Giovanni Verga
I Malavoglia
Capitolo VIII
Luca, poveretto, non ci stava né
meglio né peggio; faceva il suo dovere laggiù, come laveva fatto a casa sua, e si
contentava. Non scriveva spesso, è vero - i francobolli costavano venti centesimi - né
aveva ancora mandato il ritratto, perché da ragazzo lo canzonavano che aveva le orecchie
dasino; e invece di tanto in tanto metteva nella lettera qualche biglietto da cinque
lire, che trovava modo di buscarsi servendo gli ufficiali.
Il nonno aveva detto: «Prima deve
maritarsi la Mena». Ancora non ne parlava, ma ci pensava sempre, e adesso che tenevano
nel canterano qualcosuccia per pagare il debito, aveva fatto il conto che colla salatura
delle acciughe si sarebbe pagato Piedipapera, e la casa restava libera per la dote della
nipote. Perciò erano stati qualche volta a chiacchierare sottovoce con padron Fortunato,
sulla riva, mentre aspettavano la paranza, o seduti al sole davanti la chiesa, quando non
cera gente. Padron Fortunato non voleva far torto alla sua parola, se la ragazza
aveva la dote, tanto più che suo figlio Brasi gli dava sempre dei grattacapi, a correre
dietro le ragazze che non avevano nulla, come un baccalà che era.
- «Luomo per la parola, e il bue
per le corna», tornava a ripetere.
Mena aveva spesso il cuore nero mentre
tesseva, perché le ragazze hanno il naso fine, ed ora che il nonno era sempre a
confabulare con compare Fortunato, e in casa parlava spesso dei Cipolla, ci aveva sempre
la stessa cosa davanti agli occhi, come se quel cristiano di Compar Alfio fosse incollato
sui panconi del telaio, colle immagini dei santi. Una sera aspettò sino a tardi per veder
tornare Alfio insieme al carro dellasino, colle mani sotto il grembiale, perché
faceva freddo e tutte le porte erano chiuse, e per la stradicciuola non si vedeva anima
viva; così gli diede la buona notte dalluscio.
- Che ve ne andate alla Bicocca al primo
del mese? gli disse finalmente.
- Ancora no; ci ho più di cento carichi
di vino per la Santuzza. Dopo ci penserà Dio. - Ella non sapeva più che dire, intanto
che compar Alfio si affaccendava nel cortile a staccar lasino, e ad appendere gli
arnesi al piuolo, e portava la lanterna di qua e di là. - Se ve ne andate alla Bicocca
chi sa quando ci vedremo più! disse infine Mena che le mancava la voce.
- O perché? Ve ne andate anche voi?
La poveretta stette un pezzetto senza
rispondere, sebbene fosse buio e nessuno potesse vederla in viso. Di tanto in tanto si
udivano i vicini parlare dietro gli usci chiusi, e piangere i bambini, e il rumore delle
scodelle, dove stavano cenando, sicché nessuno poteva udire. - Ora dei denari che ci
vogliono per Piedipapera ne abbiamo la metà, alla salatura delle acciughe pagheremo anche
il resto.
Alfio a quel discorso lasciò lasino
in mezzo al cortile, e venne sulla strada. - Allora vi maritano dopo Pasqua?
Mena non rispose. - Ve lavevo detto
io! aggiunse compare Alfio. - Li ho visti parlare io padron Ntoni con padron
Cipolla.
- Sarà come vuole Dio! disse poi Mena. A
me non importa di maritarmi, purché mi avessero lasciata stare qui.
- Che bella cosa, aggiunse Mosca, quando
uno è ricco come il figlio di padron Cipolla, che può prendersi la moglie che vuole, e
può stare dove gli piace!
- Buona notte, compar Alfio; disse poi
Mena, dopo essere stata un altro pezzetto a guardare la lanterna appesa al rastrello, e
lasino che andava abboccando le ortiche pel muricciolo. Compare Alfio diede la buona
notte anche lui, e se ne tornò a mettere lasino nella stalla.
