giornale.
- Se lo dicono tutti che abbiamo perso!
- Che cosa? disse lo zio Crocifisso
mettendosi una mano dietro lorecchio.
- Una battaglia.
- Chi lha persa?
- Io, voi, tutti insomma, lItalia;
disse lo speziale.
- Io non ho perso nulla! rispose Campana
di legno stringendosi nelle spalle; adesso è affare di compare Piedipapera e ci penserà
lui; e guardava la casa del nespolo, dove facevano baldoria.
- Sapete comè? conchiuse padron
Cipolla, è come quando il Comune di Aci Trezza litigava pel territorio col Comune di Aci
Castello. Cosa ve nentrava in tasca, a voi e a me?
- Ve nentra! esclamò lo speziale
tutto rosso. Ve nentra... che siete tante bestie!...
- Il guaio è per tante povere mamme!
sarrischiò a dire qualcheduno; lo zio Crocifisso che non era mamma alzò le spalle.
- Ve lo dico io in due parole comè;
raccontava intanto laltro soldato. E come allosteria, allorché ci si scalda
la testa, e volano i piatti e i bicchieri in mezzo al fumo ed alle grida. Lavete
visto? Tale e quale! Dapprincipio, quando state sullimpagliettatura colla carabina
in pugno, in quel gran silenzio, non sentite altro che il rumore della macchina, e vi pare
che quel punf! punf! ve lo facciano dentro lo stomaco: nullaltro. Poi, alla prima
cannonata, e come incomincia il parapiglia, vi vien voglia di ballare anche voi, che non
vi terrebbero le catene, come quando suona il violino allosteria, dopo che avete
mangiato e bevuto, e allungate la carabina dappertutto dove vedete un po di
cristiano, in mezzo al fumo. In terra è tuttaltra cosa. Un bersagliere che tornava
con noi a Messina ci diceva che non si può stare al pinf panf delle fucilate senza
sentirsi pizzicar le gambe dalla voglia di buttarsi avanti a testa bassa. Ma i bersaglieri
non sono marinari, e non sanno come si fa a stare nel sartiame col piede fermo sulla corda
e la mano sicura al grilletto, malgrado il rollìo del bastimento, e mentre i compagni vi
fioccano dattorno come pere fradicie.
- Per la madonna! esclamò Rocco Spatu.
Avrei voluto esserci anchio a far quattro pugni.
Tutti gli altri stavano ad ascoltare con
tanto docchi aperti. Laltro giovanotto poi raccontò pure in qual modo era
saltata in aria la Palestro, - la quale ardeva come una catasta di legna, quando ci
passò vicino, e le fiamme salivano alte sino alla penna di trinchetto. Tutti al loro
posto però, quei ragazzi, nelle batterie o sul bastingaggio. Il nostro comandante
domandò se avevano bisogno di nulla. - No, grazie tante, risposero. Poi passò a babordo
e non si vide più.
- Questa di morire arrostito non mi
piacerebbe, conchiuse Spatu; ma pei pugni ci sto. E la Santuzza come tornò
allosteria, gli disse: - Chiamateli qua, quei poveretti, che devono aver sete, dopo
tanta strada che hanno fatto, e ci vuole un bicchiere di vino schietto. Quel Pizzuto
avvelena la gente colla sua erbabianca, e non va a confessarsene. Certuni la coscienza
lhanno dietro le spalle, poveretti loro!
- A me mi sembrano tanti pazzi costoro!
diceva padron Cipolla, soffiandosi il naso adagio adagio. che vi fareste ammazzare voi
quando il re vi dicesse: fatti ammazzare per conto mio?
- Poveracci, non ci hanno colpa! osservava
don Silvestro. Devono farlo per forza, perché dietro ogni soldato ci sta un caporale col
fucile carico, e non ha a far altro che star a vedere se il soldato vuole scappare, e se
il soldato vuol scappare il caporale gli tira addosso peggio di un beccafico.
- Ah! così va bene! Ma è una bricconata
belle buona!
Tutta la sera si rise e si bevette nel
cortile dei Malavoglia, con un bel chiaro di luna; e sul tardi poi, quando tutti erano
stanchi, e ruminavano lentamente le fave abbrustolite, e alcuni anche canterellavano
sottovoce, colle spalle al muro, vennero a raccontare la storia che avevano portato in
paese i due congedati. Padron Fortunato se nera andato di buonora, e aveva condotto
via Brasi col vestito nuovo.
