Alessandro Manzoni
I Promessi Sposi
Capitolo XXX
Quantunque il
concorso maggiore non fosse dalla parte per cui i nostri tre fuggitivi s'avvicinavano alla
valle, ma all'imboccatura opposta, con tutto ciò, cominciarono a trovar compagni di
viaggio e di sventura, che da traverse e viottole erano sboccati o sboccavano nella
strada. In circostanze simili, tutti quelli che s'incontrano, è come se si conoscessero.
Ogni volta che il baroccio aveva raggiunto qualche pedone, si barattavan domande e
risposte. Chi era scappato, come i nostri, senza aspettar l'arrivo de' soldati; chi aveva
sentiti i tamburi o le trombe; chi gli aveva visti coloro, e li dipingeva come gli
spaventati sgolino dipingere.
- Siamo ancora fortunati, - dicevan
le due donne: - ringraziamo il cielo. Vada la roba; ma almeno siamo in salvo.
Ma don Abbondio non trovava che ci
fosse tanto da rallegrarsi; anzi quel concorso, e più ancora il maggiore che sentiva
esserci dall'altra parte, cominciava a dargli ombra. - Oh che storia! - borbottava alle
donne, in un momento che non c'era nessuno d'intorno: - oh che storia ! Non capite, che
radunarsi tanta gente in un luogo è lo stesso che volerci tirare i soldati per forza?
Tutti nascondono, tutti portan via; nelle case non resta nulla; crederanno che lassù ci
siano tesori. Ci vengono sicuro: sicuro ci vengono. Oh povero me! dove mi sono imbarcato!
- Oh! voglion far altro che venir
lassù, - diceva Perpetua: - anche loro devono andar per la loro strada. E poi, io ho
sempre sentito dire che, ne' pericoli, è meglio essere in molti.
- In molti? in molti? - replicava
don Abbondio: - povera donna! Non sapete che ogni lanzichenecco ne mangia cento di
costoro? E poi, se volessero far delle pazzie, sarebbe un bel gusto, eh? di trovarsi in
una battaglia. Oh povero me! Era meno male andar su per i monti. Che abbian tutti a voler
cacciarsi in un luogo!... Seccatori! - borbottava poi, a voce più bassa: - tutti qui: e
via, e via, e via; l'uno dietro l'altro, come pecore senza ragione.
- A questo modo, - disse Agnese, -
anche loro potrebbero dir lo stesso di noi.
- Chetatevi un po', - disse don
Abbondio: - ché già le chiacchiere non servono a nulla. Quel ch'è fatto è fatto: ci
siamo, bisogna starci. Sarà quel che vorrà la Provvidenza: il cielo ce la mandi buona.
Ma fu ben peggio quando, all'entrata
della valle, vide un buon posto d'armati, parte sull'uscio d'una casa, e parte nelle
stanze terrene: pareva una caserma. Li guardò con la coda dell'occhio: non eran quelle
facce che gli era toccato a vedere nell'altra dolorosa sua gita, o se ce n'era di quelle,
erano ben cambiate; ma con tutto ciò, non si può dire che noia gli desse quella vista.
«Oh povero me! - pensava: - ecco se le fanno le pazzie. Già non poteva essere
altrimenti: me lo sarei dovuto aspettare da un uomo di quella qualità. Ma cosa vuol fare?
vuol far la guerra? vuol fare il re, lui? Oh povero me! In circostanze che si vorrebbe
potersi nasconder sotto terra, e costui cerca ogni maniera di farsi scorgere, di dar
nell'occhio; par che li voglia invitare!»
- Vede ora, signor padrone, - gli
disse Perpetua, - se c'è della brava gente qui, che ci saprà difendere. Vengano ora i
soldati: qui non sono come que' nostri spauriti, che non son buoni che a menar le gambe.