- Quella sfacciata di SantAgata, -
brontolava la Vespa, la quale era a tutte lore dai Piedipapera, col pretesto di
farsi prestare dei ferri da calza, o per venire a regalare qualche pugno di fave che aveva
raccolto nella chiusa, - quella sfacciata di SantAgata è sempre a stuzzicare
compare Mosca. Non gli lascia un momento per grattarsi il capo! Vergogna! - e brontolava
ancora per la strada, mentre Piedipapera chiudeva luscio, tirandole dietro tanto di
lingua. - La Vespa è infuriata come fossimo in luglio! sghignazzava compare Tino.
- A lei che gliene importa? chiese comare
Grazia.
- Gliene importa perché ce lha con
tutti quelli che si maritano, e ora sta covando cogli occhi Alfio Mosca.
- Tu dovresti dirglielo, che a me non mi
piace di tenere il candeliere. Come se non si vedesse che sta qui per compare Alfio, e poi
la Zuppidda va spargendo che noi ci troviamo il nostro conto a fare questo mestiere.
- La Zuppidda farebbe meglio a grattarsi
la sua testa, prece ci è da grattare! Con quella porcheria di tirarsi in casa Ntoni
di padron Ntoni, mentre il vecchio e tutti fanno il diavolo, e non ne vogliono
sapere. Chiudi la finestra. Oggi sono stato mezzora a godermi la commedia che
facevano Ntoni con la Barbara, che mi dolgono ancora le reni dallo stare chinato
dietro il muro, per sentire quello che dicevano. Ntoni era scappato dalla Provvidenza,
col pretesto di andare a pigliare la fiocina grande pei cefali; e le diceva: - Se il nonno
non vuole, come faremo? - Faremo che scapperemo insieme, e poi quando la cosa è fatta
dovranno pensarci loro a maritarci, e saranno costretti a dir di sì per forza, rispondeva
lei; e sua madre era lì dietro ad ascoltare, ci giuocherei tutte due questi occhi!
Bella la parte che rappresenta quella strega! Ora voglio far ridere tutto il paese. Don
Silvestro, come gliela raccontai, disse che scommetteva di fare cascare la Barbara coi
suoi piedi, come una pera matura. Non ci mettere il saliscendi alluscio, perché
aspetto Rocco Spatu che deve venire a parlarmi.
Don Silvestro, per far cascare comare
Barbara coi suoi piedi ne aveva almanaccata una, che il frate il quale dà i numeri del
lotto, non lavrebbe trovata. - Voglio levarmi davanti, aveva detto, tutti quelli che
cercano di prendermi la Barbara. Quando non avrà più nessuno da sposare, allora dovranno
pregarmi loro, e farò i patti grassi, come susa alla fiera, quando i compratori
sono scarsi.
Fra quelli che cercavano di prendersi la
Barbara cera stato Vanni Pizzuto, allorché andava a far la barba a mastro Turi che
aveva la sciatica, ed anche don Michele, il quale si annoiava a passeggiare colla pistola
appesa alla pancia, senza far nulla, quando non era dietro il banco della Santuzza, e
faceva locchietto alle belle ragazze, per ingannare il tempo. La Barbara da
principio aveva risposto allocchietto; ma poi, dopo che sua madre le aveva detto che
quelli eran tutti mangiapani a ufo, più birri che altro, e i forestieri vanno frustati,
gli aveva sbattuto la finestra sul naso, così baffuto e col berretto gallonato
comera, e don Michele se nera mangiato il fegato, e per dispetto seguitava a
passare e ripassare per la via, attorcigliandosi i baffi, e col berretto sugli occhi. La
domenica poi si metteva il cappello colla piuma, e andava a scaricarle
unocchiataccia dalla bottega di Vanni Pizzuto, mentre la ragazza andava a messa
colla mamma. Don Silvestro prese ad andare a farsi radere anche lui, fra quelli che
aspettavano la messa, e a scaldarsi al braciere per lacqua calda, e scambare le
barzellette. - Quella Barbara gli lascia addosso gli occhi, a Ntoni Malavoglia,
andava dicendo. Volete scommettere dodici tarì che se la piglia lui? Lo vedete che
sè messo ad aspettarla, colle mani nelle tasche?
