Alessandro Manzoni
I Promessi Sposi
Capitolo XXXIV
In quanto alla
maniera di penetrare in città, Renzo aveva sentito, così all'ingrosso, che c'eran ordini
severissimi di non lasciar entrar nessuno, senza bulletta di sanità; ma che in vece ci
s'entrava benissimo, chi appena sapesse un po' aiutarsi e cogliere il momento. Era infatti
così; e lasciando anche da parte le cause generali, per cui in que' tempi ogni ordine era
poco eseguito; lasciando da parte le speciali, che rendevano così malagevole la rigorosa
esecuzione di questo; Milano si trovava ormai in tale stato, da non veder cosa giovasse
guardarlo, e da cosa; e chiunque ci venisse, poteva parer piùttosto noncurante della
propria salute, che pericoloso a quella de' cittadini.
Su queste notizie, il disegno di
Renzo era di tentare d'entrar dalla prima porta a cui si fosse abbattuto; se ci fosse
qualche intoppo, riprender le mura di fuori, finché ne trovasse un'altra di più facile
accesso. E sa il cielo quante porte s'immaginava che Milano dovesse avere. Arrivato dunque
sotto le mura, si fermò a guardar d'intorno, come fa chi, non sapendo da che parte gli
convenga di prendere, par che n'aspetti, e ne chieda qualche indizio da ogni cosa. Ma, a
destra e a sinistra, non vedeva che due pezzi d'una strada storta; dirimpetto, un tratto
di mura; da nessuna parte, nessun segno d'uomini viventi: se non che, da un certo punto
del terrapieno, s'alzava una colonna d'un fumo oscuro e denso, che salendo s'allargava e
s'avvolgeva in ampi globi, perdendosi poi nell'aria immobile e bigia. Eran vestiti, letti
e altre masserizie infette che si bruciavano: e di tali triste fiammate se ne faceva di
continuo, non lì soltanto, ma in varie parti delle mura.
Il tempo era chiuso, l'aria pesante,
il cielo velato per tutto da una nuvola o da un nebbione uguale, inerte, che pareva negare
il sole, senza prometter la pioggia; la campagna d'intorno, parte incolta, e tutta arida;
ogni verzura scolorita, e neppure una gocciola di rugiada sulle foglie passe e cascanti.
Per di più, quella solitudine, quel silenzio, così vicino a una gran città,
aggiungevano una nuova costernazione all'inquietudine di Renzo, e rendevan più tetri
tutti i suoi pensieri.
Stato lì alquanto, prese la
diritta, alla ventura, andando, senza saperlo, verso porta Nuova, della quale, quantunque
vicina, non poteva accorgersi, a cagione d'un baluardo, dietro cui era allora nascosta.
Dopo pochi passi, principiò a sentire un tintinnìo di campanelli, che cessava e
ricominciava ogni tanto, e poi qualche voce d'uomo. Andò avanti e, passato il canto del
baluardo, vide per la prima cosa, un casotto di legno, e sull'uscio, una guardia
appoggiata al moschetto, con una cert'aria stracca e trascurata: dietro c'era uno
stecconato, e dietro quello, la porta, cioè due alacce di muro, con una tettoia sopra,
per riparare i battenti; i quali erano spalancati, come pure il cancello dello stecconato.
Però, davanti appunto all'apertura, c'era in terra un tristo impedimento: una barella,
sulla quale due monatti accomodavano un poverino, per portarlo via. Era il capo de'
gabellieri, a cui, poco prima, s'era scoperta la peste. Renzo si fermò, aspettando la
fine: partito il convoglio, e non venendo nessuno a richiudere il cancello, gli parve
tempo, e ci s'avviò in fretta; ma la guardia, con una manieraccia, gli gridò: - olà! -
Renzo si fermò di nuovo su due piedi, e, datogli d'occhio, tirò fuori un mezzo ducatone,
e glielo fece vedere. Colui, o che avesse già avuta la peste, o che la temesse meno di
quel che amava i mezzi ducatoni, accennò a Renzo che glielo buttasse; e vistoselo volar
subito a' piedi, susurrò: - va' innanzi presto -. Renzo non se lo fece dir due volte;
passò lo stecconato, passò la porta, andò avanti, senza che nessuno s'accorgesse di
lui, o gli badasse; se non che, quando ebbe fatti forse quaranta passi, sentì un altro -
olà - che un gabelliere gli gridava dietro. Questa volta, fece le viste di non sentire,
e, senza voltarsi nemmeno, allungò il passo. - Olà! - gridò di nuovo il gabelliere, con
una voce però che indicava più impazienza che risoluzione di farsi ubbidire; e non
essendo ubbidito, alzò le spalle, e tornò nella sua casaccia, come persona a cui
premesse più di non accostarsi troppo ai passeggieri, che d'informarsi de' fatti loro.
La strada che Renzo aveva presa,
andava allora, come adesso, diritta fino al canale detto il Naviglio: i lati erano
siepi o muri d'orti, chiese e conventi, e poche case. In cima a questa strada, e nel mezzo
di quella che costeggia il canale, c'era una colonna, con una croce detta la croce di
sant'Eusebio. E per quanto Renzo guardasse innanzi, non vedeva altro che quella croce.
Arrivato al crocicchio che divide la strada circa alla metà, e guardando dalle due parti,
vide a dritta, in quella strada che si chiama lo stradone di santa Teresa, un cittadino
che veniva appunto verso di lui. «Un cristiano, finalmente!» disse tra sé; e si voltò
subito da quella parte, pensando di farsi insegnar la strada da lui. Questo pure aveva
visto il forestiero che s'avanzava; e andava squadrandolo da lontano, con uno sguardo
sospettoso; e tanto più, quando s'accorse che, in vece d'andarsene per i fatti suoi, gli
veniva incontro. Renzo, quando fu poco distante, si levò il cappello, da quel montanaro
rispettoso che era; e tenendolo con la sinistra, mise l'altra mano nel cocuzzolo, e andò
più direttamente verso lo sconosciuto. Ma questo, stralunando gli occhi affatto, fece un
passo addietro, alzò un noderoso bastone, e voltata la punta, ch'era di ferro, alla vita
di Renzo, gridò: - via! via! via!
