FRANCESCO PETRARCA
CANZONIERE
CCCI-CCCXXXV
RERUM VULGARIUM FRAGMENTA
codice Vaticano 3195
In morte di Madonna Laura
CCCI
Valle che de lamenti miei se piena
Valle che de lamenti miei
se piena, fiume che spesso del mio pianger cresci, fere selvestre, vaghi augelli e pesci che luna e laltra verde riva affrena, aria de miei sospir calda e serena, dolce sentier che sí amaro riesci, colle che mi piacesti, or mi rincresci, ovancor per usanza Amor mi mena, ben riconosco in voi lusate forme, non, lasso!, in me, che da sí lieta vita son fatto albergo dinfinita doglia. Quinci vedea l mio bene; e per queste orme torno a vedere ondal ciel nuda è gita, lasciando in terra la sua bella spoglia. |
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CCCII
Levommi il mio pensèr in parte overa
Levommi il mio pensèr in parte
overa quella chio cerco, e non ritrovo in terra: ivi, fra lor che l terzo cerchio serra, la rividi più bella, e meno altèra. Per man mi prese, e disse: - In questa spera sarai ancor meco, se l desir non erra; i so colei che ti die tanta guerra, e compiè mia giornata inanzi sera. Mio ben non cape in intelletto umano: te solo aspetto, e quel che tanto amasti e là giuso è rimaso, il mio bel velo. - Deh, perché tacque, et allargò la mano? Chal suon dei detti sí pietosi e casti poco mancò chio non rimasi in cielo. |
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CCCIII
Amor, che meco a buon tempo ti stavi
Amor, che meco a buon tempo ti stavi tra queste rive, a pensier nostri amiche, e per saldar le ragion nostre antiche meco e col fiume ragionando andavi fior, frondi, erbe, ombre, antri, onde, aure soavi, valli chiuse, alti colli e piagge apriche, porto de lamorose mie fatiche, de le fortune mie tante, e sí gravi; o vaghi abitator de verdi boschi, o ninfe, e voi che l fresco erboso fondo del liquido cristallo alberga e pasce; i dí miei fûr sí chiari, or son sí foschi, come Morte che l fa. Cosí nel mondo sua ventura ha ciascun dal dí che nasce. |
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CCCIV
Mentre che l cor da gli amorosi vermi
Mentre che l cor da gli amorosi
vermi fu consumato, e n fiamma amorosa arse, di vaga fera le vestigia sparse cercai per poggi solitari et ermi; et ebbi ardir cantando di dolermi dAmor, di lei che sí dura mapparse: ma lingegno e le rime erano scarse in quella etate a i pensier novi e nfermi. Quel foco è morto, e l cuore un picciol marmo: che se col tempo fossi ito avanzando, come già in altri, in fino a la vecchiezza, di rime armato, ondoggi mi disarmo, con stil canuto avrei fatto parlando romper le pietre, e pianger di dolcezza. |
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CCCV
Anima bella, da quel nodo sciolta
Anima bella, da quel nodo sciolta che più bel mai non seppe ordir natura, pon dal ciel mente a la mia vita oscura, da sí lieti pensieri a pianger volta. La falsa opinion dal cor sè tolta, che mi fece alcun tempo acerba e dura tua dolce vista: omai tutta secura volgi a me gli occhi, e i miei sospiri ascolta. Mira l gran sasso, donde Sorga nasce, e vedra vi un che sol tra lerbe e lacque di tua memoria, e di dolor si pasce. Ove giace il tuo albergo, e dove nacque il nostro amor, vo chabbandoni e lasce, per non veder ne tuoi quel cha te spiacque. |
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CCCVI
Quel sol che mi mostrava il camin destro
Quel sol che mi mostrava il camin
destro di gire al ciel con gloriosi passi, tornando al sommo sole, in pochi sassi chiuse l mio lume, e l suo carcer terrestro ondio son fatto un animal silvestro, che co pie vaghi, solitari e lassi porto l cor grave, e gli occhi umidi e bassi al mondo, chè per me un deserto alpestro. Cosí vo ricercando ogni contrada ovio la vidi; e sol tu che maffligi, Amor, vien meco, e mostrimi ondio vada. Lei non trovio, ma suoi santi vestigi tutti rivolti a la superna strada veggio, lunge da laghi averni e stigi. |
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CCCVII
I pensava assai destro esser su lale
