Alessandro Manzoni
I Promessi Sposi
Capitolo XXIII
Il cardinal
Federigo, intanto che aspettava l'ora d'andar in chiesa a celebrar gli ufizi divini, stava
studiando, com'era solito di fare in tutti i ritagli di tempo; quando entrò il cappellano
crocifero, con un viso alterato.
- Una strana visita, strana davvero,
monsignore illustrissimo!
- Chi è? - domandò il cardinale.
- Niente meno che il signor... -
riprese il cappellano- e spiccando le sillabe con una gran significazione, proferì quel
nome che noi non possiamo scrivere ai nostri lettori. Poi soggiunse: - è qui fuori in
persona; e chiede nient'altro che d'esser introdotto da vossignoria illustrissima.
- Lui! - disse il cardinale, con un
viso animato, chiudendo il libro, e alzandosi da sedere: - venga! venga subito!
- Ma... - replicò il cappellano,
senza moversi: - vossignoria illustrissima deve sapere chi è costui: quel bandito, quel
famoso...
- E non è una fortuna per un
vescovo, che a un tal uomo sia nata la volontà di venirlo a trovare?
- Ma... - insistette il cappellano:
- noi non possiamo mai parlare di certe cose, perché monsignore dice che le son ciance:
però quando viene il caso, mi pare che sia un dovere... Lo zelo fa de' nemici,
monsignore; e noi sappiamo positivamente che più d'un ribaldo ha osato vantarsi che, un
giorno o l'altro...
- E che hanno fatto? - interruppe il
cardinale.
- Dico che costui è un appaltatore
di delitti, un disperato, che tiene corrispondenza co' disperati più furiosi, e che può
esser mandato...
- Oh, che disciplina è codesta, -
interruppe ancora sorridendo Federigo, - che i soldati esortino il generale ad aver paura?
- Poi, divenuto serio e pensieroso, riprese: - san Carlo non si sarebbe trovato nel caso
di dibattere se dovesse ricevere un tal uomo: sarebbe andato a cercarlo. Fatelo entrar
subito: ha già aspettato troppo.
Il cappellano si mosse, dicendo tra
sé: «non c'è rimedio: tutti questi santi sono ostinati».
Aperto l'uscio, e affacciatosi alla
stanza dov'era il signore e la brigata, vide questa ristretta in una parte, a bisbigliare
e a guardar di sott'occhio quello, lasciato solo in un canto. S'avviò verso di lui; e
intanto squadrandolo, come poteva, con la coda dell'occhio, andava pensando che diavolo
d'armeria poteva esser nascosta sotto quella casacca; e che, veramente, prima
d'introdurlo, avrebbe dovuto proporgli almeno... ma non si seppe risolvere. Gli
s'accostò, e disse: - monsignore aspetta vossignoria. Si contenti di venir con me. - E
precedendolo in quella piccola folla, che subito fece ala, dava a destra e a sinistra
occhiate, le quali significavano: cosa volete? non lo sapete anche voi altri, che fa
sempre a modo suo?
Appena introdotto l'innominato,
Federigo gli andò incontro, con un volto premuroso e sereno, e con le braccia aperte,
come a una persona desiderata, e fece subito cenno al cappellano che uscisse: il quale
ubbidì.
I due rimasti stettero alquanto
senza parlare, e diversamente sospesi. L'innominato, ch'era stato come portato lì per
forza da una smania inesplicabile, piùttosto che condotto da un determinato disegno, ci
stava anche come per forza, straziato da due passioni opposte, quel desiderio e quella
speranza confusa di trovare un refrigerio al tormento interno, e dall'altra parte una
stizza, una vergogna di venir lì come un pentito, come un sottomesso, come un miserabile,
a confessarsi in colpa, a implorare un uomo: e non trovava parole, né quasi ne cercava.
Però, alzando gli occhi in viso a quell'uomo, si sentiva sempre più penetrare da un
sentimento di venerazione imperioso insieme e soave, che, aumentando la fiducia, mitigava
il dispetto, e senza prender l'orgoglio di fronte, l'abbatteva, e, dirò così,
gl'imponeva silenzio.
La presenza di Federigo era infatti
di quelle che annunziano una superiorità, e la fanno amare. Il portamento era
naturalmente composto, e quasi involontariamente maestoso, non incurvato né impigrito
punto dagli anni; l'occhio grave e vivace, la fronte serena e pensierosa; con la canizie,
nel pallore, tra i segni dell'astinenza, della meditazione, della fatica, una specie di
floridezza verginale: tutte le forme del volto indicavano che, in altre età, c'era stata
quella che più propriamente si chiama bellezza; l'abitudine de' pensieri solenni e
benevoli, la pace interna d'una lunga vita, l'amore degli uomini, la gioia continua d'una
speranza ineffabile, vi avevano sostituita una, direi quasi, bellezza senile, che spiccava
ancor più in quella magnifica semplicità della porpora.