- Zitta! - rispose, con voce bassa
ma iraconda, don Abbondio: - zitta! che non sapete quel che vi dite. Pregate il cielo che
abbian fretta i soldati, o che non vengano a sapere le cose che si fanno qui, e che si
mette all'ordine questo luogo come una fortezza. Non sapete che i soldati è il loro
mestiere di prender le fortezze? Non cercan altro; per loro, dare un assalto è come
andare a nozze; perché tutto quel che trovano è per loro, e passano la gente a fil di
spada. Oh povero me! Basta, vedrò se ci sarà maniera di mettersi in salvo su per queste
balze. In una battaglia non mi ci colgono oh! in una battaglia non mi ci colgono.
- Se ha poi paura anche d'esser
difeso e aiutato... - ricominciava Perpetua; ma don Abbondio l'interruppe aspramente,
sempre però a voce bassa: - zitta! E badate bene di non riportare questi discorsi.
Ricordatevi che qui bisogna far sempre viso ridente, e approvare tutto quello che si vede.
Alla Malanotte, trovarono un altro
picchetto d'armati, ai quali don Abbondio fece una scappellata, dicendo intanto tra sé:
«ohimè, ohimè: son proprio venuto in un accampamento!» Qui il baroccio si fermò; ne
scesero; don Abbondio pagò in fretta, e licenziò il condottiere; e s'incamminò con le
due compagne per la salita, senza far parola. La vista di que' luoghi gli andava
risvegliando nella fantasia, e mescolando all'angosce presenti, la rimembranza di quelle
che vi aveva sofferte l'altra volta. E Agnese, la quale non gli aveva mai visti que'
luoghi, e se n'era fatta in mente una pittura fantastica che le si rappresentava ogni
volta che pensava al viaggio spaventoso di Lucia, vedendoli ora quali eran davvero,
provava come un nuovo e più vivo sentimento di quelle crudeli memorie. - Oh signor
curato! - esclamò: - a pensare che la mia povera Lucia è passata per questa strada!
- Volete stare zitta? donna senza
giudizio! - le gridò in un orecchio don Abbondio: - son discorsi codesti da farsi qui?
Non sapete che siamo in casa sua? Fortuna che ora nessun vi sente; ma se parlate in questa
maniera...
- Oh! - disse Agnese: - ora che è
santo...!
- State zitta, - le replicò don
Abbondio: - credete voi che ai santi si possa dire, senza riguardo, tutto ciò che passa
per la mente ? Pensate piùttosto a ringraziarlo del bene che v'ha fatto.
- Oh! per questo, ci avevo già
pensato: che crede che non le sappia un pochino le creanze?
- La creanza è di non dir le cose
che posson dispiacere, specialmente a chi non è avvezzo a sentirne. E intendetela bene
tutt'e due, che qui non è luogo da far pettegolezzi, e da dir tutto quello che vi può
venire in testa. E casa d'un gran signore, già lo sapete: vedete che compagnia c'è
d'intorno: ci vien gente di tutte le sorte; sicché, giudizio, se potete: pesar le parole,
e soprattutto dirne poche, e solo quando c'è necessità: ché a stare zitti non si
sbaglia mai.
- Fa peggio lei con tutte codeste
sue... - riprendeva Perpetua.
Ma: - zitta! - gridò sottovoce don
Abbondio, e insieme si levò il cappello in fretta, e fece un profondo inchino: ché,
guardando in su, aveva visto l'innominato scender verso di loro. Anche questo aveva visto
e riconosciuto don Abbondio; e affrettava il passo per andargli incontro.
- Signor curato, - disse, quando gli
fu vicino, - avrei voluto offrirle la mia casa in miglior occasione; ma, a ogni modo, son
ben contento di poterle esser utile in qualche cosa.
- Confidato nella gran bontà di
vossignoria illustrissima, - rispose don Abbondio, - mi son preso l'ardire di venire, in
queste triste circostanze, a incomodarla: e, come vede vossignoria illustrissima, mi son
preso anche la libertà di menar compagnia. Questa è la mia governante...
- Benvenuta, - disse l'innominato.
- E questa, - continuò don
Abbondio, - è una donna a cui vossignoria ha già fatto del bene: la madre di quella...
di quella...