- Oh oh! - gridò il giovine anche
lui; rimise il cappello in testa, e, avendo tutt'altra voglia, come diceva poi, quando
raccontava la cosa, che di metter su lite in quel momento, voltò le spalle a quello
stravagante, e continuò la sua strada, o, per meglio dire, quella in cui si trovava
avviato.
L'altro tirò avanti anche lui per
la sua, tutto fremente, e voltandosi, ogni momento, indietro. E arrivato a casa, raccontò
che gli s'era accostato un untore, con un'aria umile, mansueta, con un viso d'infame
impostore, con lo scatolino dell'unto, o l'involtino della polvere (non era ben certo qual
de' due) in mano, nel cocuzzolo del cappello, per fargli il tiro, se lui non l'avesse
saputo tener lontano. - Se mi s'accostava un passo di più, - soggiunse, - l'infilavo
addirittura, prima che avesse tempo d'accomodarmi me, il birbone. La disgrazia fu
ch'eravamo in un luogo così solitario, ché se era in mezzo Milano, chiamavo gente, e mi
facevo aiutare a acchiapparlo. Sicuro che gli si trovava quella scellerata porcheria nel
cappello. Ma lì da solo a solo, mi son dovuto contentare di fargli paura, senza risicare
di cercarmi un malanno; perché un po' di polvere è subito buttata; e coloro hanno una
destrezza particolare; e poi hanno il diavolo dalla loro. Ora sarà in giro per Milano:
chi sa che strage fa! - E fin che visse, che fu per molt'anni, ogni volta che si parlasse
d'untori, ripeteva la sua storia, e soggiungeva: - quelli che sostengono ancora che non
era vero, non lo vengano a dire a me; perché le cose bisogna averle viste.
Renzo, lontano dall'immaginarsi come
l'avesse scampata bella, e agitato più dalla rabbia che dalla paura, pensava, camminando,
a quell'accoglienza, e indovinava bene a un di presso ciò che lo sconosciuto aveva
pensato di lui; ma la cosa gli pareva così irragionevole, che concluse tra sé che colui
doveva essere un qualche mezzo matto. «La principia male, - pensava però: - par che ci
sia un pianeta per me, in questo Milano. Per entrare, tutto mi va a seconda; e poi, quando
ci son dentro, trovo i dispiaceri lì apparecchiati. Basta... coll'aiuto di Dio... se
trovo... se ci riesco a trovare... eh! tutto sarà stato niente».
Arrivato al ponte, voltò, senza
esitare, a sinistra, nella strada di san Marco, parendogli, a ragione, che dovesse
condurre verso l'interno della città. E andando avanti, guardava in qua e in là, per
veder se poteva scoprire qualche creatura umana; ma non ne vide altra che uno sformato
cadavere nel piccol fosso che corre tra quelle poche case (che allora erano anche meno), e
un pezzo della strada. Passato quel pezzo, sentì gridare: - o quell'uomo! - e guardando
da quella parte, vide poco lontano, a un terrazzino d'una casuccia isolata, una povera
donna, con una nidiata di bambini intorno; la quale, seguitandolo a chiamare, gli fece
cenno anche con la mano. Ci andò di corsa; e quando fu vicino, - o quel giovine, - disse
quella donna: - per i vostri poveri morti, fate la carità d'andare a avvertire il
commissario che siamo qui dimenticati. Ci hanno chiusi in casa come sospetti, perché il
mio povero marito è morto; ci hanno inchiodato l'uscio, come vedete; e da ier mattina,
nessuno è venuto a portarci da mangiare. In tante ore che siam qui, non m'è mai capitato
un cristiano che me la facesse questa carità: e questi poveri innocenti moion di fame.
- Di fame! - esclamò Renzo; e,
cacciate le mani nelle tasche, - ecco, ecco, - disse, tirando fuori i due pani: - calatemi
giù qualcosa da metterli dentro.
- Dio ve ne renda merito; aspettate
un momento, - disse quella donna; e andò a cercare un paniere, e una fune da calarlo,
come fece. A Renzo intanto gli vennero in mente que' pani che aveva trovati vicino alla
croce, nell'altra sua entrata in Milano, e pensava: «ecco: è una restituzione, e forse
meglio che se gli avessi restituiti al proprio padrone: perché qui è veramente un'opera
di misericordia».
In quanto al commissario che dite,
la mia donna, - disse poi, mettendo i pani nel paniere, - io non vi posso servire in
nulla; perché, per dirvi la verità, son forestiero, e non son niente pratico di questo
paese. Però, se incontro qualche uomo un po' domestico e umano, da potergli parlare, lo
dirò a lui.
La donna lo pregò che facesse
così, e gli disse il nome della strada, onde lui sapesse indicarla.
- Anche voi, - riprese Renzo, -
credo che potrete farmi un piacere, una vera carità, senza vostro incomodo. Una casa di
cavalieri, di gran signoroni, qui di Milano, casa *** sapreste insegnarmi dove sia ?
- So che la c'è questa casa, -
rispose la donna: - ma dove sia, non lo so davvero. Andando avanti di qua, qualcheduno che
ve la insegni, lo troverete. E ricordatevi di dirgli anche di noi.
- Non dubitate, - disse Renzo, e
andò avanti.
A ogni passo, sentiva crescere e
avvicinarsi un rumore che già aveva cominciato a sentire mentre era lì fermo a
discorrere: un rumor di ruote e di cavalli, con un tintinnìo di campanelli, e ogni tanto
un chioccar di fruste, con un accompagnamento d'urli. Guardava innanzi, ma non vedeva
nulla. Arrivato allo sbocco di quella strada, scoprendosegli davanti la piazza di san
Marco, la prima cosa che gli diede nell'occhio, furon due travi ritte, con una corda, e
con certe carrucole; e non tardò a riconoscere (ch'era cosa famigliare in quel tempo)
l'abbominevole macchina della tortura. Era rizzata in quel luogo, e non in quello
soltanto, ma in tutte le piazze e nelle strade più spaziose, affinché i deputati d'ogni
quartiere, muniti a questo d'ogni facoltà più arbitraria, potessero farci applicare
immediatamente chiunque paresse loro meritevole di pena: o sequestrati che uscissero di
casa, o subalterni che non facessero il loro dovere, o chiunque altro. Era uno di que'
rimedi eccessivi e inefficaci de' quali, a quel tempo, e in que' momenti specialmente, si
faceva tanto scialacquìo.