I pensava assai destro esser su
lale, non per lor forza, ma di chi le spiega, per gir cantando a quel nodo eguale, onde Morte massolve, Amor mi lega. Trovaimi a lopra via più lento e frale dun picciol ramo cui gran fascio piega; e dissi: - A cader va chi troppo sale; né si fa ben per uom quel che l ciel nega. - Mai non porìa volar penna dingegno, non che stil grave o lingua, ove Natura volò tessendo il mio dolce ritegno. Seguilla Amor con sí mirabil cura in adornarlo, chi non era degno pur de la vista; ma fu mia ventura. |
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CCCVIII
Quella per cui con Sorga ho cangiato Arno
Quella per cui con Sorga ho cangiato
Arno, con franca povertà serve ricchezze, volse in amaro sue sante dolcezze, ondio già vissi, or me ne struggo e scarno. Da poi più volte ho ritrovato indarno al secol che verrà lalte bellezze pinger cantando, a ciò che lame e prezze; né col mio stile il suo bel viso incarno. Le lode mai non daltra, e proprie sue, che n lei fûr come stelle in cielo sparte, pur ardisco ombreggiare, or una, or due; ma poi chi giungo a la divina parte, chun chiaro e breve sole al mondo fue, ivi manca lardir, lingegno e larte. |
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CCCIX
Lalto e novo miracol cha dí nostri
Lalto e novo miracol
cha dí nostri apparve al mondo, e star seco non volse, che sol ne mostrò l ciel, poi sel ritolse, per adornare i suoi stellanti chiostri, vuol chi depinga a chi no l vide, e l mostri, Amor, che n prima la mia lingua sciolse, per mille volte indarno a lopra volse impegno, tempo, penne, carta, enchiostri. Non son al sommo ancor giunte le rime: in me il conosco; e provai ben chiunque è n fin a qui, che damor parli o scriva. Chi sa pensare, il ver tacito estime, chogni stil vince, e poi sospire: - Adunque beati gli occhi che la vider viva! - |
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CCCX
Zefiro torna, e l bel tempo rimena
Zefiro torna, e l bel tempo
rimena, e i fiori e lerbe, sua dolce famiglia, e garrir Progne, e pianger Filomena, e primavera candida e vermiglia. Ridono i prati, e l ciel si rasserena; Giove sallegra di mirar sua figlia; laria, e lacqua, e la terra è damor piena; ogni animal damar si riconsiglia. Ma per me, lasso!, tornano i più gravi sospiri, che del cor profondo tragge quella chal ciel se ne portò le chiavi; e cantar augelletti, e fiorir piagge, e n belle donne oneste atti soavi sono un deserto, e fere aspre e selvagge. |
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CCCXI
Quel rosigniuol che sí soave piagne
Quel rosigniuol che sí soave piagne, forse suoi figli, o sua cara consorte, di dolcezza empie il cielo e le campagne con tante note sí pietose e scorte; e tutta notte par che maccompagne, e mi rammente la mia dura sorte; chaltri che me non ho di chi mi lagne; ché n dee non credevio regnasse Morte. O che lieve è inganar chi sassecura! Que duo bei lumi assai più che l sol chiari chi pensò mai veder far terra oscura? Or cognosco io che mia fera ventura vuol che vivendo e lagrimando impari come nulla qua giù diletta, e dura. |
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CCCXII
Né per sereno ciel ir vaghe stelle
Né per sereno ciel ir vaghe stelle, né per tranquillo mar legni spalmati, né per campagne cavalieri armati, né per bei boschi allegre fere e snelle; né daspettato ben fresche novelle, né dir damore in stili alti et ornati, né tra chiare fontane e verdi prati dolce cantare oneste donne e belle; né altro sarà mai chal cor maggiumga, sí seco il seppe quella seppellire che sola a gli occhi miei fu lume e speglio. Noia mè l viver sí gravosa e lunga, chi chiamo il fine, per lo gran desire di riveder cui non veder fu l meglio. |
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CCCXIII
Passato è l tempo omai, lasso!, che tanto
Passato è l tempo omai, lasso!,