- Di Lucia, - disse Agnese.
- Di Lucia! - esclamò l'innominato,
voltandosi, con la testa bassa, ad Agnese. - Del bene, io! Dio immortale! Voi, mi fate del
bene, a venir qui... da me... in questa casa. Siate la benvenuta. Voi ci portate la
benedizione.
- Oh giusto! - disse Agnese: - vengo
a incomodarla. Anzi, - continuò, avvicinandosegli all'orecchio, - ho anche a
ringraziarla...
L'innominato troncò quelle parole,
domandando premurosamente le nuove di Lucia; e sapute che l'ebbe, si voltò per
accompagnare al castello i nuovi ospiti, come fece, malgrado la loro resistenza
cerimoniosa. Agnese diede al curato un'occhiata che voleva dire: veda un poco se c'è
bisogno che lei entri di mezzo tra noi due a dar pareri.
- Sono arrivati alla sua parrocchia?
- gli domandò l'innominato.
- No, signore, che non gli ho voluti
aspettare que' diavoli, - rispose don Abbondio. - Sa il cielo se avrei potuto uscir vivo
dalle loro mani, e venire a incomodare vossignoria illustrissima.
- Bene, si faccia coraggio, -
riprese l'innominato: - ché ora è in sicuro. Quassù non verranno; e se si volessero
provare, siam pronti a riceverli.
- Speriamo che non vengano, - disse
don Abbondio. - E sento, - soggiunse, accennando col dito i monti che chiudevano la valle
di rimpetto, - sento che, anche da quella parte, giri un'altra masnada di gente, ma...
ma...
- E vero, - rispose l'innominato: -
ma non dubiti, che siam pronti anche per loro.
«Tra due fuochi, - diceva tra sé
don Abbondio: - proprio tra due fuochi. Dove mi son lasciato tirare! e da due pettegole! E
costui par proprio che ci sguazzi dentro! Oh che gente c'è a questo mondo!»
Entrati nel castello, il signore
fece condurre Agnese e Perpetua in una stanza del quartiere assegnato alle donne, che
occupava tre lati del secondo cortile, nella parte posteriore dell'edifizio situata sur un
masso sporgente e isolato, a cavaliere a un precipizio. Gli uomini alloggiavano ne' lati
dell'altro cortile a destra e a sinistra, e in quello che rispondeva sulla spianata. Il
corpo di mezzo, che separava i due cortili, e dava passaggio dall'uno all'altro, per un
vasto andito di rimpetto alla porta principale, era in parte occupato dalle provvisioni, e
in parte doveva servir di deposito per la roba che i rifugiati volessero mettere in salvo
lassù. Nel quartiere degli uomini, c'erano alcune camere destinate agli ecclesiastici che
potessero capitare. L'innominato v'accompagnò in persona don Abbondio, che fu il primo a
prenderne il possesso.
Ventitré o ventiquattro giorni
stettero i nostri fuggitivi nel castello, in mezzo a un movimento continuo, in una gran
compagnia, e che ne' primi tempi, andò sempre crescendo; ma senza che accadesse nulla di
straordinario. Non passò forse giorno, che non si desse all'armi. Vengon lanzichenecchi
di qua; si son veduti cappelletti di là. A ogni avviso, l'innominato mandava uomini a
esplorare; e, se faceva bisogno, prendeva con sé della gente che teneva sempre pronta a
ciò, e andava con essa fuor della valle, dalla parte dov'era indicato il pericolo. Ed era
cosa singolare, vedere una schiera d'uomini armati da capo a piedi, e schierati come una
truppa, condotti da un uomo senz'armi. Le più volte non erano che foraggieri e
saccheggiatori sbandati, che se n'andavano prima d'esser sorpresi. Ma una volta, cacciando
alcuni di costoro, per insegnar loro a non venir più da quelle parti, l'innominato
ricevette avviso che un paesetto vicino era invaso e messo a sacco. Erano lanzichenecchi
di vari corpi che, rimasti indietro per rubare, s'eran riuniti, e andavano a gettarsi
all'improvviso sulle terre vicine a quelle dove alloggiava l'esercito; spogliavano gli
abitanti, e gliene facevan di tutte le sorte. L'innominato fece un breve discorso a' suoi
uomini, e li condusse al paesetto.