Vanni Pizzuto allora lasciò don Michele
colla saponata sulla faccia, e si affacciò alluscio:
- Che pezzo di ragazza, per la madonna! E
come cammina col naso nella mantellina, che pare un fuso! Pensare poi che deve papparsela
quel cetriolo di Ntoni Malavoglia!
- Se Piedipapera vuol esser pagato,
Ntoni non se la pappa; ve lo dico io. I Malavoglia avranno altro da grattarsi, se
Piedipapera si piglia la casa del nespolo.
Vanni Pizzuto tornò a prendere pel naso
don Michele. - Eh? che ne dite, don Michele? Anche voi le avete fatto il cascamorto. Ma
quella è una ragazza che fa mangiare agro di limone.
Don Michele non diceva nulla, si
spazzolava, si arricciava i baffi, e si metteva il cappello davanti allo specchio. - Ci
vuol altro che cappelli colla penna per quella lì! sogghignava Pizzuto.
Finalmente una volta don Michele disse.
- Santo diavolone! se non fosse pel
cappello colla penna, gli farei tenere la candela io, a quel ragazzaccio di Malavoglia.
Don Silvestro ebbe la premura di andare a raccontare ogni cosa a Ntoni, e che don
Michele il brigadiere era un uomo il quale non si lasciavi posare le mosche sul naso; e
doveva avercela con lui.
- Io gli rido sul mostaccio, a don Michele
il brigadiere! rispose Ntoni. Lo so perché ce lha con me; ma stavolta può
pulirsi la bocca, e farebbe meglio a non sciuparsi le scarpe per passare e ripassare
davanti alla Zuppidda, col berretto gallonato, come se ci avesse la corona in capo; che la
gente se ne impipa di lui e del suo berretto.
E se lo incontrava lo guardava bene in
faccia, ammiccando gli occhi, come deve fare un giovanotto di fegato che è stato soldato,
e non si lascia portar via il suo berretto in mezzo alla folla. Don Michele continuava a
passare dalla straduccia per puntiglio, per non darla vinta a lui, ché se lo sarebbe
mangiato come il pane, se non fosse stato pel cappello colla penna.
- Si mangiano! diceva Vanni Pizzuto a
tutti coloro che andavano a farsi radere la barba, o venivano a comprare dei sigari, o
delle lenze, o degli ami da pescare, o dei bottoni dosso di quelli da cinque un
grano. - Don Michele e Ntoni Malavoglia un giorno o laltro si mangiano come il
pane! È quel benedetto cappello colla penna che gli lega le mani a don Michele. Egli
pagherebbe qualche cosa a Piedipapera se glielo levasse davanti, quel cetriolo di
Ntoni. - Tanto che il figlio della Locca, il quale era sempre a gironzare tutto il
giorno, colle braccia penzoloni, allorché li incontrava si metteva loro alle calcagna,
per vedere come finiva.
Piedipapera, quando andava a farsi la
barba, e sentiva che don Michele gli avrebbe dato qualche cosa per levargli davanti agli
occhi Ntoni Malavoglia, si gonfiava come un gallo dIndia, ché così lo
tenevano da conto nel paese.
Vanni Pizzuto tornava a dirgli: - Il
brigadiere pagherebbe qualunque cosa per avere in pugno i Malavoglia come li tenete voi. O
perché glielavete fatta passar liscia quella storia dei pugni che vi ha dato
Ntoni?
Piedipapera alzava le spalle e seguitava a
scaldarsi le mani sul braciere. Don Silvestro si metteva a ridere e rispondeva per lui;
- A mastro Vanni gli piacerebbe levar le
castagne dal fuoco collo zampino di Piedipapera. Già sapete che comare Venera non vuole
né forestieri né berretti gallonati; così quando si sarebbe levato dattorno
Ntoni Malavoglia, resterebbe lui solo a far lasino alla ragazza.