che tanto con refrigerio in mezzo l foco vissi; passata è quella di chio piansi e scrissi, ma lasciato mha ben la penna e l pianto. Passato è l viso sí leggiadro e santo, ma, passando, i dolci occhi al cor mha fissi, al cor già mio, che seguendo partissi lei chavolto lavea nel suo bel manto. Ella l se ne portò sotterra, e n cielo, ove or triunfa, ornata de lalloro che meritò la sua invitta onestate. Cosí, disciolto dal mortal mio velo cha forza mi tien qui, fossio con loro fuor de sospir fra lanime beate! |
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CCCXIV
Mente mia, che presaga de tuoi danni
Mente mia, che presaga de tuoi
danni, al tempo lieto già pensosa e trista, sí ntentamente ne lamata vista requie cercavi de futuri affanni, a gli atti, a le parole, al viso, a i panni, a la nova pietà con dolor mista: potêi ben dir, se del tutto eri avista: - Questo è lultimo dí de miei dolci anni. - Qual dolcezza fu quella, o misera alma! come ardavamo in quel punto chi vidi gli occhi, i quai non devea riveder mai, quando a lor, come a duo amici più fidi, partendo, in guardia la più nobil salma, i miei cari penseri e l cor lasciai! |
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CCCXV
Tutta la mia fiorita e verde etade
Tutta la mia fiorita e verde etade passava; e ntepidir sentìa già l foco charse il mio core; et era giunto al loco ove scende la vita, chal fin cade. Già incomminciava a prender securtade la mia cara nemica a poco a poco de suoi sospetti, e rivolgeva in gioco mie pene acerbe sua dolce onestade. Presso era l tempo dove Amor si scontra con Castitade, et a gli amanti è dato sedersi inseme, e dir che lor incontra. Morte ebbe invidia al mio felice stato, anzi a la speme; e fêglisi a lincontra a mezza via, come nemico armato. |
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CCCXVI
Tempo era omai da trovar pace o triegua
Tempo era omai da trovar pace o
triegua di tanta guerra, et erane in via forse; se non che lieti passi in dietro torse chi le disuguaglianze nostre adegua. Chè, come nebbia al vento si dilegua, cosí sua vita sùbito trascorse quella che già co begli occhi mi scòrse, et or convèn che col penser la segua. Poco aveva ndugiar, ché gli anni e l pelo cangiavano i costumi; onde sospetto non fôra il ragionar del mio mal seco. Con che onesti sospiri lavrei detto le mie lunghe fatiche, chor dal cielo vede, son certo, e duolsene ancor meco! |
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CCCXVII
Tranquillo porto avea mostrato Amore
Tranquillo porto avea mostrato Amore a la mia lunga e torbida tempesta fra gli anni de la età matura onesta, che i vizii spoglia, e vertù veste e onore. Già traluceva a begli occhi il mio core, e lalta fede non più lor molesta. Ahi, Morte ria, come a schiantar se presta il frutto de moltanni in sí poche ore! Pur, vivendo, veniasi ove deposto in quelle caste orecchie avrei, parlando, de miei dolci pensier lantiqua soma; et ella avrebbe a me forse resposto qualche santa parola sospirando, cangiàti i vólti, e luna e laltra coma. |
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CCCXVIII
Al cader duna pianta che si svelse
Al cader duna pianta che si
svelse come quella che ferro o vento sterpe, spargendo a terra le sue spoglie eccelse, mostrando al sol la sua squalida sterpe, vidi unaltra chAmor obietto scelse, subietto in me Calliope e Euterpe; che l cor mavinse, e proprio albergo fêlse, qual per trunco o per muro edera serpe. Quel vivo lauro, ove solean far nido li alti penseri e i miei sospiri ardenti, che de bei rami mai non mossen fronda, al ciel translato, in quel suo albergo fido lasciò radici, onde con gravi accenti è ancor chi chiami, e non è chi risponda. |
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CCCXIX
I dí miei, più leggier che nesun cervo
I dí miei, più leggier che nesun
cervo, fuggir come ombra; e non vider più bene chun batter docchio, e poche ore serene, chamare e dolci ne la mente servo. Misero mondo, instabile e protervo, del tutto è cieco chi n te pon sua spene: ché n te mi fu l cor tolto; et or sel tène tal chè già terra, e non giunge osso a nervo. Ma la forma miglior, che vive ancóra, e vivrà sempre su ne lalto cielo, di sue bellezze ogni or più minnamora; e vo, sol in pensar, cangiando il pelo, qual ella è oggi, e n qual parte dimora, qual a vedere il suo leggiadro velo. |
