FRANCESCO PETRARCA
CANZONIERE
RERUM VULGARIUM FRAGMENTA
codice Vaticano 3195
In vita di Madonna Laura
I
Voi chascoltate in rime sparse il suono
Voi chascoltate in rime sparse
il suono di quei sospiri ondio nudriva l core in sul mio primo giovenile errore, quandera in parte altruom da quel, chi sono; del vario stile in chio piango e ragiono fra le vane speranze, e l van dolore; ove sia chi per prova intenda amore, spero trovar pietà, non che perdono. Ma ben veggio or sì come al popol tutto favola fui gran tempo, onde sovente di me medesmo meco mi vergogno; e del mio vaneggiar vergogna è l frutto, e l pentersi, e l conoscer chiaramente che quanto piace al mondo è breve sogno. |
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II
Per far una leggiadra sua vendetta
Per far una leggiadra sua vendetta, e punir in un dì ben mille offese, celatamente Amor larco riprese, come uom cha nocer luogo e tempo aspetta. Era la mia virtute al cor ristretta per far ivi, e ne gli occhi sue difese, quando l colpo mortal là giù discese, ove solea spuntarsi ogni saetta. Però turbata nel primiero assalto, non ebbe tanto nè vigor, nè spazio che potesse al bisogno prender larme, o vero al poggio faticoso ed alto ritrarmi accortamente da lo strazio; del quale oggi vorrebbe, e non può aitarme. |
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III
Era l giorno chal sol si scoloraro
Era l giorno chal sol si
scoloraro per la pietà del suo Fattore i rai, quando i fui preso, e non me ne guardai, che i be vostrocchi, Donna, mi legaro. Tempo non mi parea da far riparo contra colpi dAmor; però nandai secur, senza sospetto: onde i mei guai nel comune dolor sincominciaro. Trovommi Amor del tutto disarmato, ed aperta la via per gli occhi al core, che di lacrime son fatti uscio e varco. Però, al mio parer, non li fu onore ferir me di saetta in quello stato, ed a voi armata non mostrar pur larco. |
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IV
Quel chinfinita provvidenza, ed arte
Quel chinfinita provvidenza, ed
arte mostrò nel suo mirabil magistero: che criò questo, e quellaltro emispero, e mansueto più Giove che Marte, venendo in terra a illuminar le carte chavean moltanni già celato il vero, tolse Giovanni da la rete, e Piero, e nel regno del Ciel fece lor parte. Di sé, nascendo, a Roma non fe grazia, a Giudea sì, tanto sovrogni stato umiltate esaltar sempre gli piacque; ed or di picciol borgo un sol nha dato, tal, che natura, e l luogo si ringrazia, onde sì bella Donna al mondo nacque. |
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V
Quandio movo i sospiri a chiamar voi
Quandio movo i sospiri a chiamar
voi, e l nome, che nel cor mi scrisse Amore, LAUdando sincomincia udir di fore il suon de primi dolci accenti suoi. Vostro stato REal, che ncontro poi, raddoppia allalta impresa il mio valore; ma, - TAci, - grida il fin: - che farle onore è daltri omeri soma, che da tuoi -. Così LAUdare, e Reverire insegna la voce stessa, pur chaltri vi chiami, o dogni reverenza, e donor degna; sé non che forse Apollo si disdegna, cha parlar de suoi sempre verdi rami lingua morTAl presuntüosa vegna. |
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VI
Sì traviato è l folle mio desio
Sì traviato è l folle mio
desio a seguitar costei, che n fuga è volta, e de lacci dAmor leggiera e sciolta vola dinanzi al lento correr mio; che quanto richiamando più lenvio per la secura strada men mascolta: né mi vale spronarlo, o dargli volta; chAmor per sua natura il fa restio. E poi che l fren per forza a sé raccoglie, i mi rimango in signoria di lui, che mal mio grado a morte mi trasporta; sol per venir al Lauro, onde si coglie acerbo frutto, che le piaghe altrui, gustando, affligge più, che non conforta. |
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VII
La gola e l sonno e loziose piume