Vanni Pizzuto non disse nulla, ma ci
pensò su tutta la notte.
- Non sarebbe poi una cosa sbagliata!
ruminava fra di sé; tutto sta a prendere Piedipapera per il collo, e in un giorno buono.
Il giorno buono venne a proposito, che una
sera Rocco Spatu non si era fatto vivo, Piedipara era venuto due o tre volte, ad ora
tarda, a chieder di lui, colla faccia bianca e gli occhi stravolti, e le guardie doganali
serano viste correre di qua e di là, tutte in faccende, col naso a terra come cani
da caccia e don Michele insieme a loro colla pistola sulla pancia, e i calzoni infilati
negli stivali. - Voi potreste fargli un gran servizio a don Michele, col levargli davanti
Ntoni Mavoglia - tornò a dire Pizzuto a compare Tino, mentre costui per comprare un
sigaro andava a cacciarsi nellangolo più oscuro della botteguccia. Gli rendereste
un famoso servizio, e ve lo fareste amico per davvero!
- Magari! sospirò Piedipapera, ché gli
mancava il fiato quella sera, e non aggiunse altro.
Nella notte si udirono delle fucilate
verso il Rotolo, e lungo tutta la spianata, che pareva la caccia alle quaglie. - Altro che
quaglie! mormoravano i pescatori rizzandosi sul letto ad ascocoltare. E son quaglie
a due piedi, di quelle che portano lo zucchero e il caffè, e i fazzoletti di seta di
contrabbando. Don Michele ieri sera andava per la strada coi calzoni dentro gli stivali e
la pistola sulla pancia!
Piedipapera stava nella bottega di Pizzuto
a bere il bicchierino, prima dellalba, che cera ancora il lanternino davanti
alluscio; ma stavolta aveva la faccia di un cane che ha rotto la pentola; non diceva
le solite barzellette, e domandava a questo e a quello cosera stato quel diavolìo,
e si erano visti Rocco Spatu e Cinghialenta, e si sberrettava con don Michele, il quale
aveva gli occhi gonfi e gli stivali polverosi, e voleva pagargli per forza il bicchierino.
Ma don Michele era già stato allosteria, dove la Santuzza gli diceva,
mescendogliene di quello buono:
- Dove siete stato a rischiar la pelle,
santo cristiano? Non lo sapete che se chiudete gli occhi voi, vi portate nella fossa anche
degli altri?
- E il mio dovere dove lo lasciate? Se li
coglievo colla pasta in mano stanotte cera un bel guadagno per noi, sangue di un
cane!
- Se vogliono farvi credere che egli era
massaro Filippo, che tentava di far entrare il suo vino di contrabbando, non ci credete,
per questabito benedetto di Maria che ci ho sul petto, indegnamente! Tutte bugie di
gente senza coscienza, che si danna lanima a volere il male del prossimo.
- No, lo so cosera! erano tutti
fazzoletti di seta, e zucchero e caffè, più di mille lire di roba, corpo della madonna!
che mi son sgusciati di mano come anguille; ma li ho sottocchio tutti quelli della
combriccola, e unaltra volta non mi scapperanno!
Piedipapera poi gli diceva: - Bevetelo un
bicchierino, don Michele, che vi farà bene allo stomaco, col sonno che avete perso.
Don Michele era di cattivo umore e
sbuffava.
- Giacché vi dice di prenderlo,
prendetelo, aggiungeva Vanni Pizzuto. Se compare Tino paga lui vuol dire che ne ha da
spendere. Denari ne ha, il furbaccio! tanto che ha comprato il debito dei Malavoglia; ed
ora lo pagano a bastonate.
Don Michele si lasciò tirare a ridere un
po.
- Sangue di Giuda! esclamò Piedipapera,
battendo il pugno sul banco, e fingeva di mettersi in collera davvero. A Roma non voglio
mandarlo, quel ragazzaccio di Ntoni, a fare penitenza!
- Bravo! appoggiò Pizzuto. - Io non me la
sarei lasciata passar liscia di certo. Eh? don Michele?