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CCCXX
Sento laura mia antica, e i dolci colli
Sento laura mia antica, e i
dolci colli veggio apparire, onde l bel lume nacque che tenne gli occhi mei contral ciel piacque bramosi e lieti, or li tèn tristi e molli. O caduche speranze! o penser folli! Vedove lerbe, e torbide son lacque, e vòto e freddo l nido in chella giacque, nel qual io vivo, e morto giacer volli, sperando al fin de le soavi piante e da belli occhi suoi, che l cor mhannarso, riposo alcun de le fatiche tante. Ho servito a signor crudele e scarso; charsi quanto l mio foco ebbi davante, or vo piangendo il suo cenere sparso. |
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CCCXXI
È questo l nido, in che la mia fenice
È questo l nido, in che la mia
fenice mise laurate e purpuree penne? che sotto le sue ali il mio cor tenne, e parole e sospiri anco ne elice? O dolce mio mal prima radice, ovè il bel viso, onde quel lume venne che vivo e lieto, ardendo, mi mantenne? Sol eri in terra; or se nel ciel felice. E mhai lasciato qui misero, e solo, tal che pien di duol sempre al loco torno, che per te consecrato onoro e colo; veggendo a colli oscura notte intorno, onde prendesti al ciel lultimo volo, e dove li occhi tuoi solean far giorno. |
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CCCXXII
Mai non vedranno le mie luci asciutte
Mai non vedranno le mie luci asciutte con le parti de lanimo tranquille quelle note, ovAmor par che sfaville, e Pietà di sua man labbia costrutte. Spirto già invitto a le terrene lutte, chor su dal ciel tanta dolcezza stille, cha lo stil, onde Morte dipartille, le disviate rime hai ricondutte, di mie tènere frondi altro lavoro credea mostrarte. E qual fero pianeta ne nvidiò inseme, o mio nobil tesoro? Chi nnanzi tempo mi tasconde e vieta, che col cor veggio e co la lingua onoro, e n te, dolce sospir, lalma sacqueta? |
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CCCXXIII
Standomi un giorno solo a la fenestra
Standomi un giorno solo a la
fenestra, onde cose vedea tante, e sí nove, chera sol di mirar quasi già stanco, una fera mapparve da man destra, con fronte umana, da far arder Giove, cacciata da duo veltri, un nero, un bianco, che lun e laltro fianco de la fera gentil mordean sí forte, che n poco tempo la menaro al passo ove chiusa in un sasso vinse molta bellezza acerba morte; e mi fe sospirar sua dura sorte. Indi per alto mar vidi una nave, con le sarte di seta, e dòr la vela, tutta davorio e debeno contesta; e l mar tranquillo, e laura era soave, e l ciel qual è se nulla nube il vela; ella carca di ricca merce onesta: poi repente tempesta oriental turbò sí laere e londe, che la nave percosse ad uno scoglio. O che grave cordoglio! Breve ora oppresse, e poco spazio asconde, lalte ricchezze a nullaltre seconde. In un boschetto novo i rami santi fiorian dun lauro giovenetto e schietto, chun delli arbor parea di paradiso; e di sua ombra uscìan sí dolci canti, di varî augelli, e tantaltro diletto, che del mondo mavean tutto diviso: e mirandol io fiso, cangiossi l cielo intorno, e tinto in vista, folgorando l percosse, e da radice quella pianta felice sùbito svelse: onde mia vita è trista, ché simile ombra mai non si racquista. Chiara fontana, in quel medesmo bosco, sorgea dun sasso, et acque fresche e dolci spargea, soavemente mormorando; al bel seggio, riposto, ombroso, e fosco, né pastori appressavan né bifolci, ma ninfe e muse, a quel tenor cantando: ivi massisi; e quando più dolcezza prendea di tal concento, e di tal vista, aprir vidi uno speco, e portarsene seco la fonte, e l loco: ondancor doglia sento, e sol de la memoria mi sgomento. Una strania fenice, ambedue lale di porpora vestita, e l capo doro, vedendo per la selva, altèra e sola, veder forma celeste et immortale prima pensai, fin cha lo svelto alloro