Tenne anche lui, qualche momento,
fisso nell'aspetto dell'innominato il suo sguardo penetrante, ed esercitato da lungo tempo
a ritrarre dai sembianti i pensieri; e, sotto a quel fosco e a quel turbato, parendogli di
scoprire sempre più qualcosa di conforme alla speranza da lui concepita al primo annunzio
d'una tal visita, tutt'animato, - oh! - disse: - che preziosa visita è questa! e quanto
vi devo esser grato d'una sì buona risoluzione; quantunque per me abbia un po' del
rimprovero!
- Rimprovero! - esclamò il signore
maravigliato, ma raddolcito da quelle parole e da quel fare, e contento che il cardinale
avesse rotto il ghiaccio, e avviato un discorso qualunque.
- Certo, m'è un rimprovero, -
riprese questo, - ch'io mi sia lasciato prevenir da voi; quando, da tanto tempo, tante
volte, avrei dovuto venir da voi io.
- Da me, voi! Sapete chi sono?
V'hanno detto bene il mio nome?
- E questa consolazione ch'io sento,
e che, certo, vi si manifesta nel mio aspetto, vi par egli ch'io dovessi provarla
all'annunzio, alla vista d'uno sconosciuto? Siete voi che me la fate provare; voi, dico,
che avrei dovuto cercare; voi che almeno ho tanto amato e pianto, per cui ho tanto
pregato; voi, de' miei figli, che pure amo tutti e di cuore, quello che avrei più
desiderato d'accogliere e d'abbracciare, se avessi creduto di poterlo sperare. Ma Dio sa
fare Egli solo le maraviglie, e supplisce alla debolezza, alla lentezza de' suoi poveri
servi.
L'innominato stava attonito a quel
dire così infiammato, a quelle parole, che rispondevano tanto risolutamente a ciò che
non aveva ancor detto, né era ben determinato di dire; e commosso ma sbalordito, stava in
silenzio. - E che? - riprese, ancor più affettuosamente, Federigo: - voi avete una buona
nuova da darmi, e me la fate tanto sospirare?
- Una buona nuova, io? Ho l'inferno
nel cuore; e vi darò una buona nuova? Ditemi voi, se lo sapete, qual è questa buona
nuova che aspettate da un par mio.
- Che Dio v'ha toccato il cuore, e
vuol farvi suo, - rispose pacatamente il cardinale.
- Dio! Dio! Dio! Se lo vedessi! Se
lo sentissi! Dov'è questo Dio?
- Voi me lo domandate? voi? E chi
più di voi l'ha vicino? Non ve lo sentite in cuore, che v'opprime, che v'agita, che non
vi lascia stare, e nello stesso tempo v'attira, vi fa presentire una speranza di quiete,
di consolazione, d'una consolazione che sarà piena, immensa, subito che voi lo
riconosciate, lo confessiate, l'imploriate?
- Oh, certo! ho qui qualche cosa che
m'opprime, che mi rode! Ma Dio! Se c'è questo Dio, se è quello che dicono, cosa volete
che faccia di me?
Queste parole furon dette con un
accento disperato; ma Federigo, con un tono solenne, come di placida ispirazione, rispose:
- cosa può far Dio di voi? cosa vuol farne? Un segno della sua potenza e della sua
bontà: vuol cavar da voi una gloria che nessun altro gli potrebbe dare. Che il mondo
gridi da tanto tempo contro di voi, che mille e mille voci detestino le vostre opere... -
(l'innominato si scosse, e rimase stupefatto un momento nel sentir quel linguaggio così
insolito, più stupefatto ancora di non provarne sdegno, anzi quasi un sollievo); - che
gloria, - proseguiva Federigo, - ne viene a Dio? Son voci di terrore, son voci
d'interesse; voci forse anche di giustizia, ma d'una giustizia così facile, così
naturale! alcune forse, pur troppo, d'invidia di codesta vostra sciagurata potenza, di
codesta, fino ad oggi, deplorabile sicurezza d'animo. Ma quando voi stesso sorgerete a
condannare la vostra vita, ad accusar voi stesso, allora! allora Dio sarà glorificato! E
voi domandate cosa Dio possa far di voi? Chi son io pover'uomo, che sappia dirvi fin d'ora
che profitto possa ricavar da voi un tal Signore? cosa possa fare di codesta volontà
impetuosa, di codesta imperturbata costanza, quando l'abbia animata, infiammata d'amore,
di speranza, di pentimento? Chi siete voi, pover'uomo, che vi pensiate d'aver saputo da
voi immaginare e fare cose più grandi nel male, che Dio non possa farvene volere e
operare nel bene? Cosa può Dio far di voi? E perdonarvi? e farvi salvo? e compire in voi
l'opera della redenzione? Non son cose magnifiche e degne di Lui? Oh pensate! se io
omiciattolo, io miserabile, e pur così pieno di me stesso, io qual mi sono, mi struggo
ora tanto della vostra salute, che per essa darei con gaudio (Egli m'è testimonio) questi
pochi giorni che mi rimangono; oh pensate! quanta, quale debba essere la carità di Colui
che m'infonde questa così imperfetta, ma così viva; come vi ami, come vi voglia Quello
che mi comanda e m'ispira un amore per voi che mi divora!