La gola e l sonno e
loziose piume hanno del mondo ogni vertù sbandita, ondè dal corso suo quasi smarrita nostra natura vinta dal costume; et è sì spento ogni benigno lume del ciel, per cui sinforma umana vita, che per cosa mirabile saddita che vòl far dElicona nascer fiume. Qual vaghezza di lauro? qual di mirto? - Povera e nuda vai, Filosofia - dice la turba al vil guadagno intesa. Pochi compagni avrai per laltra via; tanto ti prego più, gentile spirto, non lassar la magnanima tua impresa. |
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VIII
A piè de colli ove la bella vesta
A piè de colli ove la bella
vesta prese de le terrene membra pria la donna che colui cha te nenvia spesso dal sonno lagrimando desta, libere in pace passavan per questa vita mortal, chogni animal desia, senza sospetto di trovar fra via cosa chal nostrandar fosse molesta. Ma del misero stato ove noi semo condotte da la vita altra serena, un sol conforto, e de la morte, avemo: che vendetta è di lui cha ciò ne mena, lo qual in forza altrui, presso a lestremo, riman legato con maggior catena. |
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IX
Quando l pianeta che distingue lore
Quando l pianeta che distingue
lore ad albergar col Tauro si ritorna, cade vertù da linfiammate corna che veste l mondo di novel colore; e non pur quel che sapre a noi di fòre, le rive e i colli di fioretti adorna, ma dentro, dove già mai non saggiorna, gravido fa di sè il terrestro umore, onde tal frutto e simile si colga. Così costei, chè tra le donne un sole, in me, movendo de begli occhi i rai, cria damor penseri, atti e parole; ma, come chella gli governi o volga, primavera per me pur non è mai. |
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X
Gloriosa columna, in cui sappoggia
Gloriosa Columna, in cui
sappoggia nostra speranza e l gran nome latino, chancor non torse del vero camino lira di Giove per ventosa pioggia, qui non palazzi, non teatro o loggia, ma n lor vece un abete, un faggio, un pino, tra lerba verde e l bel monte vicino, onde si scende poetando e poggia, levan di terra al ciel nostrintelletto, e l rosigniuol che dolcemente allombra tutte le notti si lamenta e piagne, damorosi penseri il cor ne ngombra: ma tanto ben sol tronchi e fai imperfetto tu che da noi, signor mio, ti scompagne. |
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XI
Lassare il velo o per sole o per ombra
Lassare il velo o per sole o per
ombra, donna, non vi vidio, poi che in me conosceste il gran desio chogni altra voglia dentral cor mi sgombra. Mentrio portava i be pensier celati, channo la mente desiando morta, vidivi di pietate ornare il vólto; ma poi chAmor di me vi fece accorta, fuôr i biondi capelli allor velati e lamoroso sguardo in sé raccolto. Quel chi più desiava in voi mè tolto; sì mi governa il velo, che per mia morte, et al caldo et al gielo, de bei vostrocchi il dolce lume adombra. |
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XII
Se la mia vita da laspro tormento
Se la mia vita da laspro
tormento si può tanto schermire, e dagli affanni, chi veggia per vertù degli ultimi anni, donna, de be vostrocchi il lume spento, e i cape doro fin farsi dargento, e lassar le ghirlande e i verdi panni, e l viso scolorir, che ne miei danni a llamentar mi fa pauroso e lento, pur mi darà tanta baldanza Amore, chi vi discovrirò de miei martìri qua sono stati gli anni e i giorni e lore; e se l tempo è contrario a i be desiri, non fia chalmen non giunga al mio dolore alcun soccorso di tardi sospiri. |
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XIII
Quando fra laltre donne ad ora ad ora
Quando fra laltre donne ad ora