Don Michele approvò con un grugnito. - Ci
penserò a ridurre come si deve Ntoni e tutta la sua parentela! minacciava
Piedipapera. - Non voglio farmi ridere sul naso da tutto il paese. Potete star tranquillo,
don Michele!
E se ne partì zoppicando e bestemmiando
come se non ci vedesse più dagli occhi, mentre andava dicendo fra di sé: «Convien
tenerseli amici tutti, questi birri qui!»; e ruminando come potesse fare a tenerseli
amici andò allosteria, dove lo zio Santoro gli disse che non serano visti né
Rocco Spatu né Cinghialenta, e passò dalla cugina Anna, la quale poveretta non aveva
dormito, e stava sulla porta guardando di qua e di là, colla faccia pallida. Lì davanti
incontrò pure la Vespa, la quale veniva a vedere se comare Grazia ci avesse un po
di lievito, per caso.
- Ho incontrato or ora compare Mosca;
disse allora lui per far quattro chiacchiere. - Era senza il carro, e scommetto che andava
a ronzare nella sciara, dietro lorto della SantAgata. «Amare la vicina
è un gran vantaggio, si vede spesso e non si fa viaggio».
- Bella santa da attaccarsi al muro,
quella Mena! cominciò a sbraitare la Vespa, la vogliono dare a Brasi Cipolla, e seguita a
civettare con questo e con quello! - Puh! che porcheria!
- Lasciatela fare! lasciatela fare! così
gli altri conosceranno che roba è, e apriranno gli occhi. Ma non lo sa compare Mosca che
vogliono darle Brasi Cipolla?
- Sapete come sono gli uomini, se
cè una fraschetta che li guarda, le corrono tutti dietro per divertirsi. Ma poi,
quando vogliono far sul serio, cercano una come mintendo io.
- Compare Mosca dovrebbe prendere una come
voi.
- Io non ci penso per ora a maritarmi; ma
certo che da me ci troverebbe quel che ci vuole. A buon conto il mio pezzo di chiusa ce
lho, e nessuno ci tiene le unghie addosso, come la casa del nespolo, che se soffia
la tramontana se la porta via. Questa sarebbe da vedere, se soffia la tramontana!
- Lasciate fare! lasciate fare! che non è
sempre bel tempo, e il vento se le porta allaria le frasche. Oggi ho da parlare con
vostro zio Campana di legno, per quellaffare che sapete.
Campana di legno era proprio ben disposto
per parlare di quellaffare che non la finiva più, e «le cose lunghe diventano
serpi». Padron Ntoni gli cantava sempre che i Malavoglia ero galantuomini, e
avrebbero pagato, ma ei voleva vedere di dove li avrebbero scavati i denari. Già nel
paese si sapeva quel che possedeva ciascuno, fino allultimo centesimo, e quei
galantuomini dei Malavoglia, magari a vendersi lanima al turco, non avrebbero potuto
pagare nemmeno la metà, di lì a Pasqua; e per prendersi la casa del nespolo ce ne voleva
della carta bollata, e delle altre spese, questo lo sapeva, e avevano ragione don
Giammaria e lo speziale quando parlavano del Governo ladro; lui, comè vero che si
chiamava zio Crocifisso, ce laveva non solo con quelli che mettevano le tasse, ma
anche con quelli che non le volevano, e mettevano talmente in subbuglio il paese che un
galantuomo non era più sicuro di starsene in casa sua colla sua roba, e quando erano
venuti a domandargli se voleva fare il sindaco, egli aveva risposto: - Bravo! e i miei
affari chi me li fa? Io bado ai fatti miei. Intanto padron Ntoni pensava a maritare
la nipote, che lavevano visto andare attorno con compare Cipolla - laveva
visto lo zio Santoro - e aveva visto anche Piedipapera che faceva il mezzano alla Vespa, e
serviva di comodino a quello spiantato di Alfio Mosca, il quale voleva arraffarsi la sua
chiusa. - Ve lo dico io che ve larraffa! gli gridava Piedipapera nellorecchio
per persuaderlo. - Avete un bel strillare e fare il diavolo per la casa. Vostra nipote è
cotta come una pera per colui, e gli sta sempre alle calcagna. Io non posso mica
chiudergli luscio sul muso, quando viene a far quattro chiacchiere con mia moglie,
per riguardo vostro, che infine è sempre vostra nipote e sangue vostro.
