Alessandro Manzoni
Il Conte di Carmagnola
Atto Quarto
Personaggi storici | Il Conte di Carmagnola |
Antonietta Visconti, sua moglie. | |
Una loro figlia, a cui nella tragedia si è attribuito il nome di Matilde. | |
Francesco Foscari, Doge di Venezia. | |
Condottieri al soldo dei Veneziani | Giovanni Francesco Gonzaga. |
Paolo Francesco Orsini. | |
Nicolò da Tolentino. | |
Condottieri al soldo del Duca di Milano | Carlo Malatesti. |
Angelo della Pergola. | |
Guido Torello. | |
Nicolò da Piccinino, a cui nella tragedia si è attribuito il cognome di Fortebraccio. | |
Francesco Sforza. | |
Pergola, figlio | |
Personaggi ideali | Marco, Senatore veneziano. |
Marino, uno dei Capi del Consiglio dei Dieci. | |
Primo commissario veneto nel campo. | |
Secondo commissario. | |
Un soldato del Conte. | |
Un soldato progioniero. | |
Senatori, Condottieri, Soldati, Prigioni, Guardie. |
Atto quarto
Scena prima
Sala dei Capi del Consiglio dei
Dieci, in Venezia.
Marco Senatore, e Marino uno dei Capi.
MARCO | Eccomi al cenno degli
eccelsi Capi Del Consiglio dei Dieci. |
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MARINO |
Io parlo in nome Di tutti lor. Vi si destina un grave Incarco, fuor di qui: se un argomento Di confidenza questo fia... la vostra Coscienza il diravvi. |
5 |
MARCO |
Ella mi dice Che scarsa al merto ed all'ingegno mio Dee la patria concederla, ma intera Alla fede ed al cor. |
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MARINO |
La patria! È un nome Dolce a chi l'ama oltre ogni cosa, e sente Di vivere per lei; ma proferirlo Senza tremar non dee chi resta amico De' suoi nemici. |
10 |
MARCO | Ed io... | |
MARINO |
Per chi parlaste Oggi in Senato? Per la patria? I vostri Sdegni, i vostri terrori eran per lei? Chi vi rendea sì caldo? Il suo periglio, O il periglio di chi? Chi difendeste... Voi solo? |
15 |
MARCO |
Io so davanti a chi mi trovo. Sta la mia vita in vostra man, ma il mio Voto non già: giudice ei non conosce Fuor che il mio cor; né d'altro esser può reo Che d'avergli mentito. A darne conto Pur disposto son io. |
20 |
MARINO |
Tutto che puote Por la patria in periglio, essere inciampo All'alte mire sue, dargli sospetto, È in nostra man. Perché ci siate or voi Se nol sapete, se mostrar vi giova Di non saperlo, uditelo. Per ora D'oggi si parli; non vogliam di tutta La vostra vita interrogar che un giorno. |
25 30 |
MARCO | E che? fors'altro mi si
appon? Di nulla Temer poss'io; la mia condotta... |
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MARINO |
È nota Piú a noi che a voi. Dalla memoria vostra Forse assai cose ha cancellato il tempo: - Il nostro libro non obblia. |
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MARCO |
Di tutto Ragion darò. |
35 |
MARINO |