A misura che queste parole uscivan
dal suo labbro, il volto, lo sguardo, ogni moto ne spirava il senso. La faccia del suo
ascoltatore, di stravolta e convulsa, si fece da principio attonita e intenta; poi si
compose a una commozione più profonda e meno angosciosa; i suoi occhi, che dall'infanzia
più non conoscevan le lacrime, si gonfiarono; quando le parole furon cessate, si coprì
il viso con le mani, e diede in un dirotto pianto, che fu come l'ultima e più chiara
risposta.
- Dio grande e buono! - esclamò
Federigo, alzando gli occhi e le mani al cielo: - che ho mai fatto io, servo inutile,
pastore sonnolento, perché Voi mi chiamaste a questo convito di grazia, perché mi
faceste degno d'assistere a un sì giocondo prodigio! - Così dicendo, stese la mano a
prender quella dell'innominato.
- No! - gridò questo, - no!
lontano, lontano da me voi: non lordate quella mano innocente e benefica. Non sapete tutto
ciò che ha fatto questa che volete stringere.
- Lasciate, - disse Federigo,
prendendola con amorevole violenza, - lasciate ch'io stringa codesta mano che riparerà
tanti torti, che spargerà tante beneficenze, che solleverà tanti afflitti, che si
stenderà disarmata, pacifica, umile a tanti nemici.
- È troppo! - disse, singhiozzando,
l'innominato. - Lasciatemi, monsignore; buon Federigo, lasciatemi. Un popolo affollato
v'aspetta; tant'anime buone, tant'innocenti, tanti venuti da lontano, per vedervi una
volta, per sentirvi: e voi vi trattenete... con chi!
- Lasciamo le novantanove pecorelle,
- rispose il cardinale: - sono in sicuro sul monte: io voglio ora stare con quella ch'era
smarrita. Quell'anime son forse ora ben più contente, che di vedere questo povero
vescovo. Forse Dio, che ha operato in voi il prodigio della misericordia, diffonde in esse
una gioia di cui non sentono ancora la cagione. Quel popolo è forse unito a noi senza
saperlo: forse lo Spirito mette ne' loro cuori un ardore indistinto di carità, una
preghiera ch'esaudisce per voi, un rendimento di grazie di cui voi siete l'oggetto non
ancor conosciuto -. Così dicendo, stese le braccia al collo dell'innominato; il quale,
dopo aver tentato di sottrarsi, e resistito un momento, cedette, come vinto da
quell'impeto di carità, abbracciò anche lui il cardinale, e abbandonò sull'omero di lui
il suo volto tremante e mutato. Le sue lacrime ardenti cadevano sulla porpora
incontaminata di Federigo; e le mani incolpevoli di questo stringevano affettuosamente
quelle membra, premevano quella casacca, avvezza a portar l'armi della violenza e del
tradimento.
L'innominato, sciogliendosi da
quell'abbraccio, si coprì di nuovo gli occhi con una mano, e, alzando insieme la faccia,
esclamò: - Dio veramente grande! Dio veramente buono! io mi conosco ora, comprendo chi
sono; le mie iniquità mi stanno davanti; ho ribrezzo di me stesso; eppure...! eppure
provo un refrigerio, una gioia, sì una gioia, quale non ho provata mai in tutta questa
mia orribile vita!
È un saggio, - disse Federigo, -
che Dio vi dà per cattivarvi al suo servizio, per animarvi ad entrar risolutamente nella
nuova vita in cui avrete tanto da disfare, tanto da riparare, tanto da piangere! - Me
sventurato! - esclamò il signore, - quante, quante... cose, le quali non potrò se non
piangere! Ma almeno ne ho d'intraprese, d'appena avviate, che posso, se non altro, rompere
a mezzo: una ne ho, che posso romper subito, disfare, riparare.
Federigo si mise in attenzione; e
l'innominato raccontò brevemente, ma con parole d'esecrazione anche più forti di quelle
che abbiamo adoprato noi, la prepotenza fatta a Lucia, i terrori, i patimenti della
poverina, e come aveva implorato, e la smania che quell'implorare aveva messa addosso a
lui, e come essa era ancor nel castello...
- Ah, non perdiam tempo! - esclamò
Federigo, ansante di pietà e di sollecitudine. - Beato voi! Questo è pegno del perdono
di Dio! far che possiate diventare strumento di salvezza a chi volevate esser di rovina.
Dio vi benedica! Dio v'ha benedetto! Sapete di dove sia questa povera nostra travagliata?
Il signore nominò il paese di
Lucia.
- Non è lontano di qui, - disse il
cardinale: - lodato sia Dio; e probabilmente... - Così dicendo, corse a un tavolino, e
scosse un campanello. E subito entrò con ansietà il cappellano crocifero, e per la prima
cosa, guardò l'innominato; e vista quella faccia mutata, e quegli occhi rossi di pianto,
guardò il cardinale; e sotto quell'inalterabile compostezza, scorgendogli in volto come
un grave contento, e una premura quasi impaziente, era per rimanere estatico con la bocca
aperta, se il cardinale non l'avesse subito svegliato da quella contemplazione,
domandandogli se, tra i parrochi radunati lì, si trovasse quello di ***.