- Quei poveri Malavoglia, diceva
incontrando sulla piazza Campana di legno, Dio gliela mandi buona! Hanno la iettatura
addosso!
Lo zio Crocifisso stava zitto e si
grattava la testa. Lui non centrava più, se nera lavate le mani. Ora era affare di
Piedipapera; ma gli dispiaceva, in coscienza.
Un giorno dopo cominciò a correre la voce
che nel mare verso Trieste ci era stato un combattimento tra i bastimenti nostri e quelli
dei nemici, che nessuno sapeva nemmeno chi fossero, ed era morta molta gente; chi
raccontava la cosa in un modo e chi in un altro, a pezzi e bocconi, masticando le parole.
Le vicine venivano colle mani sotto il grembiule a domandare se comare Maruzza ci avesse
il suo Luca laggiù, e stavano a guardarla con tanto docchi prima dandarsene.
La povera donna cominciava a star sempre sulla porta, come ogni volta che succedeva una
disgrazia, voltando la testa di qua e di là, da un capo allaltro della via, quasi
aspettasse più presto del solito il suocero e i ragazzi dal mare. Le vicine le
domandavano pure se Luca avesse scritto, o era molto che non riceveva lettera di lui. -
Davvero ella non ci aveva pensato alla lettera; e tutta la notte non poté chiudere
occhio, e aveva sempre la testa là, nel mare verso Trieste, dovera successa quella
ruina; e vedeva sempre suo figlio, pallido e immobile, che la guardava con certi occhioni
sbarrati e lucenti, e diceva sempre di sì, come quando lavevano mandato a fare il
soldato - talché sentiva anche lei una sete, unarsura da non dirsi. - In mezzo a
tutte le storie che correvano pel villaggio, e che erano venuti a raccontarle, le era
rimasto in mente di uno di quei marinari, che lavevano pescato dopo dodici ore,
quando stavano per mangiarselo i pescicani, e in mezzo a tutta quellacqua moriva di
sete. Allora la Longa, come pensava a quelluomo che moriva di sete in mezzo a tutta
quellacqua, non poteva stare dallandare ad attaccarsi alla brocca, quasi ce
lavesse avuta dentro di sé quellarsura, e nel buio spalancava gli occhi, dove
ci aveva sempre stampato quel cristiano.
Collandare dei giorni però, nessuno
parlava più di quello che era successo, ma come la Longa non vedeva spuntare la lettera,
non aveva testa né di lavorare né di stare in casa: era sempre in giro a chiacchierare
di porta in porta, quasi andasse cercando quel che voleva sapere. - Avete visto una gatta
quando ha perso i suoi gattini? dicevano le vicine. La lettera non veniva però. Anche
padron Ntoni non simbarcava più e stava sempre attaccato alle gonnelle della
nuora come un cagnolino. Alcuni gli dicevano: - Andate a Catania, che è paese grosso, e
qualcosa sapranno dirvi.
Nel paese grosso il povero vecchio si
sentiva perso peggio che a trovarsi in mare di notte, e senza sapere dove drizzare il
timone. Infine gli fecero la carità di dirgli che andasse dal capitano del porto,
giacché le notizie doveva saperle lui. Colà, dopo averlo rimandato per un pezzo da Erode
a Pilato, si misero a sfogliare certi libracci e a cercare col dito sulla lista dei morti.
Allorché arrivarono ad un nome, la Longa che non aveva ben udito, perché le fischiavano
gli orecchi, e ascoltava bianca come quelle cartacce, sdrucciolò pian piano per terra,
mezzo morta.
- Son più di quaranta giorni, - conchiuse
limpiegato, chiudendo il registro. Fu a Lissa; che non lo sapevate ancora?
La Longa la portarono a casa su di un
carro, e fu malata per alcuni giorni. Dallora in poi fu presa di una gran devozione
per lAddolorata che cè sullaltare della chiesetta, e le pareva che quel
corpo lungo e disteso sulle ginocchia della madre, colle costole nere e i ginocchi rossi
di sangue, fosse il ritratto del suo Luca, e si sentiva fitte nel cuore tutte quelle spade
dargento che ci aveva la Madonna. Ogni sera le donnicciuole, quando andavano a
prendersi la benedizione, e compare Cirino faceva risuonare le chiavi prima di chiudere,
la vedevano sempre lì, a quel posto, accasciata sui ginocchi, e la chiamavano anche lei la
madre addolorata.