Voi la darete quando Vi fia chiesta. Non piú.- Quando il Senato Diede il comando al Carmagnola, a molti Era sospetta la sua fede; ad altri Certa parea: potea parerlo allora. - Ei discioglie i prigioni, insulta i nostri Mandati, i nostri pari; ha vinto, e perde In perfid'ozio la vittoria. Il velo Cade dal ciglio ai piú. - Nel suo soccorso Troppo fidando il Trevisan s'innoltra Nel Po, le navi del nemico affronta; Sopraffatto dal numero, richiede Al Capitan rinforzo, e non l'ottiene. Freme il Senato; poche voci appena S'alzano ancor per lui. - Cremona è presa, Basta sol ch'ei v'accorra; ei non v'accorre. Giunge l'annunzio oggi al Senato. - Alfine Piú non gli resta difensor che un solo: Solo, ma caldo difensor. Per lui Innocente è costui, degno di lode Piú che di scusa; e se vi fu sventura, Colpa è soltanto del destino e nostra. - Non è giustizia che il persegue: è solo Odio privato, è invidia, è basso orgoglio Che non perdona al sommo a chi tacendo Grida coi fatti: io son maggior di voi. - Certo inaudito è un tal linguaggio: i Padri Nel lor Senato oggi l'udiro; e muti Si volsero a guardar donde tal voce Venia, se uno straniero oggi, un nemico Premere un seggio nel Senato ardia. - Chiarito è il Conte un traditor; si vuole Torgli ogni via di nuocere. Ma l'arte Tanta e l'audacia è di costui, che reso Ei s'è tremendo a' suoi Signori; è forte Di quella forza che gli abbiam fidata; Egli ha il cor de' soldati; e l'armi nostre, Quando voglia, son sue; contro di noi Volger le puote, e il vuol. Certo è follia Aspettar che lo tenti; ognun risolve Ch'ei si prevenga, e tosto. A forza aperta È impresa piena di perigli. E noi Starem per questo? E il suo maggior delitto Sarà cagion perché impunito ei vada? Sola una strada alla giustizia è schiusa, L'arte con cui l'ingannator s'inganna. Ei ci astrinse a tenerla; ebben, si tenga: Questo è il voto comun.- Che fece allora L'amico di costui? Ve ne rammenta? Io vel dirò; ché men tranquillo al certo Era in quel punto il vostro cor, dell'occhio Che imperturbato vi seguia. Perdeste Ogni ritegno, oltrepassaste il largo Confin che un resto di prudenza avea Prescritto al vostro ardor, dimenticaste Ciò che promesso v'eravate intero Ai men veggenti vi svelaste, a quelli Cui parea novo ciò che a noi non l'era. Ognuno allor pensò ch'oggi in Senato V'era un uom di soverchio, e che bisogna Porre il segreto dello Stato in salvo. |
40 45 50 55 60 65 70 75 80 85 90 95 |
MARCO | Signor, tutto a voi lice.
Innanzi a voi Quel che ora io sia, non so; - però non posso Dimenticarmi che patrizio io sono; Né a voi tacer che un dubbio tal m'offende. Sono un di voi: la causa dello Stato È la mia causa; e il suo segreto importa A me non men che altrui. |
100 |
MARCO |
Volete alfine Saper chi siete qui? Voi siete un uomo Di cui si teme, un che lo Stato guarda Come un inciampo alla sua via. Mostrate Che nol sarete;- il darvene agio ancora È gran clemenza. |
105 |
MARCO |
Io sono amico al Conte: Questa è l'accusa mia; nol nego, io il sono: E il ciel ringrazio che vigor mi ha dato Di confessarlo qui. Ma se nemico È della patria: mi si provi, è il mio. Che gli si appone? I prigionier disciolti? - Non li disciolse il vincitor soldato? - Ma invan pregato il condottier non volle Frenar questa licenza. - Il potea forse? - Ma l'imitò. Non ve lo astrinse un uso, Qual ch'ei sia, della guerra? ed al Senato Vera non parve questa scusa? E largo D'ogni onor poscia non gli fu? - L'ajuto Al Trevisan negato? - Era piú grave Periglio il darlo; era l'impresa ordita Ignaro il Conte; ei non fu chiesto in tempo. E la sentenza che a sì turpe esiglio Il Trevisan dannò, tutta la colpa Non rovesciò sovra di