- Bel riguardo che mi avete! Così mi fate
perdere la chiusa, col riguardo!
- Sicuro che la perdete! Se la Malavoglia
si marita con Brasi Cipolla, compare Mosca non avrà più che fare, e si prende la Vespa e
la chiusa, per mettersi il cuore in pace.
- Che se la pigli anche il diavolo!
esclamò alfine lo zio Crocifisso stordito dalle chiacchiere di compare Tino. - A me non
me ne importa nulla; son più i peccati che mi ha fatto fare, quella scomunicata, che
altro. - Io voglio la roba mia, che lho fatta col sangue mio come il sangue gi Gesù
Cristo che cè nel calice della messa, e par roba rubata, che tutti fanno a chi
piglia piglia, compare Alfio, la Vespa e i Malavoglia. Ora incomincio la lite e mi piglio
la casa.
- Voi siete il padrone. Se dite di far la
lite la faccio subito.
- Ancora no. Aspettiamo a Pasqua;
«luomo per la parola e il bue per le corna»; ma voglio esser pagato sino
allultimo centesimo, e non darò più retta a nessuno per accordare dilazioni.
La Pasqua infatti era vicina. Le colline
erano tornate a vestirsi di verde, e i fichidindia erano di nuovo in fiore. Le ragazze
avevano seminato il basilico alla finestra, e ci si venivano a posare le farfalle bianche;
fin le povere ginestre della sciara avevano il loro fiorellino pallido. La mattina,
sui tetti, fumavano le tegole verdi e gialle, e i passeri vi facevano gazzarra sino al
tramonto.
Anche la casa del nespolo sembrava avesse
unaria di festa; il cortile era spazzato, gli arnesi in bellordine lungo il
muricciuolo e appesi ai piuoli, lorto tutto verde di cavoli e di lattughe, e la
camera aperta e piena di sole che sembrava contenta anchessa, e ogni cosa diceva che
la Pasqua si avvicinava. I vecchi si mettevano sulluscio verso mezzogiorno, e le
ragazze cantavano al lavatoio. I carri tornavano a passare nella notte, e la sera si udiva
unaltra volta il brusio della gente che chiacchierava nella stradicciuola.
- Comare Mena la fanno sposa, si diceva.
Sua madre ha tutta la roba dei corredo per le mani.
Era passato del tempo, e il tempo si porta
via le cose brutte come le cose buone. Adesso comare Maruzza era tutta in faccende a
tagliare e cucire della roba, e Mena non domandava nemmeno per chi servisse; e una sera le
avevano condotto in casa Brasi Cipolla, con padron Fortunato suo padre, e tutto il
parentado. - Qui ci è compare Cipolla che è venuto a farvi una visita; disse padron
Ntoni, facendoli entrare, come se nessuno ne sapesse niente, mentre nella cucina
cera preparato il vino ed i ceci abbrustoliti, e i ragazzi e le donne avevano i
vestiti della festa. Mena, sembrava davvero SantAgata, con quella veste nuova e quel
fazzoletto nero in testa, talché Brasi non le levava gli occhi daddosso, come il
basilisco, e stava appollaiato sulla scranna, colle mani fra le gambe, che se le fregava
di tanto in tanto di nascosto dalla contentezza. - È venuto con suo figlio Brasi, il
quale adesso si è fatto grande - seguitava padron Ntoni.
- Sicuro, i ragazzi crescono, e ci
spingono per le spalle nella fossa, rispose padron Fortunato.
- Ora bevete un bicchier di vino che è di
quello buono, - aggiunse la Longa, e questi ceci qui li ha abbrustoliti mia figlia. Mi
dispiace che non sapevo niente, e non vi ho fatto trovare cose degne del vostro merito.