Arrivarono inaspettati. I ribaldi
che avevan creduto di non andar che alla preda, vedendosi venire addosso gente schierata e
pronta a combattere, lasciarono il saccheggio a mezzo, e se n'andarono in fretta,
senz'aspettarsi l'uno con l'altro, dalla parte dond'eran venuti. L'innominato gl'inseguì
per un pezzo di strada; poi, fatto far alto, stette qualche tempo aspettando, se vedesse
qualche novità; e finalmente se ne ritornò. E ripassando nel paesetto salvato, non si
potrebbe dire con quali applausi e benedizioni fosse accompagnato il drappello liberatore
e il condottiero.
Nel castello, tra quella
moltitudine, formata a caso, di persone, varie di condizione, di costumi, di sesso e
d'età, non nacque mai alcun disordine d'importanza. L'innominato aveva messe guardie in
diversi luoghi, le quali tutte invigilavano che non seguisse nessun inconveniente, con
quella premura che ognuno metteva nelle cose di cui s'avesse a rendergli conto.
Aveva poi pregati gli ecclesiastici,
e gli uomini più autorevoli che si trovavan tra i ricoverati, d'andare in giro e
d'invigilare anche loro. E più spesso che poteva, girava anche lui, e si faceva veder per
tutto; ma, anche in sua assenza, il ricordarsi di chi s'era in casa, serviva di freno a
chi ne potesse aver bisogno. E, del resto, era tutta gente scappata, e quindi inclinata in
generale alla quiete: i pensieri della casa e della roba, per alcuni anche di congiunti o
d'amici rimasti nel pericolo, le nuove che venivan di fuori, abbattendo gli animi,
mantenevano e accrescevano sempre più quella disposizione.
C'era però anche de' capi scarichi,
degli uomini d'una tempra più salda e d'un coraggio più verde, che cercavano di passar
que' giorni in allegria. Avevano abbandonate le loro case, per non esser forti abbastanza
da difenderle; ma non trovavan gusto a piangere e a sospirare sur una cosa che non c'era
rimedio, né a figurarsi e a contemplar con la fantasia il guasto che vedrebbero pur
troppo co' loro occhi. Famiglie amiche erano andate di conserva, o s'eran ritrovate
lassù, s'eran fatte amicizie nuove; e la folla s'era divisa in crocchi, secondo gli umori
e l'abitudini. Chi aveva danari e discrezione, andava a desinare giù nella valle, dove in
quella circostanza, s'eran rizzate in fretta osterie: in alcune, i bocconi erano alternati
co' sospiri, e non era lecito parlar d'altro che di sciagure: in altre, non si rammentavan
le sciagure, se non per dire che non bisognava pensarci. A chi non poteva o non voleva
farsi le spese, si distribuiva nel castello pane, minestra e vino: oltre alcune tavole
ch'eran servite ogni giorno, per quelli che il padrone vi aveva espressamente invitati; e
i nostri eran di questo numero.