lui? - Cremona? - Chi di Cremona meditò l'acquisto? Chi l'ordin die' che si tentasse? Il Conte. Del popol tutto che a romor si leva Non può scarso drappel l'inaspettato Impeto sostener; ritorna al campo, Non scemo pur d'un combattente. Al Duce Buon consiglio non parve incontro un novo Impensato nemico avventurarsi; E abbandonò l'impresa. Ella è, fra tante Sì ben compiute, una fallita impresa. Ma il tradimento ov'è? - Fiero, oltraggioso Da gran tempo, voi dite, è il suo linguaggio; Un troppo lungo tollerar macchiato Ha l'onor nostro. - Ed un'insidia, il lava? E poi che un nodo - un dì sì caro - ormai Non può tener Venezia e il Carmagnola, Chi ci vieta disciorlo? Un'amistade Sì nobilmente stretta, or non potria Nobilmente finir? Come! anche in questo Un periglio si scorge! Il genio ardito Del condottier, la fama sua si teme, De' soldati l'amor! Se render piena Testimonianza al ver colpa si stima; Se a tal trista temenza oppor non lice La lealtà del Conte; il senso almeno Del nostro onor la scacci. Abbiam di noi Un piú degno concetto; e non si creda Che a tal Venezia giunta sia, che possa Porla in periglio un uom. Lasciam codeste Cure ai tiranni: ivi il valor si tema Ove lo scettro è in una mano, e basta A strapparlo un guerrier che dica: io sono Piú degno di tenerlo, - e a' suoi compagni Il persuada. Ei che tentar potria? - Al Duca ritornar, dicesi, e seco Le schiere trar nel tradimento - Al Duca? All'uom che un'onta non perdona mai, Né un gran servigio, ritornar colui Che gli compose e che gli scosse il trono? Chi non poté restargli amico in tempo Che pugnava per lui, ridivenirlo Dopo averlo sconfitto! Avvicinarsi A quella man che in questo asilo istesso Comprò un pugnal per trapassargli il petto! L'odio solo, Signor, creder lo puote. Ah! qual sia la cagion che innanzi a questo Temuto seggio fa trovarmi, un'alta Grazia mi fia, se fare intender posso Anco una volta il ver: qualche lusinga Io nutro ancor che non fia forse invano. Sì, l'odio cieco, l'odio sol potea Far che fosse in Senato un tal sospetto Proposto, inteso, tollerato. Ha molti Fra noi nemici il Conte: or non ricerco Perché lo sièno: - il son. Quando nascoste All'ombra della pubblica vendetta, Le nimistà private io disvelai; Quando chiedea che a provveder s'avesse L'util soltanto dello Stato, e il giusto; Allora ufficio io non facea d'amico, Ma di fedel patrizio. Io già non scuso Il mio parlar: quando proporre intesi Che sotto il vel di consultarlo ei sia Richiamato a Venezia, e gli si faccia Onor piú dell'usato, e tutto questo Per tirarlo nel laccio... allor, nol nego... |
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MARINO | Piú non pensaste che all'amico. | |
MARCO |
Allora, Dissimular nol vuo', tutte io sentii Le potenze dell'alma sollevarsi Contro un consiglio... ah fu seguito! ... un solo Pensier non fu; fu della patria mia L'onor ch'io vedo vilipeso, il grido Dei nemici e dei posteri; fu il primo Senso d'orror che un tradimento inspira All'uom che dee stornarlo, o starne a parte. E se pietà d'un prode a tanti affetti Pur si mischiò, dovea, poteva io forse Farla tacer? Son reo d'aver creduto Ch' util puote a Venezia esser soltanto Ciò che l'onora; che si può salvarla Senza farsi... |