- Ha ragione - dicevano nel paese. - Luca
sarebbe tornato fra breve, e i suoi trenta soldi al giorno se li sarebbe guadagnati. «A
nave rotta ogni vento è contrario».
- Avete visto padron Ntoni?
aggiungeva Piedipapera; dopo la disgrazia di suo nipote sembra un gufo tale e quale. -
Adesso la casa del nespolo fa acqua davvero da tutte le parti, come una scarpa rotta, e
ogni galantuomo bisogna che pensi ai suoi interessi.
La Zuppidda era sempre con tanto di muso,
e borbottava che ora tutta la famiglia rimaneva sulle braccia di Ntoni! Questa volta
una ragazza ci penserà prima di pigliarselo per marito.
- Cosa ci hai con quel povero giovane?
domandava mastro Turi.
- Voi tacete, ché non sapete nulla; gli
gridava la moglie. I pasticci non mi piacciono! Andate a lavorare che non sono affari
vostri: - e lo mandava fuori delluscio colle braccia penzoloni e quella malabestia
di dieci rotoli in mano.
Barbara, seduta sul parapetto del
terrazzo, a strappare le foglioline secche dei garofani, colla bocca stretta anche lei,
faceva cascare nel discorso che «maritati e muli vogliono star soli» e che «fra suocera
e nuora ci si sta in malora».
- Quando Mena si sarà maritata,
rispondeva Ntoni, il nonno ci darà la camera di sopra.
- Io non ci sono avvezza a star nella
camera di sopra, come i colombi! tagliava corto la Barbara; tanto che suo padre,
chera suo padre! diceva a Ntoni, guardandosi attorno, mentre se ne andavano
per la straduccia: - Verrà tutta sua madre, la Barbara; pensa a non farti mettere il
basto da principio, se no ti succede come a me.
Però comare Venera aveva dichiarato: -
Prima che mia figlia vada a dormire nella stanza dei colombi bisogna sapere a chi resta la
casa, e voglio stare a vedere dove finisce questo affare dei lupini.
Andava a finire che Piedipapera stavolta
voleva essere pagato, santo diavolone! San Giovanni era arrivato, e i Malavoglia tornavano
a parlare di dare degli acconti, perché non avevano tutti i denari, e speravano di
raggranellare la somma alla raccolta delle ulive. Lui se lera levati di bocca quei
soldi, e non aveva pane da mangiare, comè vero Dio! non poteva campare di vento
sino alla raccolta delle ulive.
- A me mi dispiace, padron Ntoni;
gli aveva detto: ma che volete? Bisogna che pensi ai miei interessi. San Giuseppe prima
fece la sua barba e poi quella di tutti gli altri.
- Presto compie lanno! aggiungeva lo
zio Crocifisso, quandera solo a brontolare con compare Tino, - e non si è visto un
grano dinteressi - quelle duecento lire basteranno appena per le spese. Vedrete che
al tempo delle ulive vi diranno di aspettarli sino a Natale, e poi sino a Pasqua. Così
vanno in rovina le case. Ma io la roba mia lho fatta col sudore della fronte. Adesso
uno è in paradiso, laltro vuole la Zuppidda; non possono menare innanzi quella
barca rotta, e cercano di maritare la ragazza. - Costoro non pensano ad altro che a
maritarsi, hanno la rabbia come mia nipote la Vespa. Adesso che Mena si marita, vedrete
che compare Mosca torna qui, per chiapparsi la chiusa della Vespa.
In conclusione se la prendevano
collavvocato, il quale non finiva mai di scrivere le sue carte prima di mandare
lusciere.
- Ci sarà stato padron Ntoni a
dirgli di andare adagio; soggiungeva Piedipapera; con un rotolo di pesce se ne comprano
dieci di avvocati.
Stavolta egli laveva rotta sul serio
coi Malavoglia, perché la Zuppidda era andata a togliere la roba di comare Grazia dalla
sponda del lavatoio, e ci aveva messa la sua: di quelle soperchierie che fanno montare la
mosca al naso; la Zuppidda si fidava perché le dava di spalla quel cetriolo di
Ntoni Malavoglia, il quale faceva il bravaccio. Una manica di carogne, quei
Malavoglia, e non voleva vederli più nel battesimo porco che quellaltro porco di
don Giammaria gli aveva messo in fronte.