- C'è, monsignore illustrissimo, -
rispose il cappellano.
- Fatelo venir subito, - disse
Federigo, - e con lui il parroco qui della chiesa.
Il cappellano uscì, e andò nella
stanza dov'eran que' preti riuniti: tutti gli occhi si rivolsero a lui. Lui, con la bocca
tuttavia aperta, col viso ancor tutto dipinto di quell'estasi, alzando le mani, e
movendole per aria, disse: - signori! signori! haec mutatio dexterae Excelsi -. E
stette un momento senza dir altro. Poi, ripreso il tono e la voce della carica, soggiunse:
- sua signoria illustrissima e reverendissima vuole il signor curato della parrocchia, e
il signor curato di ***.
Il primo chiamato venne subito
avanti, e nello stesso tempo, uscì di mezzo alla folla un: - io? - strascicato, con
un'intonazione di maraviglia.
- Non è lei il signor curato di
***? - riprese il cappellano.
- Per l'appunto; ma...
- Sua signoria illustrissima e
reverendissima vuol lei.
- Me? - disse ancora quella voce,
significando chiaramente in quel monosillabo: come ci posso entrar io? Ma questa volta,
insieme con la voce, venne fuori l'uomo, don Abbondio in persona, con un passo forzato, e
con un viso tra l'attonito e il disgustato. Il cappellano gli fece un cenno con la mano,
che voleva dire: a noi, andiamo; ci vuol tanto? E precedendo i due curati, andò
all'uscio, l'aprì, e gl'introdusse.
Il cardinale lasciò andar la mano
dell'innominato, col quale intanto aveva concertato quello che dovevan fare; si discostò
un poco, e chiamò con un cenno il curato della chiesa. Gli disse in succinto di che si
trattava; e se saprebbe trovar subito una buona donna che volesse andare in una lettiga al
castello, a prender Lucia: una donna di cuore e di testa, da sapersi ben governare in una
spedizione così nuova, e usar le maniere più a proposito, trovar le parole più
adattate, a rincorare, a tranquillizzare quella poverina, a cui, dopo tante angosce, e in
tanto turbamento, la liberazione stessa poteva metter nell'animo una nuova confusione.
Pensato un momento, il curato disse che aveva la persona a proposito, e uscì. Il
cardinale chiamò con un altro cenno il cappellano, al quale ordinò che facesse preparare
subito la lettiga e i lettighieri, e sellare due mule. Uscito anche il cappellano, si
voltò a don Abbondio.
Questo, che già gli era vicino, per
tenersi lontano da quell'altro signore, e che intanto dava un'occhiatina di sotto in su
ora all'uno ora all'altro, seguitando a almanaccar tra sé che cosa mai potesse essere
tutto quel rigirìo, s'accostò di più, fece una riverenza, e disse: - m'hanno
significato che vossignoria illustrissima mi voleva me; ma io credo che abbiano sbagliato.
- Non hanno sbagliato, - rispose
Federigo: - ho una buona nuova da darvi, e un consolante, un soavissimo incarico. Una
vostra parrocchiana, che avrete pianta per ismarrita, Lucia Mondella, è ritrovata, è qui
vicino, in casa di questo mio caro amico; e voi anderete ora con lui, e con una donna che
il signor curato di qui è andato a cercare, anderete, dico, a prendere quella vostra
creatura, e l'accompagnerete qui.
Don Abbondio fece di tutto per
nascondere la noia, che dico? l'affanno e l'amaritudine che gli dava una tale proposta, o
comando che fosse; e non essendo più a tempo a sciogliere e a scomporre un versaccio già
formato sulla sua faccia, lo nascose, chinando profondamente la testa, in segno
d'ubbidienza. E non l'alzò che per fare un altro profondo inchino all'innominato, con
un'occhiata pietosa che diceva: sono nelle vostre mani: abbiate misericordia: parcere
subjectis.
Gli domandò poi il cardinale, che
parenti avesse Lucia.
- Di stretti, e con cui viva, o
vivesse, non ha che la madre, - rispose don Abbondio.
- E questa si trova al suo paese?
- Monsignor, sì.
- Giacché, - riprese Federigo, -
quella povera giovine non potrà esser così presto restituita a casa sua, le sarà una
gran consolazione di veder subito la madre: quindi, se il signor curato di qui non torna
prima ch'io vada in chiesa, fatemi voi il piacere di dirgli che trovi un baroccio o una
cavalcatura; e spedisca un uomo di giudizio a cercar quella donna, per condurla qui.
- E se andassi io? - disse don
Abbondio.
- No, no, voi: v'ho già pregato
d'altro, - rispose il cardinale.
- Dicevo, - replicò don Abbondio, -
per disporre quella povera madre. È una donna molto sensitiva; e ci vuole uno che la
conosca, e la sappia prendere per il suo verso, per non farle male in vece di bene.