Agnese e Perpetua, per non mangiare
il pane a ufo, avevan voluto essere impiegate ne' servizi che richiedeva una così grande
ospitalità; e in questo spendevano una buona parte della giornata; il resto nel
chiacchierare con certe amiche che s'eran fatte, o col povero don Abbondio. Questo non
aveva nulla da fare, ma non s'annoiava però; la paura gli teneva compagnia. La paura
proprio d'un assalto, credo che la gli fosse passata, o se pur gliene rimaneva, era quella
che gli dava meno fastidio; perché, pensandoci appena appena, doveva capire quanto poco
fosse fondata. Ma l'immagine del paese circonvicino inondato, da una parte e dall'altra,
da soldatacci, le armi e gli armati che vedeva sempre in giro, un castello, quel castello,
il pensiero di tante cose che potevan nascere ogni momento in tali circostanze, tutto gli
teneva addosso uno spavento indistinto, generale, continuo; lasciando stare il rodìo che
gli dava il pensare alla sua povera casa. In tutto il tempo che stette in quell'asilo, non
se ne discostò mai quanto un tiro di schioppo, né mai mise piede sulla discesa: l'unica
sua passeggiata era d'uscire sulla spianata, e d'andare, quando da una parte e quando
dall'altra del castello, a guardar giù per le balze e per i burroni, per istudiare se ci
fosse qualche passo un po' praticabile, qualche po' di sentiero, per dove andar cercando
un nascondiglio in caso d'un serra serra. A tutti i suoi compagni di rifugio faceva gran
riverenze o gran saluti, ma bazzicava con pochissimi: la sua conversazione più frequente
era con le due donne, come abbiam detto; con loro andava a fare i suoi sfoghi, a rischio
che talvolta gli fosse dato sulla voce da Perpetua, e che lo svergognasse anche Agnese. A
tavola poi, dove stava poco e parlava pochissimo, sentiva le nuove del terribile
passaggio, le quali arrivavano ogni giorno, o di paese in paese e di bocca in bocca, o
portate lassù da qualcheduno, che da principio aveva voluto restarsene a casa, e scappava
in ultimo, senza aver potuto salvar nulla, e a un bisogno anche malconcio: e ogni giorno
c'era qualche nuova storia di sciagura. Alcuni, novellisti di professione, raccoglievan
diligentemente tutte le voci, abburattavan tutte le relazioni, e ne davan poi il fiore
agli altri. Si disputava quali fossero i reggimenti più indiavolati, se fosse peggio la
fanteria o la cavalleria; si ripetevano, il meglio che si poteva, certi nomi di
condottieri; d'alcuni si raccontavan l'imprese passate, si specificavano le stazioni e le
marce: quel giorno, il tale reggimento si spandeva ne' tali paesi, domani anderebbe
addosso ai tali altri, dove intanto il tal altro faceva il diavolo e peggio. Sopra tutto
si cercava d'aver informazione, e si teneva il conto de' reggimenti che passavan di mano
in mano il ponte di Lecco, perché quelli si potevano considerar come andati, e fuori
veramente del paese. Passano i cavalli di Wallenstein, passano i fanti di Merode, passano
i cavalli di Anhalt, passano i fanti di Brandeburgo, e poi i cavalli di Montecuccoli, e
poi quelli di Ferrari; passa Altringer, passa Furstenberg, passa Colloredo; passano i
Croati, passa Torquato Conti, passano altri e altri; quando piacque al cielo, passò anche
Galasso, che fu l'ultimo. Lo squadron volante de' veneziani finì d'allontanarsi anche
lui; e tutto il paese, a destra e a sinistra, si trovò libero. Già quelli delle terre
invase e sgombrate le prime, eran partiti dal castello; e ogni giorno ne partiva: come,
dopo un temporale d'autunno, si vede dai palchi fronzuti d'un grand'albero uscire da ogni
parte gli uccelli che ci s'erano riparati. Credo che i nostri tre fossero gli ultimi ad
andarsene; e ciò per volere di don Abbondio, il quale temeva, se si tornasse subito a
casa, di trovare ancora in giro lanzichenecchi rimasti indietro sbrancati, in coda
all'esercito. Perpetua ebbe un bel dire che, quanto più s'indugiava, tanto più si dava
agio ai birboni del paese d'entrare in casa a portar via il resto; quando si trattava
d'assicurar la pelle, era sempre don Abbondio che la vinceva; meno che l'imminenza del
pericolo non gli avesse fatto perdere affatto la testa.
Il giorno fissato per la partenza,
l'innominato fece trovar pronta alla Malanotte una carrozza, nella quale aveva già fatto
mettere un corredo di biancheria per Agnese. E tiratala in disparte, le fece anche
accettare un gruppetto di scudi, per riparare al guasto che troverebbe in casa;
quantunque, battendo la mano sul petto, essa andasse ripetendo che ne aveva lì ancora de'
vecchi.