Le carte bollate allora cominciarono a
piovere, e Piedipapera diceva che lavvocato non doveva esser rimasto contento del
regalo di padron Ntoni per lasciarsi comprare, e questo provava che razza di stitici
essi fossero; se ci era da fidarsi quando promettevano che avrebbero pagato. Padron
Ntoni tornò a correre dal segretario e dallavvocato Scipioni; ma questi gli
rideva sul naso, e gli diceva che «chi è minchione se ne sta a casa», che non doveva
lasciarvi mettere la mano alla nuora, e poiché aveva fatto il pasticcio se lo mangiasse.
«Guai a chi casca per chiamare aiuto!».
- Sentite a me, gli suggerì don
Silvestro, piuttosto dategli la casa, se no se ne va in spese perfino la Provvidenza
e i capelli che ci avete in testa; e ci perdete anche le vostre giornate, collandare
e venire dallavvocato.
- Se ci date la casa colle buone, gli
diceva Piedipapera, vi lasceremo la Provvidenza, che potrà guadagnarvi il pane, e
resterete padroni, e non verrà lusciere colla carta bollata.
Compare Tino non aveva fiele in corpo, e
andava a parlare a padron Ntoni come se non fosse fatto suo, passandogli il braccio
attorno al collo, e gli diceva: - Scusatemi, fratello mio, a me mi dispiace più di voi,
di cacciarvi fuori della vostra casa, ma che volete? sono un povero diavolo; quelle
cinquecento lire me le son levate dalla bocca, e San Giuseppe prima fece la sua barba.
Fossi ricco come lo zio Crocifisso non ve ne parlerei nemmeno, in coscienza mia!
Il povero vecchio non aveva il coraggio di
dire alla nuora che dovevano andarsene colle buone dalla casa del nespolo, dopo tanto
tempo che ci erano stati, e pareva che fosse come andarsene dal paese, e spatriare, o come
quelli che erano partiti per ritornare, e non erano tornati più, che ancora cera
lì il letto di Luca, e il chiodo dove Bastianazzo appendeva il giubbone. Ma infine
bisognava sgomberare con tutte quelle povere masserizie, e levarle dal loro posto, che
ognuna lasciava il segno dovera stata, e la casa senza di esse non sembrava più
quella. La roba la trasportarono di notte, nella casuccia del beccaio che avevano presa in
affitto, come se non si sapesse in paese che la casa del nespolo ormai era di Piedipapera,
e loro dovevano sgomberarla; ma almeno nessuno li vedeva colla roba in collo.
Quando il vecchio staccava un chiodo, o
toglieva da un cantuccio un deschetto che soleva star lì di casa, faceva una scrollatina
di capo.
Poi si misero a sedere sui pagliericci
cherano ammonticchiati nel mezzo della camera, per riposarsi un po, e
guardavano di qua e di là se avessero dimenticato qualche cosa; però il nonno si alzò
tosto ed uscì nel cortile, allaria aperta.
Ma anche lì cera della paglia
sparsa per ogni dove, dei cocci di stoviglie, delle nasse sfasciate, e in un canto il
nespolo, e la vite in pampini sulluscio. - Andiamo via! diceva egli. Andiamo via,
ragazzi. Tanto, oggi o domani!... e non si muoveva.
Maruzza guardava la porta del cortile
dalla quale erano usciti Luca e Bastianazzo, e la stradicciuola per la quale il figlio suo
se ne era andato coi calzoni rimboccati, mentre pioveva, e non laveva visto più
sotto il paracqua dincerata. Anche la finestra di compare Alfio Mosca era chiusa, e
la vite pendeva dal muro del cortile che ognuno passando ci dava una strappata. Ciascuno
aveva qualche cosa da guardare in quella casa, e il vecchio, nellandarsene, posò di
nascosto la mano sulla porta sconquassata, dove lo zio Crocifisso aveva detto che ci
sarebbero voluti due chiodi e un bel pezzo di legno.