ad ora Amor vien nel bel viso di costei, quanto ciascuna è men bella di lei tanto cresce l desio che minnamora. I benedico il loco e l tempo e lora che sì alto miraron gli occhi mei, e dico: - Anima, assai ringraziar dêi, che fosti a tanto onor degnata allora: da lei ti vèn lamoroso pensero, che, mentre l segui, al sommo ben tinvia, poco prezando quel chogni uom desia; da lei vien lanimosa leggiadria chal ciel ti scorge per destro sentero; sì chi vo già de la speranza altèro. - |
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XIV
Occhi miei lassi, mentre chio vi giro
Occhi miei lassi, mentre chio vi
giro nel bel viso di quella che vha morti, pregovi siate accorti, ché già vi sfida Amore, ondio sospiro. Morte pò chiuder sola a miei penseri lamoroso camin che gli conduce al dolce porto de la lor salute; ma puossi a voi celar la vostra luce per meno obgetto, perché meni interi siete formati, e di minor virtute. Però dolenti, anzi che sian venute lore del pianto, che son già vicine, prendete or a la fine breve conforto a sì lungo martìro. |
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XV
Io mi rivolgo in dietro a ciascun passo
Io mi rivolgo in dietro a ciascun
passo col corpo stanco cha gran pena porto, e prendo allor dal vostraere conforto che l fa gir oltra, dicendo: - Oimè lasso! - Poi ripensando al dolce ben chio lasso, al camin lungo et al mio viver corto, fermo le plante sbigottito e smorto, e gli occhi in terra lagrimando abasso. Talor massale in mezzo a tristi pianti un dubbio: come posson queste membra da lo spirito lor viver lontane? Ma rispondemi Amor: - Non ti rimembra che questo è privilegio degli amanti, sciolti da tutte qualitati umane? - |
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XVI
Movesi il vecchierel canuto e bianco
Movesi il vecchierel canuto e bianco del dolce loco ovha sua età fornita, e da la famigliuola sbigottita che vede il caro padre venir manco; indi traendo poi lantiquo fianco per lestreme giornate di sua vita, quanto più pò col buon voler saita, rotto da gli anni e dal camino stanco; e viene a Roma, seguendo l desio, per mirar la sembianza di colui chancor lassù nel ciel vedere spera. Così, lasso!, talor vo cercandio, donna, quanto è possibile, in altrui la disïata vostra forma vera. |
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XVII
Piòvommi amare lagrime dal viso
Piòvommi amare lagrime dal viso con un vento angoscioso di sospiri, quando in voi adiven che gli occhi giri, per cui sola dal mondo i son diviso. Vero è che l dolce mansueto riso pur acqueta gli ardenti miei desiri e mi sottragge al foco de martìri, mentrio son a mirarvi intento e fiso; ma gli spiriti miei sagghiaccian poi chi veggio, al departir, gli atti soavi torcer da me le mie fatali stelle; largata al fin co lamorose chiavi lanima esce del cor, per seguir voi, e con molto pensiero indi si svelle. |
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XVIII
Quandio son tutto vòlto in quella parte
Quandio son tutto vòlto in
quella parte ove l bel viso di madonna luce, e mè rimasa nel pensier la luce che marde e strugge dentro a parte a parte,4 i, che temo del cor che mi si parte e veggio presso il fin de la mia luce, vommene in guisa dorbo, senza luce, che non sa ove si vada e pur si parte. Così davanti a i colpi de la morte fuggo; ma non sì ratto che l desio meco non venga, come venir sòle. Tacito vo, ché le parole morte farian pianger la gente, et i desio che le lagrime mie si spargan sole. |
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XIX
Son animali al mondo de sì altèra
Son animali al mondo de sì altèra vista che n contral sol pur si difende; altri, però che l gran lume gli offende, non escon fuor sé non verso la sera; et altri, col desio folle che spera gioir forse nel foco, perché splende, provan laltra vertù, quella che ncende. Lasso!, el mio loco è n questa ultima schera; chi non son forte ad aspettar la luce di questa donna, e non so fare schermi di luoghi tenebrosi o dore tarde. Però con gli occhi lagrimosi e nfermi mio destìno a vederla mi conduce; e son ben chi vo dietro a quel che marde. |