- E per questo, vi prego d'avvertire
il signor curato che scelga un uomo di proposito: voi siete molto più necessario altrove,
- rispose il cardinale. E avrebbe voluto dire: quella povera giovine ha molto più bisogno
di veder subito una faccia conosciuta, una persona sicura, in quel castello, dopo tant'ore
di spasimo, e in una terribile oscurità dell'avvenire. Ma questa non era ragione da dirsi
così chiaramente davanti a quel terzo. Parve però strano al cardinale che don Abbondio
non l'avesse intesa per aria, anzi pensata da sé; e così fuor di luogo gli parve la
proposta e l'insistenza, che pensò doverci esser sotto qualche cosa. Lo guardò in viso,
e vi scoprì facilmente la paura di viaggiare con quell'uomo tremendo, d'andare in quella
casa, anche per pochi momenti. Volendo quindi dissipare affatto quell'ombre codarde, e non
piacendogli di tirare in disparte il curato e di bisbigliar con lui in segreto, mentre il
suo nuovo amico era lì in terzo, pensò che il mezzo più opportuno era di far ciò che
avrebbe fatto anche senza questo motivo, parlare all'innominato medesimo; e dalle sue
risposte don Abbondio intenderebbe finalmente che quello non era più uomo da averne
paura. S'avvicinò dunque all'innominato, e con quell'aria di spontanea confidenza, che si
trova in una nuova e potente affezione, come in un'antica intrinsichezza, - non crediate,
- gli disse, - ch'io mi contenti di questa visita per oggi. Voi tornerete, n'è vero? in
compagnia di questo ecclesiastico dabbene?
- S'io torneerò? - rispose
l'innominato: - quando voi mi rifiutaste, rimarrei ostinato alla vostra porta, come il
povero. Ho bisogno di parlarvi! ho bisogno di sentirvi, di vedervi! ho bisogno di voi!
Federigo gli prese la mano, gliela
strinse, e disse: - favorirete dunque di restare a desinare con noi. V'aspetto. Intanto,
io vo a pregare, e a render grazie col popolo; e voi a cogliere i primi frutti della
misericordia.
Don Abbondio, a quelle
dimostrazioni, stava come un ragazzo pauroso, che veda uno accarezzar con sicurezza un suo
cagnaccio grosso, rabbuffato, con gli occhi rossi, con un nomaccio famoso per morsi e per
ispaventi, e senta dire al padrone che il suo cane è un buon bestione, quieto, quieto:
guarda il padrone, e non contraddice né approva; guarda il cane, e non ardisce
accostarglisi, per timore che il buon bestione non gli mostri i denti, fosse anche per
fargli le feste; non ardisce allontanarsi, per non farsi scorgere; e dice in cuor suo: oh
se fossi a casa mia!
Al cardinale, che s'era mosso per
uscire, tenendo sempre per la mano e conducendo seco l'innominato, diede di nuovo
nell'occhio il pover'uomo, che rimaneva indietro, mortificato, malcontento, facendo il
muso senza volerlo. E pensando che forse quel dispiacere gli potesse anche venire dal
parergli d'esser trascurato, e come lasciato in un canto, tanto più in paragone d'un
facinoroso così ben accolto, così accarezzato, se gli voltò nel passare, si fermò un
momento, e con un sorriso amorevole, gli disse: - signor curato, voi siete sempre con me
nella casa del nostro buon Padre; ma questo... questo perierat, et inventus est.
- Oh quanto me ne rallegro! - disse
don Abbondio, facendo una gran riverenza a tutt'e due in comune.
L'arcivescovo andò avanti, spinse
l'uscio, che fu subito spalancato di fuori da due servitori, che stavano uno di qua e uno
di là: e la mirabile coppia apparve agli sguardi bramosi del clero raccolto nella stanza.
Si videro que' due volti sui quali era dipinta una commozione diversa, ma ugualmente
profonda; una tenerezza riconoscente, un'umile gioia nell'aspetto venerabile di Federigo;
in quello dell'innominato, una confusione temperata di conforto, un nuovo pudore, una
compunzione, dalla quale però traspariva tuttavia il vigore di quella selvaggia e
risentita natura. E si seppe poi, che a più d'uno de' riguardanti era allora venuto in
mente quel detto d'Isaia: il lupo e l'agnello andranno ad un pascolo; il leone e il bue
mangeranno insieme lo strame. Dietro veniva don Abbondio, a cui nessuno badò.
Quando furono nel mezzo della
stanza, entrò dall'altra parte l'aiutante di camera del cardinale, e gli s'accostò, per
dirgli che aveva eseguiti gli ordini comunicatigli dal cappellano; che la lettiga e le due
mule eran preparate, e s'aspettava soltanto la donna che il curato avrebbe condotta. Il
cardinale gli disse che, appena arrivato questo, lo facesse parlar subito con don
Abbondio: e tutto poi fosse agli ordini di questo e dell'innominato; al quale strinse di
nuovo la mano, in atto di commiato, dicendo: - v'aspetto -. Si voltò a salutar don
Abbondio, e s'avviò dalla parte che conduceva alla chiesa. Il clero gli andò dietro, tra
in folla e in processione: i due compagni di viaggio rimasero soli nella stanza.