Ora, mentre Renzo guarda quello
strumento, pensando perché possa essere alzato in quel luogo, sente avvicinarsi sempre
più il rumore, e vede spuntar dalla cantonata della chiesa un uomo che scoteva un
campanello: era un apparitore; e dietro a lui due cavalli che, allungando il collo, e
puntando le zampe, venivano avanti a fatica; e strascinato da quelli, un carro di morti, e
dopo quello un altro, e poi un altro e un altro; e di qua e di là, monatti alle costole
de' cavalli, spingendoli, a frustate, a punzoni, a bestemmie. Eran que' cadaveri, la più
parte ignudi, alcuni mal involtati in qualche cencio, ammonticchiati, intrecciati insieme,
come un gruppo di serpi che lentamente si svolgano al tepore della primavera; ché, a ogni
intoppo, a ogni scossa, si vedevan que' mucchi funesti tremolare e scompaginarsi
bruttamente, e ciondolar teste, e chiome verginali arrovesciarsi, e braccia svincolarsi, e
batter sulle rote, mostrando all'occhio già inorridito come un tale spettacolo poteva
divenire più doloroso e più sconcio.
Il giovine s'era fermato sulla
cantonata della piazza, vicino alla sbarra del canale, e pregava intanto per que' morti
sconosciuti. Un atroce pensiero gli balenò in mente: «forse là, là insieme, là
sotto... Oh, Signore! fate che non sia vero! fate ch'io non ci pensi!»
Passato il convoglio funebre, Renzo
si mosse, attraversò la piazza, prendendo lungo il canale a mancina, senz'altra ragione
della scelta, se non che il convoglio era andato dall'altra parte. Fatti que' quattro
passi tra il fianco della chiesa e il canale, vide a destra il ponte Marcellino; prese di
lì, e riuscì in Borgo Nuovo. E guardando innanzi, sempre con quella mira di trovar
qualcheduno da farsi insegnar la strada, vide in fondo a quella un prete in farsetto, con
un bastoncino in mano, ritto vicino a un uscio socchiuso, col capo chinato, e l'orecchio
allo spiraglio; e poco dopo lo vide alzar la mano e benedire. Congetturò quello ch'era di
fatto, cioè che finisse di confessar qualcheduno; e disse tra sé: «questo è l'uomo che
fa per me. Se un prete, in funzion di prete, non ha un po' di carità, un po' d'amore e di
buona grazia, bisogna dire che non ce ne sia più in questo mondo».
Intanto il prete, staccatosi
dall'uscio, veniva dalla parte di Renzo, tenendosi, con gran riguardo, nel mezzo della
strada. Renzo, quando gli fu vicino, si levò il cappello, e gli accennò che desiderava
parlargli, fermandosi nello stesso tempo, in maniera da fargli intendere che non si
sarebbe accostato di più. Quello pure si fermò, in atto di stare a sentire, puntando
però in terra il suo bastoncino davanti a sé, come per farsene un baluardo. Renzo espose
la sua domanda, alla quale il prete soddisfece, non solo con dirgli il nome della strada
dove la casa era situata, ma dandogli anche, come vide che il poverino n'aveva bisogno, un
po' d'itinerario; indicandogli, cioè, a forza di diritte e di mancine, di chiese e di
croci, quell'altre sei o otto strade che aveva da passare per arrivarci.
- Dio la mantenga sano, in questi
tempi, e sempre, - disse Renzo: e mentre quello si moveva per andarsene, - un'altra
carità, - soggiunse; e gli disse della povera donna dimenticata. Il buon prete ringraziò
lui d'avergli dato occasione di fare una carità così necessaria; e, dicendo che andava
ad avvertire chi bisognava, tirò avanti. Renzo si mosse anche lui, e, camminando, cercava
di fare a se stesso una ripetizione dell'itinerario, per non esser da capo a dover
domandare a ogni cantonata. Ma non potreste immaginarvi come quell'operazione gli
riuscisse penosa, e non tanto per la difficoltà della cosa in sé, quanto per un nuovo
turbamento che gli era nato nell'animo. Quel nome della strada, quella traccia del cammino
l'avevan messo così sottosopra. Era l'indizio che aveva desiderato e domandato, e del
quale non poteva far di meno; né gli era stato detto nient'altro, da che potesse ricavare
nessun augurio sinistro; ma che volete? quell'idea un po' più distinta d'un termine
vicino, dove uscirebbe d'una grand'incertezza, dove potrebbe sentirsi dire: è viva, o
sentirsi dire: è morta; quell'idea l'aveva così colpito che, in quel momento, gli
sarebbe piaciuto più di trovarsi ancora ai buio di tutto, d'essere al principio del
viaggio, di cui ormai toccava la fine. Raccolse però le sue forze, e disse a se stesso:
«ehi! se principiamo ora a fare il ragazzo, com'anderà?» Così rinfrancato alla meglio,
seguitò la sua strada, inoltrandosi nella città.
Quale città! e cos'era mai, al
paragone, quello ch'era stata l'anno avanti, per cagion della fame!