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MARINO | Non piú: se tanto udii Fu perché ai Capi del Consiglio importa Di conoscervi appien. Piacque aspettarvi Ai secondi pensier; veder si volle Se un piú maturo ponderar v'avea Tratto a piú saggio e piú civil consiglio. Or, poiché indarno si sperò, credete Voi che un decreto del Senato io voglia Difender ora innanzi a voi? Si tratta La vostra causa qui. Pensate a voi, Non alla patria: ad altre, e forti, e pure Mani è commessa la sua sorte; e nulla A cor le sta che il suo voler vi piaccia, Ma che s'adempia, e che non sia sofferto Pure il pensier di porvi impedimento. A questo vegliam noi. Quindi io non voglio Altro da voi che una risposta. Espresso Sovra quest'uomo è del Senato il voto; Compir si dèe. - Voi, che pensieri avete? |
210 215 220 225 |
MARCO | Quale inchiesta, Signor! | |
MARINO |
Voi siete a parte D'un gran disegno; e in vostro cor bramate Che a vuoto ei vada - non è ver? |
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MARCO |
Che importa Ciò ch'io brami, allo Stato? A prova ormai Sa che dell'opre mie non è misura Il desiderio, ma il dover. |
230 |
MARINO |
Qual pegno Abbiam da voi che lo farete? In nome Del Tribunale un ve ne chieggio: e questi, Se lo negate, un traditor vi tiene. Quel che si serba ai traditor, v'è noto. |
235 |
MARCO | Io... Che si vuol da me? | |
MARINO |
Riconoscete Che patria è questa a cui bastovvi il core Di preferire uno stranier. Sui figli A stento e tardi essa la mano aggrava; E a perderne soltanto ella consente Quei che salvar non puote. Ogni error vostro È pronta ad obbliar; v'apre ella stessa La strada al pentimento. |
240 |
MARCO |
Al pentimento! Ebben, che strada? |
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MARINO |
Il Musulman disegna D'assalir Tessalonica: voi siete Colà mandato. A quale ufficio, quivi Noto vi fia: pronta è la nave; ed oggi Voi partirete. |
245 |
MARCO | Ubbidirò. | |
MARINO |
Ma un'arra (gli presenta un foglio). Sottoscrivete. |
250
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MARCO | (legge). E che, Signor? Non basta?... |
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MARINO | E per ultimo, udite. Il
messo è in via Che porta al Conte il suo richiamo. Ov'egli Pronto ubbidisca, ed in Venezia arrivi, Giustizia troverà, forse clemenza. Ma se ricusa, s'egli indugia, o segno Dà di sospetto, un gran segreto udite, E serbatelo in voi; l'ordine è dato Che dalle nostre man vivo ei non esca. Il traditor che dargli un cenno ardisce, Quei l'uccide, e si perde. - Io piú non odo Nulla da voi: scrivete; ovvero... (gli porge il foglio). |
255 260
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MARCO | Io scrivo. (prende il foglio e lo sottoscrive). |
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MARINO | Tutto
è posto in obblio. La vostra fede (parte) |
265
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SCENA SECONDA
[Marco solo]
MARCO | Dunque
è deciso! ... un vil son io! ... fui posto (parte). |
270 275 280 285 290 295 300 305 310 315 320 325 330 335 340 345 350
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SCENA TERZA
Tenda del Conte.
Il Conte, e Gonzaga.