Lo zio Crocifisso era venuto a dare
unocchiata insieme a Piedipapera, e parlavano a voce alta nelle stanze vuote, dove
le parole si udivano come se fossero in chiesa. Compare Tino non aveva potuto durarla a
campare daria sino a quel giorno, e aveva dovuto rivendere ogni cosa allo zio
Crocifisso, per riavere i suoi denari.
- Che volete, compare Malavoglia? gli
diceva passandogli il braccio attorno al collo. Lo sapete che sono un povero diavolo, e
cinquecento lire mi fanno! Se voi foste stato ricco ve lavrei venduta a voi. - Ma
padron Ntoni non poteva soffrire di andare così per la casa, col braccio di
Piedipapera al collo. Ora lo zio Crocifisso ci era venuto col falegname e col muratore, e
ogni sorta di gente che scorrazzavano di qua e di là per le stanze come fossero in
piazza, e dicevano: - Qui ci vogliono dei mattoni, qui ci vuole un travicello nuovo, qui
cè da rifare limposta, - come se fossero i padroni; e dicevano anche che si
doveva imbiancarla per farla sembrare tuttaltra.
Lo zio Crocifisso andava scopando coi
piedi la paglia e i cocci, e raccolse anche da terra un pezzo di cappello che era stato di
Bastianazzo, e lo buttò nellorto, dove avrebbe servito allingrasso. Il
nespolo intanto stormiva ancora, adagio adagio, e le ghirlande di margherite, ormai vizze,
erano tuttora appese alluscio e le finestre, come ce le avevano messe a Pasqua delle
Rose.
La Vespa era venuta a vedere anche lei,
colla calzetta al collo, e frugava per ogni dove, ora che era roba di suo zio. - Il
«sangue non è acqua» - andava dicendo forte, perché udisse anche il sordo. A me mi sta
nel cuore la roba di mio zio, come a lui deve stare a cuore la mia chiusa. Lo zio
Crocifisso lasciava dire e non udiva, ora che dirimpetto si vedeva la porta di compare
Alfio con tanto di catenaccio. - Adesso che alla porta di compare Alfio cè il
catenaccio, vi metterete il cuore in pace, e lo crederete che non penso a lui! diceva la
Vespa allorecchio dello zio Crocifisso.
- Io ci ho il cuore in pace! rispondeva
lui: sta tranquilla.
Dallora in poi i Malavoglia non
osarono mostrarsi per le strade né in chiesa la domenica, e andavano sino ad Aci Castello
per la messa, e nessuno li salutava più, nemmeno padron Cipolla, il quale andava dicendo:
- Questa partaccia a me non la doveva fare padron Ntoni. Questo si chiama gabbare il
prossimo, se ci aveva fatto mettere la mano di sua nuora nel debito dei lupini!
- Tale e quale come dice mia moglie!
aggiungeva mastro Zuppiddu. Dice che dei Malavoglia adesso non ne vogliono nemmeno i cani.
Però quello scimunito di Brasi pestava i
piedi e voleva la Mena, che glielavevano promessa, come fa un ragazzo davanti alle
baracche dei balocchi alla fiera.
- Ti pare che io labbia rubata la
tua roba, bietolone! gli diceva il babbo, per andarla a buttare con chi non ha niente!
Gli avevano ripreso persino il vestito
nuovo a Brasi, ed ei si sfogava ad andare a stanare le lucertole nella sciara, o a
mettersi a cavalcioni sul muricciolo del lavatoio, e giurava di non far più nulla,
neanche se lammazzavano, ora che non volevano dargli la moglie, e gli avevano
ripreso persino il vestito nuovo delle nozze; per fortuna la Mena non poteva vederlo più
così vestito comera, perché i Malavoglia stavano sempre colla porta chiusa ancor
essi, poveretti, nella casuccia del beccaio che avevano presa in affitto nella strada del
Nero, vicino ai Zuppiddi, e se accadeva di vederli da lontano, Brasi correva a nascondersi
dietro il muro, o tra i fichidindia.
La cugina Anna, che scopriva ogni cosa dal
greto dovera a stendere la tela, diceva con comare Grazia: - Ora quella povera
SantAgata resta in casa, peggio di una casseruola appesa al muro, tale e quale come
le mie figliuole che non hanno dote.
- Poveretta! rispondeva comare Grazia, e
le avevano perfino spartito i capelli!