giunse, et al fonte che la terra invola: ogni cosa al fin vola; ché mirando le frondi a terra sparse, e l troncon rotto, e quel vivo umor secco, volse in se stessa il becco, quasi sdegnando, e n un punto disparse: onde l cor di pietate, e damor marse. Al fin vidio, per entro i fiori e lerba, pensosa ir sí leggiadra e bella donna, che mai no l penso chi non arda e treme, umile in sé, ma ncontra Amor superba; et avea in dosso sí candida gonna, sí testa, choro e neve parea inseme; ma le parti supreme eran avolte duna nebbia oscura: punta poi nel tallon dun picciol angue, come fior còlto langue, lieta si dipartìo, non che secura: ahi, nulla, altro che pianto, al mondo dura! Canzon, tu puoi ben dire: - Queste sei visioni al signor mio han fatto un dolce di morir desio. - |
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CCCXXIV
Amor, quando fiorìa
Amor, quando fiorìa mia spene, e l guidardon di tanta fede, tolta mè quella ondattendea mercede. Ahi, dispietata morte! ahi, crudel vita! Luna mha posto in doglia, e mie speranze acerbamente ha spente; laltra mi tèn qua giù contra mia voglia, e lei, che se nè gita, seguir non posso, chella no l consente; ma pur ogni or presente nel mezzo del meo cor madonna siede, e qual è la mia vita ella sel vede. |
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CCCXXV
Tacer non posso, e temo non adopre
Tacer non posso, e temo non adopre contrario effetto la mia lingua al core, che vorria far onore a la sua donna, che dal ciel nascolta. Come possio, se non minsegni, Amore, con parole mortali aguagliar lopre divine, e quel che copre alta umiltade, in se stessa raccolta? Ne la bella pregione, ondè or sciolta, poco era stato ancor lalma gentile, al tempo che di lei prima maccorsi; onde sùbito corsi (chera de lanno e di mi etate aprile) a coglier fiori, in quei prati dintorno, sperando a li occhi suoi piacer sí addorno. Muri eran dalabastro, e l tetto doro, davorio uscio, e fenestre di zaffiro, onde l primo sospiro mi giunse al cor, e giugnerà lestremo. Indi i messi dAmor armati usciro di saette e di foco; ondio di loro, coronati dalloro, pur come or fusse, ripensando tremo. Dun bel diamante, quadro, e mai non scemo, vi si vedea, nel mezzo, un seggio altèro, ove, sola, sedea la bella donna; dinanzi, una colonna, cristallina, et iventro ogni pensero, scritto, e fòr tralucea sí chiaramente, che mi fea lieto, e sospirar sovente. A le pungenti, ardenti, e lucide arme, a la vittoriosa insegna verde, contra cui in campo perde Giove, et Apollo, e Polifemo, e Marte, ovè l pianto ogni or fresco, e si rinverde, giunto mi vidi; e non possendo aitarme, preso lassai menarme, ondor non so duscir la via, né larte. Ma sí comuom talor che piange, e parte vede cosa, che li occhi, e l cor alletta, cosí colei per chio son in pregione, standosi ad un balcone, che fu sola a suoi dí cosa perfetta, cominciai a mirar con tal desio, che me stesso, e l mio mal posi in oblio. I era in terra, e l cor in paradiso, dolcemente obliando ogni altra cura; e mia viva figura far sentìa un marmo, e mpier di meraviglia; quando una donna assai pronta, e secura, di tempo antica, e giovene del viso, vedendomi sí fiso, a latto de la fronte, e de le ciglia: - Meco - mi disse - meco ti consiglia, chi son daltro poder che tu non credi; e so far lieti e tristi in un momento, più leggiera che l vento; e reggo, e volvo quanto al mondo vedi. Tien pur li occhi come aquila in quel sole; parte dà orecchi a queste mie parole. Il dí che costei nacque, eran le stelle che producon fra voi felici effetti, in luoghi alti, et eletti, luna vèr laltra, con amor, converse; Venere, e l padre con benigni aspetti tenean le parti signorili e belle; e le luci impie e felle quasi in tutto del ciel eran disperse. Il sol mai sí bel giorno non aperse; laere, e la terra sallegrava, e lacque, per lo mar, avean pace, e per li fiumi. Fra tanti amici lumi, una nube lontana mi dispiacque; la qual temo che n pianto si resolve, se pietate altramente il ciel non volve. Comella venne