Renzo s'abbatteva appunto a passare
per una delle parti più squallide e più desolate: quella crociata di strade che si
chiamava il carrobio di porta Nuova. (C'era allora una croce nel mezzo, e,
dirimpetto ad essa, accanto a dove ora è san Francesco di Paola, una vecchia chiesa col
titolo di sant'Anastasia). Tanta era stata in quel vicinato la furia del contagio, e il
fetor de' cadaveri lasciati lì che i pochi rimasti vivi erano stati costretti a
sgomberare: sicché, alla mestizia che dava al passeggiero quell'aspetto di solitudine e
d'abbandono, s'aggiungeva l'orrore e lo schifo delle tracce e degli avanzi della recente
abitazione. Renzo affrettò il passo, facendosi coraggio col pensare che la meta non
doveva essere così vicina, e sperando che, prima d'arrivarci, troverebbe mutata, almeno
in parte, la scena; e infatti, di lì a non molto, riuscì in un luogo che poteva pur
dirsi città di viventi; ma quale città ancora, e quali viventi! Serrati, per sospetto e
per terrore, tutti gli usci di strada, salvo quelli che fossero spalancati per esser le
case disabitate, o invase; altri inchiodati e sigillati, per esser nelle case morta o
ammalata gente di peste; altri segnati d'una croce fatta col carbone, per indizio ai
monatti, che c'eran de' morti da portar via: il tutto più alla ventura che altro, secondo
che si fosse trovato piùttosto qua che là un qualche commissario della Sanità o altro
impiegato, che avesse voluto eseguir gli ordini, o fare un'angheria. Per tutto cenci e,
più ributtanti de' cenci, fasce marciose, strame ammorbato, o lenzoli buttati dalle
finestre; talvolta corpi, o di persone morte all'improvviso, nella strada, e lasciati lì
fin che passasse un carro da portarli via, o cascati da' carri medesimi, o buttati
anch'essi dalle finestre: tanto l'insistere e l'imperversar del disastro aveva
insalvatichiti gli animi, e fatto dimenticare ogni cura di pietà, ogni, riguardo sociale!
Cessato per tutto ogni rumor di botteghe, ogni strepito di carrozze, ogni grido di
venditori, ogni chiacchierìo di passeggieri, era ben raro che quel silenzio di morte
fosse rotto da altro che da rumor di carri funebri, da lamenti di poveri, da rammarichìo
d'infermi, da urli di frenetici, da grida di monatti. All'alba, a mezzogiorno, a sera, una
campana del duomo dava il segno di recitar certe preci assegnate dall'arcivescovo: a quel
tocco rispondevan le campane dell'altre chiese; e allora avreste veduto persone
affacciarsi alle finestre, a pregare in comune; avreste sentito un bisbiglio di voci e di
gemiti, che spirava una tristezza mista pure di qualche conforto.
Morti a quell'ora forse i due terzi
de' cittadini, andati via o ammalati una buona parte del resto, ridotto quasi a nulla il
concorso della gente di fuori, de' pochi che andavan per le strade, non se ne sarebbe per
avventura, in un lungo giro, incontrato uno solo in cui non si vedesse qualcosa di strano,
e che dava indizio d'una funesta mutazione di cose. Si vedevano gli uomini più
qualificati, senza cappa né mantello, parte allora essenzialissima del vestiario civile;
senza sottana i preti, e anche de' religiosi in farsetto; dismessa in somma ogni sorte di
vestito che potesse con gli svolazzi toccar qualche cosa, o dare (ciò che si temeva più
di tutto il resto) agio agli untori. E fuor di questa cura d'andar succinti e ristretti il
più che fosse possibile, negletta e trasandata ogni persona; lunghe le barbe di quelli
che usavan portarle, cresciute a quelli che prima costumavan di raderle; lunghe pure e
arruffate le capigliature, non solo per quella trascuranza che nasce da un invecchiato
abbattimento, ma per esser divenuti sospetti i barbieri, da che era stato preso e
condannato, come untor famoso, uno di loro, Giangiacomo Mora: nome che, per un pezzo,
conservò una celebrità municipale d'infamia, e ne meriterebbe una ben più diffusa e
perenne di pietà. I più tenevano da una mano un bastone, alcuni anche una pistola, per
avvertimento minaccioso a chi avesse voluto avvicinarsi troppo; dall'altra pasticche
odorose, o palle di metallo o di legno traforate, con dentro spugne inzuppate d'aceti
medicati; e se le andavano ogni tanto mettendo al naso, o ce le tenevano di continuo.
Portavano alcuni attaccata al collo una boccetta con dentro un po' d'argento vivo,
persuasi che avesse la virtù d'assorbire e di ritenere ogni esalazione pestilenziale; e
avevan poi cura di rinnovarlo ogni tanti giorni. I gentiluomini, non solo uscivano senza
il solito seguito, ma si vedevano, con una sporta in braccio, andare a comprar le cose
necessarie al vitto. Gli amici, quando pur due s'incontrassero per la strada, si salutavan
da lontano, con cenni taciti e frettolosi. Ognuno, camminando, aveva molto da fare, per
iscansare gli schifosi e mortiferi inciampi di cui il terreno era sparso e, in qualche
luogo, anche affatto ingombro: ognuno cercava di stare in mezzo alla strada, per timore
d'altro sudiciume, o d'altro più funesto peso che potesse venir giù dalle finestre; per
timore delle polveri venefiche che si diceva esser spesso buttate da quelle su'
passeggieri; per timore delle muraglie, che potevan esser unte. Così l'ignoranza,
coraggiosa e guardinga alla rovescia, aggiungeva ora angustie all'angustie, e dava falsi
terrori, in compenso de' ragionevoli e salutari che aveva levati da principio.
Tal era ciò che di meno deforme e
di men compassionevole si faceva vedere intorno, i sani, gli agiati: ché, dopo tante
immagini di miseria, e pensando a quella ancor più grave, per mezzo alla quale dovrem
condurre il lettore, non ci fermeremo ora a dir qual fosse lo spettacolo degli appestati
che si strascicavano o giacevano per le strade, de' poveri, de' fanciulli, delle donne.
Era tale, che il riguardante poteva trovar quasi un disperato conforto in ciò che ai
lontani e ai posteri fa la più forte e dolorosa impressione; nel pensare, dico, nel
vedere quanto que' viventi fossero ridotti a pochi.