Mena però era tranquilla, e sera
rimessa la spadina dargento nelle trecce da se stessa, senza dir nulla. Adesso aveva
tanto da fare nella casa nuova, dove bisognava mettere ogni cosa a un altro posto, e non
si vedeva più il nespolo e la porta della cugina Anna e della Nunziata. Sua madre la
covava cogli occhi, mentre lavorava accanto a lei, e laccarezzava col tono della
voce, quando le diceva, - dammi la forbice, o, tienmi la matassa - che se la sentiva nelle
viscere, la sua figliuola, ora che tutti le voltavano le spalle; ma la ragazza cantava
come uno stornello, perché aveva diciotto anni, e a quelletà se il cielo è
azzurro vi ride negli occhi, e gli uccelli vi cantano nel cuore. Per altro il cuore non ce
lo aveva mai avuto per quel cristiano, lo disse allorecchio della mamma, mentre
ordivano la trama. La madre era la sola che le aveva letto in cuore, e che ci avesse
lasciata cascare una buona parola in quellangustia. - Almeno se ci fosse compar
Alfio, non ci avrebbe voltate le spalle anche lui. Ma quando sarà il tempo del vino nuovo
tornerà qui.
Le comari, poverette, non avevano voltato
le spalle ai Malavoglia. Ma la cugina Anna era sempre in faccende, con tutto quello che
aveva da fare per tirare innanzi con le sue figliuole, che le erano rimaste in casa peggio
di casseruole appese; e comare Piedipapera si vergognava dl farsi vedere, per quel tiro
che compare Tino aveva fatto ai poveri Malavoglia. Ella aveva il cuore buono, la gnà
Grazia, e non diceva come suo marito: Lasciali stare coloro, che non hanno più né re né
regno. Cosa te ne importa? - La sola che si vedesse di tanto in tanto era la Nunziata, col
piccino in collo, e tutti gli altri dietro, ma anche lei doveva badare ai fatti suoi.
Così va il mondo. - Ciascuno deve badare
ai fatti suoi: quello che diceva a Ntoni di padron Ntoni comare Venera. -
Ciascuno deve pensare alla sua barba prima di pensare a quella degli altri. Tuo nonno non
ti dà nulla, dunque che obbligo hai verso di loro? Se ti mariti, vuol dire che fai casa
da te, e quel che guadagni, lo guadagni per la tua casa. «Cento mani Dio benedisse, ma
non tutte in un piatto!» - Bella cosa! rispondeva Ntoni. Ora che i miei parenti
sono in mezzo alla strada mi dite di piantarli anchio! Come se la caverà il nonno a
far andare la Provvidenza e dar da mangiare a tanti, se lo lascio solo?
- Allora sbrigatevela tra voi altri!
esclamava la Zuppidda, voltandogli le spalle per andare a frugare nei cassetti, o in
cucina, buttando in aria ogni cosa per darsi da fare, onde non guardarlo in faccia. Mia
figlia io non lho rubata! Si potrebbe chiudere gli occhi se non avete nulla, perché
siete giovane, e ci avete sempre la salute da lavorare, e siete del mestiere, tanto più
che adesso i mariti sono scarsi, con questa leva del diavolo che si scopa via tutti i
giovinotti del paese; ma se devono darvi la dote per papparvela con tutti i vostri, è
unaltra cosa! Marito voglio dargliene uno solo alla mia figliuola, e non cinque o
sei, e metterle sulle spalle due famiglie.
Barbara nellaltra stanza fingeva di
non udire, e seguitava a far girare larcolaio lesto lesto. Ma appena Ntoni si
affacciava sulluscio chinava gli occhi sui cannelli, e allungava il muso anche lei.
Talché il poveraccio si faceva giallo e verde e di cento colori, e non sapeva che fare,
perché Barbara lo teneva invischiato come un passerotto, con quegli occhioni neri, e gli
diceva poi: Vuol dire che a me non mi volete bene come ai vostri! e si metteva a piangere
nel grembiule quando non cera la mamma.
- Sacramento! esclamava Ntoni,
vorrei tornare a fare il soldato! - E si strappava i capelli e si dava dei pugni nella
testa, ma non sapeva risolversi a pigliare la soluzione che si voleva, da vero cetriolo
che era. - Allora, diceva la Zuppidda; «Ntrua, ntrua! ciascuno a casa sua!»