in questo viver basso, cha dir il ver, non fu degno daverla, cosa nova a vederla, già santissima e dolce, ancor acerba, parea chiusa in òr fin candida perla; et or carpone, or con tremante passo, legno, acqua, terra, o sasso, verde facea, chiara, soave, e lerba con le palme o co i pie fresca e superba; e fiorir co i belli occhi le campagne, et acquetar i vènti, e le tempeste, con voci ancor non preste di lingua che dal latte si scompagne; chiaro mostrando al mondo sordo e cieco quanto lume del ciel fusse già seco. Poi che crescendo in tempo, et in vertute, giunse a la terza sua fiorita etate, leggiadria, né beltate, tanta non vide l sol, credo, già mai: li occhi pien di letizia e donestate, e l parlar di dolcezza, e di salute. Tutte lingue son mute, a dir di lei quel che tu sol ne sai. Sí chiaro ha l vólto di celesti rai, che vostra vista in lui non pò fermarse; e da quel suo bel carcere terreno di tal foco hai l cor pieno, chaltro più dolcemente mai non arse. Ma parmi che sua sùbita partita tosto ti fia cagion damara vita. - Detto questo, a la sua volubil rota si volse, in chella fila il nostro stame, trista, e certa indivina de miei danni; ché dopo non moltanni, quella, per chio ho di morir tal fame, canzon mia, spense Morte, acerba, e rea, che più bel corpo occider non potea. |
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CCCXXVI
Or hai fatto lestremo di tua possa
Or hai fatto lestremo di tua
possa, o crudel Morte; or hai l regno dAmore impoverito; or di bellezza il fiore, e l lume, hai spento, e chiuso in poca fossa; or hai spogliata nostra vita, e scossa, dogni ornamento, e del sovran suo onore: ma la fama e l valor, che mai non more, non è in tua forza: abbiti ignude lossa; ché laltro ha l cielo, e di sua chiaritate, quasi dun più bel sol, sallegra e gloria; e fi al mondo de buon sempre in memoria. Vinca l cor vostro, in sua tanta vittoria, angel novo, lassù, di me pietate, come vinse qui l mio vostra beltate. |
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CCCXXVI
Laura, e lodore, e l refrigerio, e lombra
Laura, e lodore, e
l refrigerio, e lombra del dolce lauro, e sua vista fiorita, lume e riposo di mia stanca vita, toltha colei che tutto l mondo sgombra. Come a noi il sol se sua soror ladombra, cosí lalta mia luce a me sparita, i cheggio a Morte in contra Morte aita; di sí scuri penseri Amor mingombra. Dormithai, bella donna, un breve sonno; or sei svegliata fra li spirti eletti, ove nel suo Fattor lalma sinterna: e se mie rime alcuna cosa ponno, consecrata fra i nobili intelletti, fia del tuo nome, qui, memoria eterna. |
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CCCXXVIII
Lultimo, lasso!, de miei giorni allegri
Lultimo, lasso!, de miei
giorni allegri, che pochi ho visto in questo viver breve, giunto era, e fatto l cor tepida neve, forse presago de dí tristi e negri. Qual ha già i nervi e i polsi e i penser egri cui domestica febbre assalir deve, tal mi sentìa, non sappiendio che lève venisse l fin de miei ben non intègri. Li occhi belli, or in ciel chiari e felici del lume onde salute e vita piove, lasciando i miei qui miseri e mendici, dicean lor con faville oneste e nove: - Rimanetevi in pace, o cari amici; qui mai più, no ma rivedrenne altrove. - |
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CCCXXIX
O giorno, o ora, o ultimo momento
O giorno, o ora, o ultimo momento, o stelle congiurate a mpoverirme! o fido sguardo, or che volei tu dirme, partendio per non esser mai contento? Or conosco i miei danni, or mi risento: chi credeva (ahi, credenze vane e nfirme) perder parte, non tutto, al dipartirme: quante speranze se ne porta il vento! Ché già l contrario era ordinato in cielo: spegner lalmo mio lume ondio vivea: e scritto era in sua dolce amara vista. Ma nnanzi a gli occhi mera postun velo, che mi fea non veder quel chi vedea, per far mia vita sùbito più trista. |
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CCCXXX
Quel vago, dolce, caro, onesto sguardo
Quel vago, dolce, caro, onesto