In mezzo a questa desolazione aveva
Renzo fatto già una buona parte del suo cammino, quando, distante ancor molti passi da
una strada in cui doveva voltare, sentì venir da quella un vario frastono, nel quale si
faceva distinguere quel solito orribile tintinnìo.
Arrivato alla cantonata della
strada, ch'era una delle più larghe, vide quattro carri fermi nel mezzo; e come, in un
mercato di granaglie, si vede un andare e venire di gente, un caricare e un rovesciar di
sacchi, tale era il movimento in quel luogo: monatti ch'entravan nelle case, monatti che
n'uscivan con un peso su le spalle, e lo mettevano su l'uno o l'altro carro: alcuni con la
divisa rossa, altri senza quel distintivo, molti con uno ancor più odioso, pennacchi e
fiocchi di vari colori, che quegli sciagurati portavano come per segno d'allegria, in
tanto pubblico lutto. Ora da una, ora da un'altra finestra, veniva una voce lugubre: -
qua, monatti! - E con suono ancor più sinistro, da quel tristo brulichìo usciva qualche
vociaccia che rispondeva: - ora, ora -. Ovvero eran pigionali che brontolavano, e dicevano
di far presto: ai quali i monatti rispondevano con bestemmie.
Entrato nella strada, Renzo allungò
il passo, cercando di non guardar quegl'ingombri, se non quanto era necessario per
iscansarli; quando il suo sguardo s'incontrò in un oggetto singolare di pietà, d'una
pietà che invogliava l'animo a contemplarlo; di maniera che si fermò, quasi senza
volerlo.
Scendeva dalla soglia d'uno di
quegli usci, e veniva verso il convoglio, una donna, il cui aspetto annunziava una
giovinezza avanzata, ma non trascorsa; e vi traspariva una bellezza velata e offuscata, ma
non guasta, da una gran passione, e da un languor mortale: quella bellezza molle a un
tempo e maestosa, che brilla nel sangue lombardo. La sua andatura era affaticata, ma non
cascante; gli occhi non davan lacrime, ma portavan segno d'averne sparse tante; c'era in
quel dolore un non so che di pacato e di profondo, che attestava un'anima tutta
consapevole e presente a sentirlo. Ma non era il solo suo aspetto che, tra tante miserie,
la indicasse così particolarmente alla pietà, e ravvivasse per lei quel sentimento ormai
stracco e ammortito ne' cuori. Portava essa in collo una bambina di forse nov'anni, morta;
ma tutta ben accomodata, co' capelli divisi sulla fronte, con un vestito bianchissimo,
come se quelle mani l'avessero adornata per una festa promessa da tanto tempo, e data per
premio. Né la teneva a giacere, ma sorretta, a sedere sur un braccio, col petto
appoggiato al petto, come se fosse stata viva; se non che una manina bianca a guisa di
cera spenzolava da una parte, con una certa inanimata gravezza, e il capo posava
sull'omero della madre, con un abbandono più forte del sonno: della madre, ché, se anche
la somiglianza de' volti non n'avesse fatto fede, l'avrebbe detto chiaramente quello de'
due ch'esprimeva ancora un sentimento.
Un turpe monatto andò per levarle
la bambina dalle braccia, con una specie però d'insolito rispetto, con un'esitazione
involontaria. Ma quella, tirandosi indietro, senza però mostrare sdegno né disprezzo, -
no! - disse: - non me la toccate per ora; devo metterla io su quel carro: prendete -.
Così dicendo, aprì una mano, fece vedere una borsa, e la lasciò cadere in quella che il
monatto le tese. Poi continuò: - promettetemi di non levarle un filo d'intorno, né di
lasciar che altri ardisca di farlo, e di metterla sotto terra così.
Il monatto si mise una mano al
petto; e poi, tutto premuroso, e quasi ossequioso, più per il nuovo sentimento da cui era
come soggiogato, che per l'inaspettata ricompensa, s'affaccendò a far un po' di posto sul
carro per la morticina. La madre, dato a questa un bacio in fronte, la mise lì come sur
un letto, ce l'accomodò, le stese sopra un panno bianco, e disse l'ultime parole: -
addio, Cecilia! riposa in pace! Stasera verremo anche noi, per restar sempre insieme.
Prega intanto per noi; ch'io pregherò per te e per gli altri -. Poi voltatasi di nuovo al
monatto, - voi, - disse, - passando di qui verso sera, salirete a prendere anche me, e non
me sola.
Così detto, rientrò in casa, e, un
momento dopo, s'affacciò alla finestra, tenendo in collo un'altra bambina più piccola,
viva, ma coi segni della morte in volto. Stette a contemplare quelle così indegne esequie
della prima, finché il carro non si mosse, finché lo poté vedere; poi disparve. E che
altro poté fare, se non posar sul letto l'unica che le rimaneva, e mettersele accanto per
morire insieme? come il fiore già rigoglioso sullo stelo cade insieme col fiorellino
ancora in boccia, al passar della falce che pareggia tutte l'erbe del prato.
- O Signore! - esclamò Renzo: -
esauditela! tiratela a voi, lei e la sua creaturina: hanno patito abbastanza! hanno patito
abbastanza !
Riavuto da quella commozione
straordinaria, e mentre cerca di tirarsi in mente l'itinerario per trovare se alla prima
strada deve voltare, e se a diritta o a mancina, sente anche da questa venire un altro e
diverso strepito, un suono confuso di grida imperiose, di fiochi lamenti, un pianger di
donne, un mugolìo di fanciulli.