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XX
Vergognando talor chancor si taccia
Vergognando talor chancor si
taccia, donna, per me vostra bellezza in rima, ricorro al tempo chi vi vidi prima, tal che nullaltra fia mai che mi piaccia. Ma trovo peso non da le mie braccia, né ovra da polir co la mia lima; però lingnegno, che sua forza estima, ne loperazion tutto sagghiaccia. Più volte già per dir le labbra apersi; poi rimase la voce in mezzo l petto. Ma qual sòn porìa mai salir tantalto? Più volte incominciai di scriver versi; ma la penna e la mano e lintelletto rimaser vinti nel primier assalto. |
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XXI
Mille fiate, o dolce mia guerrera
Mille fiate, o dolce mia guerrera, per aver co begli occhi vostri pace vaggio proferto il cor; ma voi non piace mirar sì basso colla mente altèra. E sé di lui forsaltra donna spera, vive in speranza debile e fallace: mio, perché sdegno ciò cha voi dispiace, esser non può già mai così comera. Or sio lo scaccio, et e non trova in voi ne lessilio infelice alcun soccorso, nè sa star sol, né gire ovaltri il chiama, porìa smarrire il suo natural corso; che grave colpa fia dambeduo noi, e tanto più de voi, quanto più vama. |
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XXII
A qualunque animale alberga in terra
A qualunque animale alberga in terra, sé non sé alquanti channo in odio il sole, tempo da travagliare è quanto è l giorno; ma poi che l ciel accende le sue stelle, qual torna a casa e qual sanida in selva per aver posa almeno in fin a lalba. Et io,
da che comincia la bella alba Quando la sera scaccia il chiaro giorno, Non credo che pascesse mai per selva Prima chi torni a voi, lucenti stelle, Con lei fossio da che si parte il sole, Ma io sarò sotterra in secca selva, |
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XXIII
Nel dolce tempo de la prima etade
Nel dolce tempo de la
prima etade, che nascer vide et ancor quasi in erba la fèra voglia che per mio mal sì crebbe, perché cantando il duol si disacerba, canterò comio vissi in libertade, mentre Amor nel mio albergo a sdegno sebbe; poi seguirò sì come a lui ne ncrebbe troppo altamente, e che di ciò mavenne, di chio son fatto a molta gente essempio; ben che l mio duro scempio sia scritto altrove, sì che mille penne ne son già stanche, e quasi in ogni valle rimbombi il suon de miei gravi sospiri, chacquistan fede a la penosa vita. E sé qui la memoria non maita, come suol fare, iscusilla i martìri, et un penser, che solo angoscia dàlle, tal chad ogni altro fa voltar le spalle e mi face obliar me stesso a forza, che tèn di me quel dentro, et io la scorza. I
dico che dal dì che l primo assalto Qual mi fecio quando primer maccorsi Così lungo lamate rive andai, Ella parlava sì turbata in vista, Ben mi credea dinanzi a gli occhi suoi Lalma, chè sol da Dio fatta gentile, Spirto doglioso errante (mi rimembra) Canzon, i non fu mai quel nuvol
doro |
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XXIV
Se lonorata fronde che prescrive
Se lonorata fronde
che prescrive lira del ciel quando l gran Giove tona, non mavesse disdetta la corona che suole ornar chi poetando scrive, i era amico a queste vostre dive, le qua vilmente il secolo abandona; ma quella ingiuria già lunge mi sprona da linventrice delle prime olive; ché non bolle la polver dEtiopia, sotto l più ardente sol, comio sfavillo, perdendo tanto amata cosa propia. Cercate dunque fonte più tranquillo; ché l mio dogni liquor sostene inopia, salvo di quel che lagrimando stillo. |
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XXV
Amor piangeva, et io con lui tal volta
Amor piangeva, et io con lui tal