sguardo dir parea: - To di me quel che tu pòi, ché mai più qui non mi vedrai da poi chavrai quinci il pe mosso, a mover tardo. - Intelletto veloce più che pardo, pigro in antivedere i dolor tuoi, come non vedestù nelli occhi suoi quel che vedora, ondio mi struggo et ardo? Taciti sfavillando oltra lor modo, dicean: - O lumi amici, che gran tempo, con tal dolcezza fêste di noi specchi, il ciel naspetta: a voi parrà per tempo; ma chi ne strinse qui, dissolve il nodo, e l vostro, per farvira, vuol che nvecchi. |
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CCCXXXI
Solea da la fontana di mia vita
Solea da la fontana di mia vita allontanarme, e cercar terre e mari, non mio voler, ma mia stella seguendo; e sempre andai, tal Amor diemmi aita, in quelli essilii, quanto e vide, amari, di memoria e di speme il cor pascendo. Or lasso!, alzo la mano, e larme rendo a lempia e violenta mia fortuna, che privo mha di sí dolce speranza. Sol memoria mavanza, e pasco l gran desir sol di questuna; onde lalma vien men, frale e digiuna. Come a corrier tra via, se l cibo manca, conven per forza rallentare il corso, scemando la vertù che l fea gir presto, cosí, mancando a la mia vita stanca quel caro nutrimento, in che di morso die chi l mondo fa nudo, e l mio cor fa mesto, il dolce acerbo, e l bel piacer molesto mi si fa dora in ora; onde l camino sí breve non fornir spero e pavento. Nebbia o polvere al vento, fuggo per più non esser pellegrino: e cosí vada, sè pur mio destino. Mai questa mortal vita a me non piacque (sassel Amor, con cui spesso ne parlo) se non per lei che fu l suo lume, e l mio: poi che n terra morendo, al ciel rinacque, quello spirto, ondio vissi, a seguitarlo (licito fusse!) è l mi sommo desio. Ma da dolermi ho ben sempre, per chio fui mal accorto, a proveder mio stato, chAmor mostrommi sotto quel bel ciglio, per darmi altro consiglio: ché tal morì già tristo e sconsolato, cui poco inanzi era l morir beato. Nelli occhi ovabitar solea l mio core fin che mia dura sorte invidia nebbe, che di sí ricco albergo il pose in bando, di sua man propria avea descritto Amore con lettre di pietà, quel chaverrebbe tosto del mio sí lungo ir desiando. Bello e dolce morire era allor quando, morendio, non morìa mia vita inseme, anzi vivea di me lottima parte: or mie speranze sparte ha morte, e poca terra il mio ben preme; e vivo; e mai no l penso chi non treme. Se stato fusse il mio poco intelletto meco al bisogno, e non altra vaghezza lavesse disviando altrove vòlto, ne la fronte a madonna avrei ben letto: - al fin se giunto dogni tua dolcezza et al principio del tuo amaro molto. - Questo intendendo, dolcemente sciolto in sua presenzia del mortal mio velo e di questa noiosa e grave carne, potea inanzi lei andarne, a veder preparar sua sedia in cielo; or landrò dietro, omai, con altro pelo. Canzon, suom trovi in suo amor viver queto, di: - Muor, mentre se lieto; ché morte, al tempo, è, non duol, ma refugio; e chi ben pò morir, non cerchi indugio. - |
5 10 15 20 25 30 35 40 45 50 55 60 |
CCCXXXII
Mia benigna fortuna, e l viver lieto
Mia benigna fortuna, e l viver
lieto, i chiari giorni, e le tranquille notti, e i soavi sospiri, e l dolce stile che solea resonare in versi e n rime, vòlti subitamente in doglia e n pianto, odiar vita mi fanno e bramar morte. Crudele, acerba, inesorabil Morte, cagion mi dà di mai non esser lieto, ma di menar tutta mia vita in pianto, e i giorni oscuri e le dogliose notti. I miei gravi sospir non vanno in rime, e l mio duro martir vince ogni stile. Ove è condutto il mio amoroso stile? A parlar dira, a ragionar di morte. U sono i versi, u son giunte le rime, che gentil cor udia pensoso, e lieto? ovè l favoleggiar damor le notti? Or non parlio, né penso altro che pianto. Già mi fu col desir sí dolce il pianto, che condìa di dolcezza ogni agro stile, e vegghiar mi facea tutte le notti; or mè l pianger amaro più che morte, non sperando mai l guardo onesto e lieto, alto sogetto a le mie basse rime. Chiaro segno Amor pose