Andò avanti, con in cuore quella
solita trista e oscura aspettativa. Arrivato al crocicchio, vide da una parte una
moltitudine confusa che s'avanzava, e si fermò lì, per lasciarla passare. Erano ammalati
che venivan condotti al lazzeretto; alcuni, spinti a forza, resistevano in vano, in vano
gridavano che volevan morire sul loro letto, e rispondevano con inutili imprecazioni alle
bestemmie e ai comandi de' monatti che li guidavano; altri camminavano in silenzio, senza
mostrar dolore, né alcun altro sentimento, come insensati; donne co' bambini in collo;
fanciulli spaventati dalle grida, da quegli ordini, da quella compagnia, più che dal
pensiero confuso della morte, i quali ad alte strida imploravano la madre e le sue braccia
fidate, e la casa loro. Ahi! e forse la madre, che credevano d'aver lasciata addormentata
sul suo letto, ci s'era buttata, sorpresa tutt'a un tratto dalla peste; e stava lì senza
sentimento, per esser portata sur un carro al lazzeretto, o alla fossa, se il carro veniva
più tardi. Forse, o sciagura degna di lacrime ancor più amare! la madre, tutta occupata
de' suoi patimenti, aveva dimenticato ogni cosa, anche i figli, e non aveva più che un
pensiero: di morire in pace. Pure, in tanta confusione, si vedeva ancora qualche esempio
di fermezza e di pietà: padri, madri, fratelli, figli, consorti, che sostenevano i cari
loro, e gli accompagnavano con parole di conforto: né adulti soltanto, ma ragazzetti, ma
fanciulline che guidavano i fratellini più teneri, e, con giudizio e con compassione da
grandi, raccomandavano loro d'essere ubbidienti, gli assicuravano che s'andava in un luogo
dove c'era chi avrebbe cura di loro per farli guarire.
In mezzo alla malinconia e alla
tenerezza di tali viste, una cosa toccava più sul vivo, e teneva in agitazione il nostro
viaggiatore. La casa doveva esser lì vicina, e chi sa se tra quella gente... Ma passata
tutta la comitiva, e cessato quel dubbio, si voltò a un monatto che veniva dietro, e gli
domandò della strada e della casa di don Ferrante. - In malora, tanghero, - fu la
risposta che n'ebbe. Né si curò di dare a colui quella che si meritava; ma, visto, a due
passi, un commissario che veniva in coda al convoglio, e aveva un viso un po' più di
cristiano, fece a lui la stessa domanda. Questo, accennando con un bastone la parte donde
veniva, disse: - la prima strada a diritta, l'ultima casa grande a sinistra.
Con una nuova e più forte ansietà
in cuore, il giovine prende da quella parte. È nella strada; distingue subito la casa tra
l'altre, più basse e meschine; s'accosta al portone che è chiuso, mette la mano sul
martello, e ce la tien sospesa, come in un'urna, prima di tirar su la polizza dove fosse
scritta la sua vita, o la sua morte. Finalmente alza il martello, e dà un picchio
risoluto.
Dopo qualche momento, s'apre un poco
una finestra; una donna fa capolino, guardando chi era, con un viso ombroso che par che
dica: monatti? vagabondi? commissari? untori? diavoli?
- Quella signora, - disse Renzo
guardando in su, e con voce non troppo sicura: - ci sta qui a servire una giovine di
campagna, che ha nome Lucia ?
- La non c'è più; andate, -
rispose quella donna, facendo atto di chiudere.
- Un momento, per carità! La non
c'è più? Dov'è?
- Al lazzeretto -; e di nuovo voleva
chiudere.
- Ma un momento, per l'amor del
cielo! Con la peste?
- Già. Cosa nuova, eh? Andate.
- Oh povero me! Aspetti: era
ammalata molto? Quanto tempo è...?
Ma intanto la finestra fu chiusa
davvero.
- Quella signora! quella signora!
una parola, per carità! per i suoi poveri morti! Non le chiedo niente del suo: ohe! - Ma
era come dire al muro.
Afflitto della nuova, e arrabbiato
della maniera, Renzo afferrò ancora il martello, e, così appoggiato alla porta, andava
stringendolo e storcendolo, l'alzava per picchiar di nuovo alla disperata, poi lo teneva
sospeso. In quest'agitazione, si voltò per vedere se mai ci fosse d'intorno qualche
vicino, da cui potesse forse aver qualche informazione più precisa, qualche indizio,
qualche lume. Ma la prima, l'unica persona che vide, fu un'altra donna, distante forse un
venti passi; la quale, con un viso ch'esprimeva terrore, odio, impazienza e malizia, con
cert'occhi stravolti che volevano insieme guardar lui, e guardar lontano, spalancando la
bocca come in atto di gridare a più non posso, ma rattenendo anche il respiro, alzando
due braccia scarne, allungando e ritirando due mani grinzose e piegate a guisa d'artigli,
come se cercasse d'acchiappar qualcosa, si vedeva che voleva chiamar gente, in modo che
qualcheduno non se n'accorgesse. Quando s'incontrarono a guardarsi, colei, fattasi ancor
più brutta, si riscosse come persona sorpresa.
- Che diamine...? - cominciava
Renzo, alzando anche lui le mani verso la donna; ma questa, perduta la speranza di poterlo
far cogliere all'improvviso, lasciò scappare il grido che aveva rattenuto fin allora: -
l'untore! dàgli! dàgli! dàgli all'untore!
- Chi? io! ah strega bugiarda! sta'
zitta, - gridò Renzo; e fece un salto verso di lei, per impaurirla e farla chetare. Ma
s'avvide subito, che aveva bisogno piùttosto di pensare ai casi suoi. Allo strillar della
vecchia, accorreva gente di qua e di là; non la folla che, in un caso simile, sarebbe
stata, tre mesi prima; ma più che abbastanza per poter fare d'un uomo solo quel che
volessero. Nello stesso tempo, s'aprì di nuovo la finestra, e quella medesima sgarbata di
prima ci s'affacciò questa volta, e gridava anche lei: - pigliatelo, pigliatelo; che
dev'essere uno di que' birboni che vanno in giro a unger le porte de' galantuomini.
Renzo non istette lì a pensare: gli
parve subito miglior partito sbrigarsi da coloro, che rimanere a dir le sue ragioni: diede
un'occhiata a destra e a sinistra, da che parte ci fosse men gente, e svignò di là.
Rispinse con un urtone uno che gli parava la strada; con un gran punzone nel petto, fece
dare indietro otto o dieci passi un altro che gli correva incontro; e via di galoppo, col
pugno in aria, stretto, nocchiuto, pronto per qualunque altro gli fosse venuto tra' piedi.