E suo marito le ripeteva: - Te lavevo detto che a me i pasticci non mi piacciono! -
Voi andatevene a lavorare! rispondeva lei, che non sapete nulla.
Ntoni, ogni volta che andava dai
Zuppiddi, trovava tanto di grugno, e la gnà Venera gli rinfacciava ogni volta che i
Malavoglia avevano invitato la Piedipapera a pettinare la Mena, bella pettinatura che le
aveva fatto!, per leccare le ciabatte a compare Tino, a motivo di quei quattro soldi della
casa; che poi la casa se lera presa egualmente, e li aveva lasciati in camicia come
Gesù Bambino.
- Vi pare che non io sappia cosa ha detto
vostra madre Maruzza in quei tempi in cui portava il naso in sù, che la Barbara non era
quella che ci voleva per suo figlio Ntoni, perché era avvezza come una signorina, e
non sapeva quel che ci vuole ad essere una buona moglie di marinaro. Me lhanno
raccontato al lavatoio, comare Mangiacarrubbe e la gnà Cicca.
- Comare Mangiacarrubbe e la gnà Cicca
sono due carogne, rispondeva Ntoni, e parlano per linvidia che non ho sposato
la Mangiacarrubbe.
- Per me pigliatevela pure! Bel guadagno
che ci fa la Mangiacarrubbe!
- Allora, comare Venera, se mi dite questo
è come se mi diceste: in casa mia non ci mettete più piede.
Ntoni voleva far luomo, e non
si lasciava vedere per due o tre giorni. Ma la piccola Lia, che non sapeva tutte quelle
chiacchiere, continuava a venire a giocare nel cortile di comare Venera, come
lavevano avvezzata, quando la Barbara le dava i fichidindia e le castagne, perché
voleva bene a suo fratello Ntoni, ed ora non le davano più nulla; la Zuppidda le
diceva: - Che vieni a cercare tuo fratello qui? Tua madre ha paura che vogliano rubartelo
tuo fratello?
Comare la Vespa veniva anche lei nel
cortile dei Zuppiddi, colla calzetta al collo, a dire roba di fuoco degli uomini, che sono
peggio dei cani. E la Barbara rinfacciava alla ragazzina: - Lo so che non sono brava
massaia come tua sorella! E comare Venera conchiudeva: - Tua madre che fa la lavandaia,
invece di stare a ciarlare dei fatti altrui al lavatoio, farebbe bene a dare una
risciacquata a quei quattro soldi di vestina che hai indosso.
La bambina molte cose non le capiva; ma
quel po che rispondeva faceva montare la mosca al naso alla Zuppidda, e le faceva
dire chera sua madre Maruzza che la indettava e la mandava apposta da quelle parti
per stuzzicarle la bile, tanto che finalmente la piccina non ci andò più, e la gnà
Venera disse che era meglio, così non venivano in casa a far le spie, che temevano sempre
volessero quel tesoro di Cetriolo.
Le cose arrivarono al punto che comare
Venera e la Longa non si parlavano più, e se si vedevano in chiesa si voltavano la
schiena.
- Vedrete che arriveranno a metter fuori
le scope! diceva la Mangiacarrubbe gongolando. Non mi chiamo la Mangiacarrubbe se non ci
arrivano! Bellaffare che ha fatto la Zuppidda con Cetriolo!
Di solito gli uomini non
simmischiano in quelle liti di donne, se no le questioni singrosserebbero e
potrebbero andare a finire a coltellate; invece le comari, dopo che hanno messo fuori la
scopa, e si sono voltate le schiene, e si sono sfogate a dirsi improperi, e a strapparsi i
capelli, si riconciliano subito, e si abbracciano come prima. Ntoni poi, stregato
dagli occhi della Barbara, era tornato quatto quatto a piantarsi sotto la finestra, per
metter pace, che la gnà Venera voleva buttargli sulla testa la broda delle fave, qualche
volta, ed anche la figliuola si stringeva nelle spalle, ora che i Malavoglia non avevano
più né re né regno.
E glielo disse anche in faccia, alla fine,
onde levarsi daddosso quella noia, perché quel cristiano stava sempre davanti alla
sua porta come un cane, e le avrebbe fatto perdere la fortuna, se mai qualcun altro avesse
avuto lintenzione di passare di là per lei.