- Quando vedrete quella vostra
buona, povera Lucia... - le disse in ultimo: - già son certo che prega per me, poiché le
ho fatto tanto male: ditele adunque ch'io la ringrazio, e confido in Dio, che la sua
preghiera tornerà anche in tanta benedizione per lei.
Volle poi accompagnar tutti e tre
gli ospiti, fino alla carrozza. I ringraziamenti umili e sviscerati di don Abbondio e i
complimenti di Perpetua, se gl'immagini il lettore. Partirono; fecero, secondo il fissato,
una fermatina, ma senza neppur mettersi a sedere, nella casa del sarto, dove sentirono
raccontar cento cose del passaggio: la solita storia di ruberie, di percosse, di sperpero,
di sporchizie: ma lì, per buona sorte, non s'eran visti lanzichenecchi.
- Ah signor curato! - disse il
sarto, dandogli di braccio a rimontare in carrozza: - s'ha da far de' libri in istampa,
sopra un fracasso di questa sorte.
Dopo un'altra po' di strada,
cominciarono i nostri viaggiatori a veder co' loro occhi qualche cosa di quello che avevan
tanto sentito descrivere: vigne spogliate, non come dalla vendemmia, ma come dalla
grandine e dalla bufera che fossero venute in compagnia: tralci a terra, sfrondati e
scompigliati; strappati i pali, calpestato il terreno, e sparso di schegge, di foglie, di
sterpi; schiantati, scapezzati gli alberi; sforacchiate le siepi; i cancelli portati via.
Ne' paesi poi, usci sfondati, impannate lacere, paglia, cenci, rottami d'ogni sorte, a
mucchi o seminati per le strade; un'aria pesante, zaffate di puzzo più forte che uscivan
dalle case; la gente, chi a buttar fuori porcherie, chi a raccomodar le imposte alla
meglio, chi in crocchio a lamentarsi insieme; e, al passar della carrozza, mani di qua e
di là tese agli sportelli, per chieder l'elemosina.
Con queste immagini, ora davanti
agli occhi, ora nella mente, e con l'aspettativa di trovare altrettanto a casa loro, ci
arrivarono; e trovarono infatti quello che s'aspettavano.
Agnese fece posare i fagotti in un
canto del cortiletto, ch'era rimasto il luogo più pulito della casa; si mise poi a
spazzarla, a raccogliere e a rigovernare quella poca roba che le avevan lasciata; fece
venire un legnaiolo e un fabbro, per riparare i guasti più grossi, e guardando poi, capo
per capo, la biancheria regalata, e contando que' nuovi ruspi, diceva tra sé: «son
caduta in piedi; sia ringraziato Iddio e la Madonna e quel buon signore: posso proprio
dire d'esser caduta in piedi».
Don Abbondio e Perpetua entrano in
casa, senza aiuto di chiavi; ogni passo che fanno nell'andito, senton crescere un tanfo,
un veleno, una peste, che li respinge indietro; con la mano al naso, vanno all'uscio di
cucina; entrano in punta di piedi, studiando dove metterli, per iscansar più che possono
la porcheria che copre il pavimento; e dànno un'occhiata in giro. Non c'era nulla
d'intero; ma avanzi e frammenti di quel che c'era stato, lì e altrove, se ne vedeva in
ogni canto: piùme e penne delle galline di Perpetua, pezzi di biancheria, fogli de'
calendari di don Abbondio, cocci di pentole e di piatti; tutto insieme o sparpagliato.