La strada davanti era sempre libera; ma dietro le spalle sentiva il calpestìo e, più
forti del calpestìo, quelle grida amare: - dàgli! dàgli! all'untore! - Non sapeva
quando fossero per fermarsi; non vedeva dove si potrebbe mettere in salvo. L'ira divenne
rabbia, l'angoscia si cangiò in disperazione; e, perso il lume degli occhi, mise mano al
suo coltellaccio, lo sfoderò, si fermò su due piedi, voltò indietro il viso più torvo
e più cagnesco che avesse fatto a' suoi giorni; e, col braccio teso, brandendo in aria la
lama luccicante, gridò: - chi ha cuore, venga avanti, canaglia! che l'ungerò io davvero
con questo.
Ma, con maraviglia, e con un
sentimento confuso di consolazione, vide che i suoi persecutori s'eran già fermati, e
stavan lì come titubanti, e che, seguitando a urlare, facevan, con le mani per aria,
certi cenni da spiritati, come a gente che venisse di lontano dietro a lui. Si voltò di
nuovo, e vide (ché il gran turbamento non gliel aveva lasciato vedere un momento prima)
un carro che s'avanzava, anzi una fila di que' soliti carri funebri, col solito
accompagnamento; e dietro, a qualche distanza, un altro mucchietto di gente che avrebbero
voluto anche loro dare addosso all'untore, e prenderlo in mezzo; ma eran trattenuti
dall'impedimento medesimo. Vistosi così tra due fuochi, gli venne in mente che ciò che
era di terrore a coloro, poteva essere a lui di salvezza; pensò che non era tempo di far
lo schizzinoso; rimise il coltellaccio nel fodero, si tirò da una parte, prese la
rincorsa verso i carri, passò il primo, e adocchiò nel secondo un buono spazio voto.
Prende la mira, spicca un salto; è su, piantato sul piede destro, col sinistro in aria, e
con le braccia alzate.
- Bravo! bravo! - esclamarono, a una
voce, i monatti, alcuni de' quali seguivano il convoglio a piedi, altri eran seduti sui
carri, altri, per dire l'orribil cosa com'era, sui cadaveri, trincando da un gran fiasco
che andava in giro. - Bravo! bel colpo!
- Sei venuto a metterti sotto la
protezione de' monatti; fa' conto d'essere in chiesa, - gli disse uno de' due che stavano
sul carro dov'era montato.
I nemici, all'avvicinarsi del treno,
avevano, i più, voltate le spalle, e se n'andavano, non lasciando di gridare: - dàgli!
dàgli! all'untore! - Qualcheduno si ritirava più adagio, fermandosi ogni tanto, e
voltandosi, con versacci e con gesti di minaccia, a Renzo; il quale, dal carro, rispondeva
loro dibattendo i pugni in aria.
- Lascia fare a me, - gli disse un
monatto; e strappato d'addosso a un cadavere un laido cencio, l'annodò in fretta, e,
presolo per una delle cocche, l'alzò come una fionda verso quegli ostinati, e fece le
viste di buttarglielo, gridando: - aspetta, canaglia! - A quell'atto, fuggiron tutti,
inorriditi; e Renzo non vide più che schiene di nemici, e calcagni che ballavano
rapidamente per aria, a guisa di gualchiere.
Tra i monatti s'alzò un urlo di
trionfo, uno scroscio procelloso di risa, un - uh! - prolungato, come per accompagnar
quella fuga.
- Ah ah! vedi se noi sappiamo
proteggere i galantuomini? disse a Renzo quel monatto: - val più uno di noi che cento di
que' poltroni.
- Certo, posso dire che vi devo la
vita, - rispose Renzo: - e vi ringrazio con tutto il cuore.
- Di che cosa? - disse il monatto: -
tu lo meriti: si vede che sei un bravo giovine. Fai bene a ungere questa canaglia: ungili,
estirpali costoro, che non vaglion qualcosa, se non quando son morti; che, per ricompensa
della vita che facciamo, ci maledicono, e vanno dicendo che, finita la morìa, ci voglion
fare impiccar tutti. Hanno a finir prima loro che la morìa, e i monatti hanno a restar
soli, a cantar vittoria, e a sguazzar per Milano.
- Viva la morìa, e moia la
marmaglia! - esclamò l'altro; e, con questo bel brindisi, si mise il fiasco alla bocca,
e, tenendolo con tutt'e due le mani, tra le scosse del carro, diede una buona bevuta, poi
lo porse a Renzo, dicendo: - bevi alla nostra salute.
- Ve l'auguro a tutti, con tutto il
cuore, - disse Renzo: - ma non ho sete; non ho proprio voglia di bere in questo momento.
- Tu hai avuto una bella paura, a
quel che mi pare, - disse il monatto: - m'hai l'aria d'un pover'uomo; ci vuol altri visi a
far l'untore.
- Ognuno s'ingegna come può, -
disse l'altro.
- Dammelo qui a me, - disse uno di
quelli che venivano a piedi accanto al carro, - ché ne voglio bere anch'io un altro
sorso, alla salute del suo padrone, che si trova qui in questa bella compagnia... lì,
lì, appunto, mi pare, in quella bella carrozzata.
E, con un suo atroce e maledetto
ghigno, accennava il carro davanti a quello su cui stava il povero Renzo. Poi, composto il
viso a un atto di serietà ancor più bieco e fellonesco, fece una riverenza da quella
parte, e riprese: - si contenta, padron mio, che un povero monattuccio assaggi di quello
della sua cantina? Vede bene: si fa certe vite: siam quelli che l'abbiam messo in
carrozza, per condurlo in villeggiatura. E poi, già a loro signori il vino fa subito
male: i poveri monatti han lo stomaco buono.