volta, dal qual miei passi non fûr mai lontani, mirando per gli affetti acerbi e strani lanima vostra de suoi nodi sciolta. Or chal dritto camin lha Dio rivolta, col cor levando al ciel ambe le mani, ringrazio lui, che giusti preghi umani benignamente, sua mercede, ascolta. E sé, tornando a lamorosa vita, per farvi al bel desio volger le spalle, trovaste per la via fossati e poggi, fu per mostrar quanto è spinoso calle, e quanto alpestra e dura la salita, onde al vero valor conven chuom poggi. |
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XXVI
Più di me lieta non si vede a terra
Più di me lieta non si vede a terra nave da londe combattuta e vinta, quando la gente di pietà depinta su per la riva a ringraziar satterra; né lieto più del carcer si diserra chi ntorno al collo ebbe la corda avinta, di me, veggendo quella spada scinta che fece al segnor mio sì lunga guerra, E tutti voi chAmor laudate in rima, al buon testor de gli amorosi detti rendete onor, chera smarrito in prima; ché più gloria è nel regno de gli eletti dun spirito converso, e più sestima, che di novanta nove altri perfetti. |
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XXVII
Il successor di Carlo, che la chioma
Il successor di Carlo, che la chioma co la corona del suo antiquo adorna, prese ha già larme per fiaccar le corna a Babilonia, e chi da lei si noma; e l vicario de Cristo colla soma de le chiavi e del manto al nido torna, sì che saltro accidente no l distorna, vedrà Bologna, e poi la nobil Roma. La mansueta vostra e gentil agna abbatte i fieri lupi: e così vada chiunque amor legittimo scompagna. Consolate lei dunque chancor bada; e Roma che del suo sposo si lagna; e per Iesù cingete omai la spada. |
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XXVIII
O aspettata in ciel beata e bella
O aspettata in ciel beata
e bella anima, che di nostra umanitade vestita vai, non come laltre carca, perché ti sian men dure omai le strade, a Dio diletta, obediente ancella, onde al suo regno di qua giù si varca, ecco novellamente a la tua barca, chal cieco mondo ha già volte le spalle per gir al miglior porto, dun vento occidental dolce conforto; lo qual per mezzo questa oscura valle, ove piangiamo il nostro e laltrui torto, la condurrà de lacci antichi sciolta per drittissimo calle al verace oriente, ovella è volta. Forse i
devoti e gli amorosi preghi Chiunque alberga tra Garona e l monte Una parte del mondo è che si giace Dunque ora è l tempo da ritrare il collo Tu, chai per arricchir dun bel tesauro Pon mente al temerario ardir di Serse, Tu vedrai lItalia e lonorata riva, |
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XXIX
Verdi panni, sanguigni, oscuri o persi
Verdi panni, sanguigni,
oscuri o persi non vestì donna unquanco né dor capelli in bionda treccia attorse sì bella, come questa che mi spoglia darbitrio, e dal camin de libertade seco mi tira, sì chio non sostegno alcun giogo men grave. E pur sarma talor a
dolersi Di quanto per Amor già mai soffersi, Ma lora e l giorno chio le luci
apersi Lagrima dunque che da gli occhi versi Da me son fatti i miei pensier diversi: Benigne stelle che compagne fêrsi So io ben cha voler chiuder in versi Quanto il sol gira, Amor più caro pegno, |
5 10 15 20 25 30 35 40 45 50 55 |
XXX
Giovene donna sotto un verde lauro
Giovene donna sotto un verde lauro vidi, più bianca e più fredda che neve non percossa dal sol molti e moltanni; e l suo parlare, e l bel viso, e le chiome mi piacquen sì, chio lho dinanzi a gli occhi ed avrò sempre, ovio sia, in poggio o n riva. Allora
saranno i miei pensier a riva Ma perché vola il tempo e fuggon gli anni, Non fûr già mai veduti sì begli occhi I temo di cangiar pria vólto e chiome Dentro pur foco e fòr candida neve, Lauro e i topazii al sol sopra la neve |
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XXXI