Solo nel focolare si potevan vedere i segni d'un vasto saccheggio accozzati insieme, come
molte idee sottintese, in un periodo steso da un uomo di garbo. C'era, dico, un rimasuglio
di tizzi e tizzoni spenti, i quali mostravano d'essere stati, un bracciolo di seggiola, un
piede di tavola, uno sportello d'armadio, una panca di letto, una doga della botticina,
dove ci stava il vino che rimetteva lo stomaco a don Abbondio. Il resto era cenere e
carboni; e con que' carboni stessi, i guastatori, per ristoro, avevano scarabocchiati i
muri di figuracce, ingegnandosi, con certe berrettine o con certe cheriche, e con certe
larghe facciole, di farne de' preti, e mettendo studio a farli orribili e ridicoli:
intento che, per verità, non poteva andar fallito a tali artisti.
- Ah porci! - esclamò Perpetua. -
Ah baroni! - esclamò don Abbondio; e, come scappando, andaron fuori, per un altr'uscio
che metteva nell'orto. Respirarono; andaron diviato al fico; ma già prima d'arrivarci,
videro la terra smossa, e misero un grido tutt'e due insieme; arrivati, trovarono
effettivamente, in vece del morto, la buca aperta. Qui nacquero de' guai: don Abbondio
cominciò a prendersela con Perpetua, che non avesse nascosto bene: pensate se questa
rimase zitta: dopo ch'ebbero ben gridato, tutt'e due col braccio teso, e con l'indice
appuntato verso la buca, se ne tornarono insieme, brontolando. E fate conto che per tutto
trovarono a un di presso la medesima cosa. Penarono non so quanto, a far ripulire e
smorbare la casa, tanto più che, in que' giorni, era difficile trovar aiuto; e non so
quanto dovettero stare come accampati, accomodandosi alla meglio, o alla peggio, e
rifacendo a poco a poco usci, mobili, utensili, con danari prestati da Agnese.
Per giunta poi, quel disastro fu una
semenza d'altre questioni molto noiose; perché Perpetua, a forza di chiedere e domandare,
di spiare e fiutare, venne a saper di certo che alcune masserizie del suo padrone, credute
preda o strazio de' soldati, erano in vece sane e salve in casa di gente del paese; e
tempestava il padrone che si facesse sentire, e richiedesse il suo. Tasto più odioso non
si poteva toccare per don Abbondio; giacché la sua roba era in mano di birboni, cioè di
quella specie di persone con cui gli premeva più di stare in pace.
- Ma se non ne voglio saper nulla di
queste cose, - diceva. - Quante volte ve lo devo ripetere, che quel che è andato è
andato? Ho da esser messo anche in croce, perché m'è stata spogliata la casa ?
- Se lo dico, - rispondeva Perpetua,
- che lei si lascerebbe cavar gli occhi di testa. Rubare agli altri è peccato, ma a lei,
è peccato non rubare.
- Ma vedete se codesti sono
spropositi da dirsi! - replicava don Abbondio: - ma volete stare zitta?
Perpetua si chetava, ma non subito
subito; e prendeva pretesto da tutto per riprincipiare. Tanto che il pover'uomo s'era
ridotto a non lamentarsi più, quando trovava mancante qualche cosa, nel momento che ne
avrebbe avuto bisogno; perché, più d'una volta, gli era toccato a sentirsi dire: - vada
a chiederlo al tale che l'ha, e non l'avrebbe tenuto fino a quest'ora, se non avesse che
fare con un buon uomo.
Un'altra e più viva inquietudine
gli dava il sentire che giornalmente continuavano a passar soldati alla spicciolata, come
aveva troppo bene congetturato; onde stava sempre in sospetto di vedersene capitar
qualcheduno o anche una compagnia sull'uscio, che aveva fatto raccomodare in fretta per la
prima cosa, e che teneva chiuso con gran cura; ma, per grazia del cielo, ciò non avvenne
mai. Né però questi terrori erano ancora cessati, che un nuovo ne sopraggiunse.
Ma qui lasceremo da parte il
pover'uomo: si tratta ben d'altro che di sue apprensioni private, che de' guai d'alcuni
paesi, che d'un disastro passeggiero.
© 1997 - prof. Giuseppe Bonghi
E-mail: Giuseppe.Bonghi@fausernet.novara.it
Ultimo aggiornamento: 15 novembre 2000