- Orbè, compare Ntoni, «I pesci
del mare son destinati a chi se lha da mangiare»; mettiamoci il cuore in pace voi
ed io, e non ci pensiamo più.
- Voi potete mettervelo il cuore in pace,
comare Barbara, ma per me, «Amare e disamare non sta a chi lo vuol fare».
- Provate, che ci riuscirete anche voi. A
provare non si perde nulla. Io vi auguro ogni bene e ogni fortuna, ma lasciatemi badare ai
fatti miei, ché ho già ventidue anni.
- Io lo sapevo che dovevate dirmi così
quando ci hanno preso la casa, ora che tutti ci voltano le spalle.
- Sentite, compare Ntoni, mia madre
può venire da un momento allaltro, e non è bene che mi trovi qui con voi.
- Sì, sì, è vero; ora che ci hanno
tolto la casa del nespolo non è giusto. Egli aveva il cuore grosso, il povero
Ntoni, e non voleva lasciarla così. Ma ella doveva andare a riempir la brocca alla
fontana, e gli disse addio, correndo lesta lesta, e dimenando i fianchi con bel garbo -
ché Zuppidda la chiamavano perché il nonno di suo padre sera rotta la gamba in uno
scontro di carri alla festa di Trecastagni, ma Barbara le sue brave gambe ce le aveva
tutte e due.
- Addio, comare Barbara! rispose il
poveraccio, e così ci mise una pietra su quel che era stato, e se ne tornò a remare come
un galeotto, che già quella era una vera galera, dal lunedì al sabato, ed egli era
stanco di rompersi lanima per niente, perché quando non si ha nulla è inutile
arrabbattarsi da mattina a sera, e non trovare un cane che vi voglia; per questo egli ne
aveva le tasche piene di quella vita; preferiva piuttosto di non far niente davvero, e
starsene in letto a fare il malato, come quando era seccato dal servizio militare, e il
nonno poi non stava a cercare il pelo nelluovo come il dottore della fregata. - Che
hai? gli domandava.
- Nulla ho. Ho che sono un povero diavolo.
- E che vuoi farci se sei un povero
diavolo? Bisogna vivere come siamo nati. Egli si lasciava caricare svogliatamente degli
attrezzi meglio di un asino, e lungo la giornata non apriva bocca che per bestemmiare o
brontolava: «Chi cade nellacqua è forza che si bagni». Se suo fratello si metteva
a cantare, mentre stavano alla vela, - Sì, sì, canta pure. Quando sarai vecchio poi
abbaierai come il nonno.
- Ad abbaiare adesso non ci guadagni nulla
nemmeno; rispondeva il ragazzo.
- Hai ragione, perché la vita è bella!
- Bella o no, non labbiamo fatta noi
così comè, conchiudeva il nonno.
La sera mangiava ingrugnato la sua
minestra, e la domenica andava a gironzare attorno allosteria, dove la gente non
aveva altro da fare che ridere e spassarsi, senza pensare che il giorno dopo si tornava a
fare quel che si era fatto in tutta la settimana; oppure stava delle ore intere seduto
sugli scalini della chiesa, col mento in mano, a veder passare la gente, almanaccando su
quei mestieri in cui non ci era nulla da fare.
La domenica almeno si godeva quelle cose
che si hanno senza quattrini, il sole, lo star colle mani sotto le ascelle a non far
nulla, e allora gli seccava anche quella fatica di pensare al suo stato, di desiderare
quelle cose che aveva visto da soldato, col ricordo delle quali ingannava il tempo nei
giorni di lavoro. Gli piaceva stendersi come una lucertola al sole, e non far altro. E
come incontrava i carrettieri che andavano seduti sulle stanghe - Bel mestiere che fanno!
borbottava. Vanno in carrozza tutto il giorno! e se vedeva passare qualche povera
donnicciuola, che tornava dalla città, curva sotto il carico come un asino stanco, e
andava lamentandosi per via, secondo il costume dei vecchi:
- Vorrei farlo io quello che fate voi,
sorella mia! le diceva per confortarla. Alla fin fine è come andare a spasso.
© 1996 - by prof. Giuseppe Bonghi - E-mail: Giuseppe.Bonghi@mail.fausernet.novara.it
Ultimo aggiornamento: 11 febbraio 1998