Stava l'innominato tutto raccolto in
sé, pensieroso, impaziente che venisse il momento d'andare a levar di pene e di carcere
la sua Lucia: sua ora in un senso così diverso da quello che lo fosse il giorno avanti: e
il suo viso esprimeva un'agitazione concentrata, che all'occhio ombroso di don Abbondio
poteva facilmente parere qualcosa di peggio. Lo sogguardava, avrebbe voluto attaccare un
discorso amichevole; ma, «cosa devo dirgli? - pensava: - devo dirgli ancora: mi rallegro?
Mi rallegro di che? che essendo stato finora un demonio, vi siate finalmente risoluto di
diventare un galantuomo come gli altri? Bel complimento! Eh eh eh! in qualunque maniera io
le rigiri, le congratulazioni non vorrebbero dir altro che questo. E se sarà poi vero che
sia diventato galantuomo: così a un tratto! Delle dimostrazioni se ne fanno tante a
questo mondo, e per tante cagioni! Che so io, alle volte? E intanto mi tocca a andar con
lui! in quel castello! Oh che storia! che storia! che storia! Chi me l'avesse detto
stamattina! Ah, se posso uscirne a salvamento, m'ha da sentire la signora Perpetua,
d'avermi cacciato qui per forza, quando non c'era necessità, fuor della mia pieve: e che
tutti i parrochi d'intorno accorrevano, anche più da lontano; e che non bisognava stare
indietro; e che questo, e che quest'altro; e imbarcarmi in un affare di questa sorte! Oh
povero me! Eppure qualcosa bisognerà dirgli a costui». E pensa e ripensa, aveva trovato
che gli avrebbe potuto dire: non mi sarei mai aspettato questa fortuna d'incontrarmi in
una così rispettabile compagnia; e stava per aprir bocca, quando entrò l'aiutante di
camera, col curato del paese, il quale annunziò che la donna era pronta nella lettiga; e
poi si voltò a don Abbondio, per ricevere da lui l'altra commissione del cardinale. Don
Abbondio se ne sbrigò come poté, in quella confusione di mente; e accostatosi poi
all'aiutante, gli disse: - mi dia almeno una bestia quieta; perché, dico la verità, sono
un povero cavalcatore.
- Si figuri, - rispose l'aiutante,
con un mezzo sogghigno: - è la mula del segretario, che è un letterato.
- Basta... - replicò don Abbondio,
e continuò pensando: «il cielo me la mandi buona».
Il signore s'era incamminato di
corsa, al primo avviso: arrivato all'uscio, s'accorse di don Abbondio, ch'era rimasto
indietro. Si fermò ad aspettarlo; e quando questo arrivò frettoloso, in aria di chieder
perdono, l'inchinò, e lo fece passare avanti, con un atto cortese e umile: cosa che
raccomodò alquanto lo stomaco al povero tribolato. Ma appena messo piede nel cortiletto,
vide un'altra novità che gli guastò quella poca consolazione; vide l'innominato andar
verso un canto, prender per la canna, con una mano, la sua carabina, poi per la cigna con
l'altra, e, con un movimento spedito, come se facesse l'esercizio, mettersela ad
armacollo.
«Ohi! ohi! ohi! - pensò don
Abbondio: - cosa vuol farne di quell'ordigno, costui? Bel cilizio, bella disciplina da
convertito! E se gli salta qualche grillo? Oh che spedizione! oh che spedizione!»
Se quel signore avesse potuto appena
sospettare che razza di pensieri passavano per la testa al suo compagno, non si può dire
cosa avrebbe fatto per rassicurarlo; ma era lontano le mille miglia da un tal sospetto; e
don Abbondio stava attento a non far nessun atto che significasse chiaramente: non mi fido
di vossignoria. Arrivati all'uscio di strada, trovarono le due cavalcature in ordine:
l'innominato saltò su quella che gli fu presentata da un palafreniere.
- Vizi non ne ha? - disse
all'aiutante di camera don Abbondio, rimettendo in terra il piede, che aveva già alzato
verso la staffa.
- Vada pur su di buon animo: è un
agnello -. Don Abbondio, arrampicandosi alla sella, sorretto dall'aiutante, su, su, su, è
a cavallo.
La lettiga, ch'era innanzi qualche
passo, portata da due mule, si mosse, a una voce del lettighiero; e la comitiva partì.
Si doveva passar davanti alla chiesa
piena zeppa di popolo, per una piazzetta piena anch'essa d'altro popolo del paese e
forestieri, che non avevan potuto entrare in quella. Già la gran nuova era corsa; e
all'apparir della comitiva, all'apparir di quell'uomo, oggetto ancor poche ore prima di
terrore e d'esecrazione, ora di lieta maraviglia, s'alzò nella folla un mormorìo quasi
d'applauso; e facendo largo, si faceva insieme alle spinte, per vederlo da vicino. La
lettiga passò, l'innominato passò; e davanti alla porta spalancata della chiesa, si
levò il cappello, e chinò quella fronte tanto temuta, fin sulla criniera della mula, tra
il susurro di cento voci che dicevano: Dio la benedica! Don Abbondio si levò anche lui il
cappello, si chinò, si raccomandò al cielo; ma sentendo il concerto solenne de' suoi
confratelli che cantavano a distesa, provò un'invidia, una mesta tenerezza, un
accoramento tale, che durò fatica a tener le lacrime.