- Eravamo qui vicino di passaggio, rispose
padron Cipolla, ed abbiamo detto: andiamo a vedere comare Maruzza.
Brasi si riempì le tasche di ceci,
guardando la ragazza, e dopo i monelli diedero il sacco al tondo, che invano la Nunziata
colla bambina in collo cercava di trattenerli, parlando basso come se fosse in chiesa. I
vecchi in questo tempo si erano messi a discorrere fra di loro, sotto il nespolo, colle
comari che facevano cerchio e cantavano le lodi della ragazza, comera brava massaia,
che teneva quella casa meglio di uno specchio.
«La figliuola comè avvezzata, e la
stoppa comè filata».
- Anche la vostra nipote è cresciuta,
osservò padron Fortunato, - e sarebbe tempo di maritarla.
- Se il Signore le manda un buon partito
noi non vogliamo altro, rispose padron Ntoni.
- «Matrimonii e vescovadi dal cielo sono
destinati» aggiunse comare la Longa.
- «A buon cavallo non gli manca sella» -
conchiuse padron Fortunato; ad una ragazza come vostra nipote un buon partito non può
mancare.
Mena stava seduta accanto al giovanotto,
comè luso, ma non alzava gli occhi dal grembiule, e Brasi si lamentava con
suo padre, quando se ne andarono, che ella non avesse offerto il piatto con i ceci.
- Che ne volevi ancora! Gli diè sulla
voce padron Fortunato, quando furono lontani; se non si sentiva rosicare altri che te,
come ci fosse una mulo davanti a un sacco dorzo! Guarda che ti sei lasciato cascare
il vino sui calzoni, Giufà! e mi hai rovinato un vestito nuovo!
Padron Ntoni tutto contento si
fregava le mani, e diceva alla nuora:
- Non mi par vero dessere in porto,
collaiuto di Dio! La Mena non avrà nulla da desiderare, ed ora aggiusteremo tutte
le altre nostre cosuccie, e potrete dire «Lasciò detto il povero nonno, il riso con i
guai vanno a vicenda».
Quuel sabato, verso sera, la Nunziata
venne a prendere un pugno di fave per i suoi bambini e disse: - Compare Alfio se ne va
domani. Sta levando tutta la sua roba.
Mena si fece bianca e smise di tessere.
Nella casa di compar Alfio cera il
lume, e ogni cosa sottosopra. Egli venne a picchiare alluscio poco dopo, e aveva la
faccia in un certo modo anche lui, e faceva e disfaceva dei nodi alla frusta che teneva in
mano.
- Sono venuto a salutarvi tutti, comare
Maruzza, padron Ntoni, i ragazzi, e anche voi, comare Mena. Il vino di Aci Catena è
finito. - Ora la Santuzza ha preso quello di massaro Filippo. - Vado alla Bicocca, dove
cè da fare col mio asino.
Mena non diceva nulla; sua madre sola
aprì la bocca per rispondere: - Volete aspettarlo padron Ntoni? che avrà piacere
di salutarvi.
Compar Alfio allora si mise a sedere in
punta allo scranno, colla frusta in mano, e guardava in torno, dalla parte dove non era
comare Mena.
- Ora quando tornate? domandò la Longa.
- Chi lo sa quando tornerò? Io vado dove
mi porta il mio asino. Finché dura il lavoro vi starò; ma vorrei tornar presto qui, se
cè da buscarmi il pane.
- Guardatevi la salute, compare Alfio.
Alla Bicocca mi hanno detto che la gente muore come le mosche, dalla malaria.
Alfio si strinse nelle spalle, e disse che
non poteva farci nulla. - Io non vorrei andarmene, ripeteva, guardando la candela. - E voi
non mi dite nulla, comare Mena?
La ragazza aprì la bocca due o tre volte
per dire qualche cosa, ma il cuore non le resse.
- Anche voi ve ne andate dal vicinato, ora
che vi maritano, aggiunse Alfio. Il mondo è fatto come uno stallatico, che chi viene e
chi se ne va, e a poco a poco tutti cambiano di posto, e ogni cosa non sembra più quella.