Questa anima gentil che si diparte
Questa anima gentil che si diparte, anzi tempo chiamata a laltra vita, sé lassuso è quanto esser de gradita, terrà del ciel la più beata parte. Sella riman fra l terzo lume e Marte, fia la vista del sole scolorita, poi cha mirar sua bellezza infinita lanime degne intorno a lei fien sparte; sé si posasse sotto al quarto nido, ciascuna de le tre saria men bella, et essa sola avria la fama e l grido; nel quinto giro non abitrebbe ella; ma sé vola più alto, assai mi fido che con Giove sia vinta ogni altra stella. |
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XXXII
Quanto più mavicino al giorno estremo
Quanto più
mavicino al giorno estremo che lumana miseria suol far breve, più veggio il tempo andar veloce e leve, e l mio di lui sperar fallace e scemo. I dico a miei pensier: - Non molto andremo damor parlando omai, ché l duro e greve terreno incarco come fresca neve si va struggendo; onde noi pace avremo: perché co llui cadrà quella speranza che ne fe vaneggiar sì lungamente, e l riso e il pianto, e la paura e lira. Sì vedrem chiaro poi come sovente per le cose dubbiose altri savanza, e come spesso indarno si sospira. - |
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XXXIII
Già fiammeggiava lamorosa stella
Già fiammeggiava
lamorosa stella per lorïente, e laltra che Giunone suol far gelosa nel Settentrïone rotava i raggi suoi lucente e bella; levata era a filar la vecchiarella, discinta e scalza, e desto avea l carbone, e gli amanti pungea quella stagione che per usanza a lagrimar gli appella; quando mia speme già condutta al verde giunse nel cor, non per lusata via, che l sonno tenea chiusa, e l dolor molle; quanto cangiata, oimè, da quel di pria! e parea dir: - Perché tuo valor perde? Veder questocchi ancor non ti si tolle. - |
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XXXIV
Apollo, sancor vive il bel desïo
Apollo, sancor vive
il bel desïo che tinfiammava a te le tesaliche onde, e sé non hai lamate chiome bionde, volgendo gli anni, già poste in oblio, dal pigro gielo e dal tempo aspro e rio, che dura quanto l tuo viso sasconde, difendo or lonorata e sacra fronde, ove tu prima, e poi fu invescato io; e per vertù de lamorosa speme che ti sostenne ne la vita acerba, di queste impression laëre disgombra: sì vedrem poi per meraviglia inseme seder la donna nostra sopra lerba e far de le sue braccia a sé stessa ombra. |
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XXXV
Solo e pensoso i più deserti campi
Solo e pensoso i più
deserti campi vo mesurando a passi tardi e lenti, e gli occhi porto per fuggire intenti ove vestigio uman larena stampi. Altro schermo non trovo che mi scampi dal manifesto accorger de le genti; perché ne gli atti dalegrezza spenti di fuor si legge comio dentro avampi; sì chio mi credo omai che monti e piagge e fiumi e selve sappian di che tempre sia la mia vita, chè celata altrui. Ma pur sì aspre vie né si selvagge cercar non so chAmor non venga sempre ragionando con meco, et io co llui. |
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XXXVI
Sio credesse per morte essere scarco
Sio credesse per
morte essere scarco del pensiero amoroso che matterra colle mie mani avrei già posto in terra queste membra noiose e quello incarco; ma perchio temo che sarrebbe un varco di pianto in pianto e duna in altra guerra, di qua dal passo ancor che mi si serra mezzo rimango, lasso!, e mezzo il varco. Tempo ben fôra omai davere spinto lultimo stral la dispietata corda, ne laltrui sangue già bagnato e tinto. Et io ne prego Amore, e quella sorda che mi lassò de suoi color depinto, e di chiamarmi a sè non le ricorda. |
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© 30/04/1996 - by prof. Giuseppe Bonghi - E-mail: Giuseppe.Bonghi@mail.fausernet.novara.it
Ultimo aggiornamento: 11 febbraio 1998