Fuori poi dell'abitato, nell'aperta
campagna, negli andirivieni talvolta affatto deserti della strada, un velo più nero si
stese sui suoi pensieri. Altro oggetto non aveva su cui riposar con fiducia lo sguardo,
che il lettighiero, il quale, essendo al servizio del cardinale, doveva essere certamente
un uomo dabbene, e insieme non aveva aria d'imbelle. Ogni tanto, comparivano viandanti,
anche a comitive, che accorrevano per vedere il cardinale; ed era un ristoro per don
Abbondio; ma passeggiero, ma s'andava verso quella valle tremenda, dove non
s'incontrerebbe che sudditi dell'amico: e che sudditi! Con l'amico avrebbe desiderato ora
più che mai d'entrare in discorso, tanto per tastarlo sempre più, come per tenerlo in
buona; ma vedendolo così soprappensiero, gliene passava la voglia. Dovette dunque parlar
con se stesso; ed ecco una parte di ciò che il pover'uomo si disse in quel tragitto:
ché, a scriver tutto, ci sarebbe da farne un libro.
«È un gran dire che tanto i santi
come i birboni gli abbiano a aver l'argento vivo addosso, e non si contentino d'esser
sempre in moto loro, ma voglian tirare in ballo, se potessero, tutto il genere umano; e
che i più faccendoni mi devan proprio venire a cercar me, che non cerco nessuno, e
tirarmi per i capelli ne' loro affari: io che non chiedo altro che d'esser lasciato
vivere! Quel matto birbone di don Rodrigo! Cosa gli mancherebbe per esser l'uomo il più
felice di questo mondo, se avesse appena un pochino di giudizio? Lui ricco, lui giovine,
lui rispettato, lui corteggiato: gli dà noia il bene stare; e bisogna che vada accattando
guai per sé e per gli altri. Potrebbe far l'arte di Michelaccio; no signore: vuol fare il
mestiere di molestar le femmine: il più pazzo, il più ladro, il più arrabbiato mestiere
di questo mondo; potrebbe andare in paradiso in carrozza, e vuol andare a casa del diavolo
a piè zoppo. E costui...!» E qui lo guardava, come se avesse sospetto che quel costui
sentisse i suoi pensieri, «costui, dopo aver messo sottosopra il mondo con le
scelleratezze, ora lo mette sottosopra con la conversione... se sarà vero. Intanto tocca
a me a farne l'esperienza!... È finita: quando son nati con quella smania in corpo,
bisogna che faccian sempre fracasso. Ci vuol tanto a fare il galantuomo tutta la vita,
com'ho fatt'io? No signore: si deve squartare, ammazzare, fare il diavolo... oh povero
me!... e poi uno scompiglio, anche per far penitenza. La penitenza, quando s'ha buona
volontà, si può farla a casa sua, quietamente, senza tant'apparato, senza dar
tant'incomodo al prossimo. E sua signoria illustrissima, subito subito, a braccia aperte,
caro amico, amico caro; stare a tutto quel che gli dice costui, come se l'avesse visto far
miracoli; e prendere addirittura una risoluzione, mettercisi dentro con le mani e co'
piedi, presto di qua, presto di là: a casa mia si chiama precipitazione. E senza avere
una minima caparra, dargli in mano un povero curato! questo si chiama giocare un uomo a
pari e caffo. Un vescovo santo, com'è lui, de' curati dovrebbe esserne geloso, come della
pupilla degli occhi suoi. Un pochino di flemma, un pochino di prudenza, un pochino di
carità, mi pare che possa stare anche con la santità... E se fosse tutto un'apparenza?
Chi può conoscer tutti i fini degli uomini? e dico degli uomini come costui? A pensare
che mi tocca a andar con lui, a casa sua! Ci può esser sotto qualche diavolo: oh povero
me! è meglio non ci pensare. Che imbroglio è questo di Lucia? Che ci fosse un'intesa con
don Rodrigo? che gente! ma almeno la cosa sarebbe chiara. Ma come l'ha avuta nell'unghie
costui? Chi lo sa? È tutto un segreto con monsignore: e a me che mi fanno trottare in
questa maniera, non si dice nulla. Io non mi curo di sapere i fatti degli altri; ma quando
uno ci ha a metter la pelle, ha anche ragione di sapere. Se fosse proprio per andare a
prendere quella povera creatura, pazienza! Benché, poteva ben condurla con sé
addirittura. E poi, se è così convertito, se è diventato un santo padre, che bisogno
c'era di me? Oh che caos! Basta; voglia il cielo che la sia così: sarà stato un incomodo
grosso, ma pazienza! Sarò contento anche per quella povera Lucia: anche lei deve averla
scampata grossa; sa il cielo cos'ha patito: la compatisco; ma è nata per la mia rovina...
Almeno potessi vedergli proprio in cuore a costui, come la pensa. Chi lo può conoscere?