- Così dicendo si fregava le mani e rideva, ma colle labbra e non col cuore.
- Le ragazze, disse la Longa, vanno come
Dio le ha destinate. Ora son sempre allegre e senza pensieri, e comentrano nel mondo
cominciano a conoscere i guai e i dispiaceri.
Compar Alfio, dopo che furono tornati a
casa padron Ntoni e i ragazzi, e li ebbe salutati, non sapeva risolversi a partire,
e rimaneva sulla soglia, colla frusta sotto lascella, a stringere la mano a questo e
a quello, anche a comare Maruzza, e ripeteva, come si suol fare quando uno se ne va
lontano, e non si sa bene se ci si rivede più: - Perdonatemi se ho mancato qualche volta.
La sola che non gli strinse la mano fu SantAgata, la quale stava rincantucciata
vicino al telaio. Ma le ragazze si sa che devono fare così.
Era una bella sera di primavera, col
chiaro di luna per le strade e nel cortile, la gente davanti agli usci, e le ragazze che
passeggiavano cantando e tenendosi abbracciate. Mena uscì anche lei a braccetto della
Nunziata, ché in casa si sentiva soffocare.
- Ora non si vedrà più il lume di compar
Alfio, alla sera, disse Nunziata, e la casa rimarrà chiusa.
Compar Alfio aveva caricato buona parte
delle sue cosucce sul carro, e insaccava quel po di paglia che rimaneva nella
mangiatoia, intanto che cuocevano quelle quattro fave della minestra.
- Partirete prima di giorno, compar Alfio?
gli domandò Nunziata sulla porta del cortile.
- Sì, vado lontano, e quella povera
bestia bisogna che si riposi un po nella giornata.
Mena non diceva nulla, e stava appoggiata
allo stipite a guardar il carro carico, la casa vuota, il letto mezzo disfatto e la
pentola che bolliva lultima volta sul focolare.
- Siete là anche voi, comare Mena? -
Esclamò Alfio appena la vide, e lasciò quello che stava facendo.
Ella disse di sì col capo, e Nunziata
intanto era corsa a schiumare la pentola che riversava, da quella brava massaia che era.
- Così son contento, che posso dirvi
addio anche a voi! disse Alfio.
- Sono venuta a salutarvi, - disse lei, e
ci aveva il pianto nella gola. - Perché ci andate alla Bicocca se vi è la malaria?
Alfio si mise a ridere, anche questa volta
a malincuore, come quando era andato a dirle addio.
- O bella! perché ci vado? e voi perché
vi maritate con Brasi Cipolla? Si fa quel che si può, comare Mena. Se avessi potuto fare
quel che volevo io, lo sapete cosa avrei fatto!... - Ella lo guardava e lo guardava, cogli
occhi lucenti. - Sarei rimasto qui, che fino i muri mi conoscono, e so dove metter le
mani, tanto che potrei andar a governare lasino di notte, anche al buio; e vi avrei
sposata io, comare Mena, chè in cuore vi ci ho da un pezzo, e vi porto meco alla Bicocca,
e dappertutto ove andrò. Ma questi ormai sono discorsi inutili, e bisogna fare quel che
si può. Anche il mio asino va dove lo faccio andare.
- Ora addio, conchiuse Mena; anchio
ci ho come una spina dentro... ed ora che vedrò sempre quella finestra chiusa, mi parrà
di averci chiuso anche il cuore, e daverci chiuso sopra quella finestra, pesante
come una porta di palmento. - Ma così vuol Dio. Ora vi saluto e me ne vado.
La poveretta piangeva cheta cheta, colla
mano sugli occhi, e se ne andò insieme alla Nunziata a piangere sotto il nespolo, al
chiaro di luna.
© 1996 - by prof. Giuseppe Bonghi - E-mail: Giuseppe.Bonghi@mail.fausernet.novara.it
Ultimo aggiornamento: 11 febbraio 1998