a le mie rime dentro a belli occhi; et or lha posto in pianto, con dolor rimembrando il tempo lieto: ondio vo col pensèr cangiando stile, e ripregando te, pallida Morte, che mi sottragghi a sí penose notti. Fuggito è l sonno a le mie crude notti, e l suono usato a le mie roche rime, che non sanno trattar altro che morte: cosí è l mio cantar converso in pianto. Non ha il regno dAmor sí vario stile, chè tanto or tristo, quanto mai fu lieto. Nessun visse già mai più di me lieto, nessun vide più tristo e giorni e notti; e doppiando l dolor, doppia lo stile, che trae del cor sí lacrimose rime. Vissi di speme, or vivo pur di pianto, né contra Morte spero altro che Morte. Morte mha morto; e sola pò far Morte chi torni a riveder quel viso lieto, che piacer mi facea i sospiri e l pianto, laura dolce e la pioggia a le mie notti; quando i penseri eletti tessea in rime, Amor alzando il mio debile stile. Or avessio un sí pietoso stile che Laura mia potesse tôrre a Morte, come Euridice Orfeo sua senza rime, chi viverei ancor più che mai lieto! Sesser non pò, qualcuna deste notti chiuda omai queste due fonti di pianto. Amor, i ho molti e moltanni pianto mio grave danno in doloroso stile, né da te spero mai men fere notti; e però mi son mosso a pregar Morte che mi tolla di qui, per farme lieto, ove è colei chi canto, e piango in rime. Se sí alto pôn gir mie stanche rime, chagiungan lei, chè fuor dira e di pianto, e fa l ciel or di sue bellezze lieto, ben riconoscerà l mutato stile, che già forse le piacque, anzi che Morte chiaro a lei giorno, a me fêsse atre notti. O voi che sospirate a miglior notti, chascoltate dAmore, o dite in rime, pregate non mi sia più sorda Morte, porto de le miserie e fin del pianto; muti una volta quel suo antiquo stile, chogni uom rattrista, e me pò far sí lieto. Far mi pò lieto in una o n poche notti; e n aspro stile, e n angosciose rime, prego che l pianto mio finisca Morte. |
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CCCXXXIII
Ite, rime dolenti, al duro sasso
Ite, rime dolenti, al duro sasso, che l mio caro tesoro in terra asconde; ivi chiamate chi dal ciel risponde, ben che l mortal sia in loco oscuro, e basso. Ditele chi son già di viver lasso, del navigar per queste orribil onde; ma ricogliendo le sue sparte fronde, dietro le vo pur cosí passo passo, e sol di lei ragionando viva e morta, anzi pur viva, et or fatta immortale, a ciò che l mondo la conosca et ame. Piacciale al mio passar esser accorta, chè presso omai; siami a lincontro, e quale ella è nel cielo, a sé mi tiri e chiame. |
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CCCXXXIV
Sonesto amor pò meritar mercede
Sonesto amor pò meritar
mercede, e se pietà ancor pò, quantella suole, mercede avrò, ché più chiara che l sole, a madonna et al mondo è la mia fede. Già di me paventosa, or sa, no l crede, che quello stesso chor per me si vòle, sempre si volse; e sella udìa parole o vedea l vòlto, or lanimo, e l cor vede. Ondi spero che n fin al ciel si doglia di miei tanti sospiri; e cosí mostra, tornando a me sí piena di pietate. E spero chal por giù di questa spoglia, venga per me, con quella gente nostra, vera amica di Cristo, e donestate. |
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CCCXXXV
Vidi fra mille donne una già tale
Vidi fra mille donne una già tale, chamorosa paura l cor massalse, mirandola in imagini non false a li spirti celesti in vista eguale. Niente in lei terreno era o mortale, sí come a cui del ciel, non daltro calse. Lalma, charse per lei sí spesso et alse, vaga dir seco, aperse ambedue lale. Ma troppera alta al mio peso terrestre; e poco poi nuscí in tutto di vista; di che pensando, ancor magghiaccio e torpo. O belle et alte e lucide fenestre, onde colei che molta gente attrista trovò la via dentrare in sí bel corpo! |
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© 30 aprile 1996 - by prof. Giuseppe Bonghi - E-mail: Giuseppe.Bonghi@mail.fausernet.novara.it
8 maggio 1996 - Ultimo aggiornamento: 11 febbraio 1998