E tra le risate de' compagni, prese
il fiasco, e l'alzò; ma, prima di bere, si voltò a Renzo, gli fissò gli occhi in viso,
e gli disse, con una cert'aria di compassione sprezzante: - bisogna che il diavolo col
quale hai fatto il patto, sia ben giovine; ché, se non eravamo lì noi a salvarti, lui ti
dava un bell'aiuto -. E tra un nuovo scroscio di risa, s'attaccò il fiasco alle labbra.
- E noi? eh! e noi? - gridaron più
voci dal carro ch'era avanti. Il birbone, tracannato quanto ne volle, porse, con tutt'e
due le mani, il gran fiasco a quegli altri suoi simili, i quali se lo passaron dall'uno
all'altro, fino a uno che, votatolo, lo prese per il collo, gli fece fare il mulinello, e
lo scagliò a fracassarsi sulle lastre, gridando: - viva la morìa! - Dietro a queste
parole, intonò una loro canzonaccia; e subito alla sua voce s'accompagnaron tutte l'altre
di quel turpe coro. La cantilena infernale, mista al tintinnìo de' campanelli, al
cigolìo de' carri, al calpestìo de' cavalli, risonava nel voto silenzioso delle strade,
e, rimbombando nelle case, stringeva amaramente il cuore de' pochi che ancor le abitavano.
Ma cosa non può alle volte venire
in acconcio? cosa non può far piacere in qualche caso? Il pericolo d'un momento prima
aveva resa più che tollerabile a Renzo la compagnia di que' morti e di que' vivi; e ora
fu a' suoi orecchi una musica, sto per dire, gradita, quella che lo levava dall'impiccio
d'una tale conversazione. Ancor mezzo affannato, e tutto sottosopra, ringraziava intanto
alla meglio in cuor suo la Provvidenza, d'essere uscito d'un tal frangente, senza ricever
male né farne; la pregava che l'aiutasse ora a liberarsi anche da' suoi liberatori; e dal
canto suo, stava all'erta, guardava quelli, guardava la strada, per cogliere il tempo di
sdrucciolar giù quatto quatto, senza dar loro occasione di far qualche rumore, qualche
scenata, che mettesse in malizia i passeggieri.
Tutt'a un tratto, a una cantonata,
gli parve di riconoscere il luogo: guardò più attentamente, e ne fu sicuro. Sapete
dov'era? Sul corso di porta orientale, in quella strada per cui era venuto adagio, e
tornato via in fretta, circa venti mesi prima. Gli venne subito in mente che di lì
s'andava diritto al lazzeretto; e questo trovarsi sulla strada giusta, senza studiare,
senza domandare, l'ebbe per un tratto speciale della Provvidenza, e per buon augurio del
rimanente. In quel punto, veniva incontro ai carri un commissario, gridando a' monatti di
fermare, e non so che altro: il fatto è che il convoglio si fermò, e la musica si
cambiò in un diverbio rumoroso, Uno de' monatti ch'eran sul carro di Renzo, saltò giù:
Renzo disse all'altro: - vi ringrazio della vostra carità: Dio ve ne renda merito -; e
giù anche lui, dall'altra parte.
- Va', va', povero untorello, -
rispose colui: - non sarai tu quello che spianti Milano.
Per fortuna, non c'era chi potesse
sentire. Il convoglio era fermato sulla sinistra del corso: Renzo prende in fretta
dall'altra parte, e, rasentando il muro, trotta innanzi verso il ponte; lo passa, continua
per la strada del borgo, riconosce il convento de' cappuccini, è vicino alla porta, vede
spuntar l'angolo del lazzeretto, passa il cancello, e gli si spiega davanti la scena
esteriore di quel recinto: un indizio appena e un saggio, e già una vasta, diversa,
indescrivibile scena.
Lungo i due lati che si presentano a
chi guardi da quel punto, era tutto un brulichìo; erano ammalati che andavano, in
compagnie, al lazzeretto; altri che sedevano o giacevano sulle sponde del fossato che lo
costeggia; sia che le forze non fosser loro bastate per condursi fin dentro al ricovero,
sia che, usciti di là per disperazione, le forze fosser loro ugualmente mancate per andar
più avanti. Altri meschini erravano sbandati, come stupidi, e non pochi fuor di sé
affatto; uno stava tutto infervorato a raccontar le sue immaginazioni a un disgraziato che
giaceva oppresso dal male; un altro dava nelle smanie; un altro guardava in qua e in là
con un visino ridente, come se assistesse a un lieto spettacolo. Ma la specie più strana
e più rumorosa d'una tal trista allegrezza, era un cantare alto e continuo, il quale
pareva che non venisse fuori da quella miserabile folla, e pure si faceva sentire più che
tutte l'altre voci: una canzone contadinesca d'amore gaio e scherzevole, di quelle che
chiamavan villanelle; e andando con lo sguardo dietro al suono, per iscoprire chi mai
potesse esser contento, in quel tempo, in quel luogo, si vedeva un meschino che, seduto
tranquillamente in fondo al fossato, cantava a più non posso, con la testa per aria.
Renzo aveva appena fatti alcuni
passi lungo il lato meridionale dell'edifizio, che si sentì in quella moltitudine un
rumore straordinario, e di lontano voci che gridavano: guarda! piglia! S'alza in punta di
piedi, e vede un cavallaccio che andava di carriera, spinto da un più strano cavaliere:
era un frenetico che, vista quella bestia sciolta e non guardata, accanto a un carro,
c'era montato in fretta a bisdosso, e, martellandole il collo co' pugni, e facendo sproni
de' calcagni, la cacciava in furia; e monatti dietro, urlando; e tutto si ravvolse in un
nuvolo di polvere, che volava lontano.
Così, già sbalordito e stanco di
veder miserie, il giovine arrivò alla porta di quel luogo dove ce n'erano adunate forse
più che non ce ne fosse di sparse in tutto lo spazio che gli era già toccato di
percorrere. S'affaccia a quella porta, entra sotto la volta, e rimane un momento immobile
a mezzo del portico.
© 1997 - prof. Giuseppe Bonghi
E-mail: Giuseppe.Bonghi@fausernet.novara.it
Ultimo aggiornamento: 16 novembre 2000