Ecco lì, ora pare sant'Antonio nel deserto; ora pare Oloferne in persona. Oh povero me!
povero me! Basta: il cielo è in obbligo d'aiutarmi, perché non mi ci son messo io di mio
capriccio».
Infatti, sul volto dell'innominato
si vedevano, per dir così, passare i pensieri, come, in un'ora burrascosa, le nuvole
trascorrono dinanzi alla faccia del sole, alternando ogni momento una luce arrabbiata e un
freddo buio. L'animo, ancor tutto inebriato dalle soavi parole di Federigo, e come rifatto
e ringiovanito nella nuova vita, s'elevava a quell'idee di misericordia, di perdono e
d'amore; poi ricadeva sotto il peso del terribile passato. Correva con ansietà a cercare
quali fossero le iniquità riparabili, cosa si potesse troncare a mezzo, quali i rimedi
più espedienti e più sicuri, come scioglier tanti nodi, che fare di tanti complici: era
uno sbalordimento a pensarci. A quella stessa spedizione, ch'era la più facile e così
vicina al termine, andava con un'impazienza mista d'angoscia, pensando che intanto quella
creatura pativa, Dio sa quanto, e che lui, il quale pure si struggeva di liberarla, era
lui che la teneva intanto a patire. Dove c'eran due strade, il lettighiero si voltava, per
saper quale dovesse prendere: l'innominato gliel'indicava con la mano, e insieme accennava
di far presto.
Entrano nella valle. Come stava
allora il povero don Abbondio! Quella valle famosa, della quale aveva sentito raccontar
tante storie orribili, esserci dentro: que' famosi uomini, il fiore della braveria
d'Italia, quegli uomini senza paura e senza misericordia, vederli in carne e in ossa;
incontrarne uno o due o tre a ogni voltata di strada. Si chinavano sommessamente al
signore; ma certi visi abbronzati! certi baffi irti! certi occhiacci, che a don Abbondio
pareva che volessero dire: fargli la festa a quel prete? A segno che, in un punto di somma
costernazione, gli venne detto tra sé: «gli avessi maritati! non mi poteva accader di
peggio». Intanto s'andava avanti per un sentiero sassoso, lungo il torrente: al di là
quel prospetto di balze aspre, scure, disabitate; al di qua quella popolazione da far
parer desiderabile ogni deserto: Dante non istava peggio nel mezzo di Malebolge.
Passan davanti la Malanotte;
bravacci sull'uscio, inchini al signore, occhiate al suo compagno e alla lettiga. Coloro
non sapevan cosa si pensare: già la partenza dell'innominato solo, la mattina, aveva
dello straordinario; il ritorno non lo era meno. Era una preda che conduceva? E come
l'aveva fatta da sé? E come una lettiga forestiera? E di chi poteva esser quella livrea?
Guardavano, guardavano, ma nessuno si moveva, perché questo era l'ordine che il padrone
dava loro con dell'occhiate.
Fanno la salita, sono in cima. I
bravi che si trovan sulla spianata e sulla porta, si ritirano di qua e di là, per
lasciare il passo libero: l'innominato fa segno che non si movan di più; sprona, e passa
davanti alla lettiga; accenna al lettighiero e a don Abbondio che lo seguano; entra in un
primo cortile, da quello in un secondo; va verso un usciolino, fa stare indietro con un
gesto un bravo che accorreva per tenergli la staffa, e gli dice: - tu sta' costì, e non
venga nessuno -. Smonta, lega in fretta la mula a un'inferriata, va alla lettiga,
s'accosta alla donna, che aveva tirata la tendina, e le dice sottovoce: - consolatela
subito; fatele subito capire che è libera, in mano d'amici. Dio ve ne renderà merito -.
Poi fa cenno al lettighiero, che apra; poi s'avvicina a don Abbondio, e, con un sembiante
così sereno come questo non gliel aveva ancor visto, né credeva che lo potesse avere,
con dipintavi la gioia dell'opera buona che finalmente stava per compire, gli dice, ancora
sotto voce: - signor curato, non le chiedo scusa dell'incomodo che ha per cagion mia: lei
lo fa per Uno che paga bene, e per questa sua poverina -. Ciò detto, prende con una mano
il morso, con l'altra la staffa, per aiutar don Abbondio a scendere.
Quel volto, quelle parole,
quell'atto, gli avevan dato la vita. Mise un sospiro, che da un'ora gli s'aggirava dentro,
senza mai trovar l'uscita; si chinò verso l'innominato, rispose a voce bassa bassa: - le
pare? Ma, ma, ma, ma,...! - e sdrucciolò alla meglio dalla sua cavalcatura. L'innominato
legò anche quella, e detto al lettighiero che stesse lì a aspettare, si levò una chiave
di tasca, aprì l'uscio, entrò, fece entrare il curato e la donna, s'avviò davanti a
loro alla scaletta; e tutt'e tre salirono in silenzio.
© 1997 - prof. Giuseppe Bonghi
E-mail: Giuseppe.Bonghi@fausernet.novara.it
Ultimo aggiornamento: 15 novembre 2000