IL CONTE | Ebben, che raccogliesti? | |
GONZAGA |
Io favellai, Come imponesti, ai Commissarj; e chiaro Mostrai che tutta delle vinte navi Riman la colpa e la vergogna a lui Che non le seppe comandar; che infausta La giornata gli fu perché la imprese Senza di te; che tu da lui chiamato Tardi in soccorso, romper non dovevi I tuoi disegni per servir gli altrui; Che l'armi lor, tanto in tua man felici, Sempre il sarien, se questa guerra fosse Commessa al senno ed al voler d'un solo. |
355 360 |
IL CONTE | Che dicon essi? | |
GONZAGA |
Si mostrar convinti Ai detti miei: dissero in pria, che nulla Dissimular volean; che amaro al certo Dei perduti navigli era il pensiero, E di Cremona la fallita impresa: Ma che son lieti di saper che il fallo Di te non fu; che di chiunque ei sia, Da te l'ammenda aspettano. |
365 |
IL CONTE |
Tu il vedi, O mio Gonzaga; se dai fede al volgo Sommo riguardo, arte profonda è d'uopo Con questi uomin di Stato. Io fui con essi Quel ch'esser soglio; rigettai l'ingiuste Pretese lor, scender li feci alquanto Dall'alto seggio ove si pon chi avvezzo Non è a vedersi altri che schiavi intorno; Io mostrai lor fino a che segno io voglio Che altri Signor mi sia: d'allora in poi Mai varcato non l'hanno; io li provai Saggi sempre e cortesi. |
370 375 380 |
GONZAGA |
E non pertanto Dar consiglio ad alcuno io non vorrei Di tener questa via. - Te da gran tempo La gloria segue e la fortuna; ad essi Util tu sei, tu necessario e caro - Terribil forse: - e tu la prova hai vinta; Se pur può dirsi che sia vinta ancora. |
385 |
IL CONTE | Che dubbj hai tu? | |
GONZAGA |
Tu, che certezza? Io veggio Dolci sembianti, e dolci detti ascolto, Segni d'amor; ma pur, l'odio che teme Altri ne ha forse? |
390 |
IL CONTE |
No: di questo io nulla Sono in pensier. Troppo a regnar son usi, E san che all'uom da cui s'ottiene il molto Chieder non dèssi improntamente il meno. E poi - mi credi; io li guardai dappresso: Questa cupa arte lor, questi intricati Avvolgimenti di menzogna, questo Finger, tacere, antiveder, di cui Tanto li loda e li condanna il mondo, È meno assai di quel che al mondo appare. |
395 400 |
GONZAGA | Se pur non era di lor arte
il colmo Il parer tali a te. |
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IL CONTE |
No: tu li vedi Con l'occhio altrui: quando col tuo li veda, Tu cangerai pensiero. Havvene assai Di schietti e buoni; havvene tal che un'alta Anima chiude, a cui pensier non osa Avvicinarsi che gentil non sia: Anima dolce e disdegnosa, in cui Legger non puoi, che tu non sia compreso D'amor, di riverenza, e di desio Di somigliarle. - Non temer; non sono Di me scontenti; e quando il fosser mai, Io lo saprei ben tosto. |
405 410 |
GONZAGA |
Il Ciel non voglia Che tu t'inganni. |
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IL CONTE |
- Altro mi duol - son stanco Di questa guerra che condur non posso A modo mio. - Quand'io non era ancora Piú che un soldato di ventura, ascoso E perduto tra i mille, ed io sentia Che al loco mio non m'avea posto il cielo, E dell'oscurità l'aria affannosa Respirava fremendo ed il comando Sì bello mi parea, ... chi m'avria detto Che l'otterrei, che a gloriosi duci, E a tanti e così prodi e così fidi Soldati io sarei capo; e che felice Io non sarei perciò! ... (entra un Soldato). Che rechi? |
415 420 425
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SOLDATO |
Un foglio Di Venezia. (gli porge il foglio e parte). |
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IL CONTE | Veggiam. (legge).
Non tel diss'io? |
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GONZAGA | Io vengo. | 430 |
IL CONTE | Che dì' tu di tal pace? | |
GONZAGA |
Ad un soldato Tu lo domandi? |
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IL CONTE |
È ver. - Ma questa è guerra? - O mia consorte, o figlia mia, fra poco Io rivedrovvi, abbraccerò gli amici - Questo è contento al certo. - E pur del tutto Esser lieto non so - chi potria dirmi Se un sì bel campo io rivedrò piú mai? |
435 |
Fine dell'Atto quarto.
© 1998 - by prof. Giuseppe Bonghi
- E-mail: Giuseppe.Bonghi@mail.fausernet.novara.it
Ultimo aggiornamento: 02 gennaio 1999