Alessandro Manzoni

Il Conte di Carmagnola

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ATTO  SECONDO

Personaggi storici Il Conte di Carmagnola
Antonietta Visconti, sua moglie.
Una loro figlia, a cui nella tragedia si è attribuito il nome di Matilde.
Francesco Foscari, Doge di Venezia.
Condottieri al soldo dei Veneziani Giovanni Francesco Gonzaga.
Paolo Francesco Orsini.
Nicolò da Tolentino.
Condottieri al soldo del Duca di Milano Carlo Malatesti.
Angelo della Pergola.
Guido Torello.
Nicolò da Piccinino, a cui nella tragedia si è attribuito il cognome di Fortebraccio.
Francesco Sforza.
Pergola, figlio
Personaggi ideali

Marco, Senatore veneziano.

Marino, uno dei Capi del Consiglio dei Dieci.
Primo commissario veneto nel campo.
Secondo commissario.
Un soldato del Conte.
Un soldato progioniero.
Senatori, Condottieri, Soldati, Prigioni, Guardie.

Atto secondo

SCENA PRIMA

Parte del campo ducale con tende.
Malatesti e Pergola.

PERGOLA

Sì, condottier; come ordinaste, in pronto
Son le mie bande. A voi commise il Duca
L'arbitrio della guerra: io v'ho obbedito,
Ma con dolor: ve ne scongiuro ancora,
Non diam battaglia.

 
 
 
 
MALATESTI Anzian d'anni e di fama,
O Pergola, qui siete: io sento il peso
Del vostro voto; ma cangiar non posso
Il mio. Voi lo vedete, il Carmagnola
Ci provoca ogni dì: quasi ad insulto
Sugli occhi nostri alfin Maclodio ha stretto:
E due partiti ci rimangon soli;
O lui cacciarne - o abbandonar la terra
Che saria danno e scorno.
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PERGOLA                                          A pochi è dato,
A pochi egregi il dubitar di nuovo,
Quando han già detto: ella è così. S'io parlo
E' che tale vi tengo. Italia forse
Mai da' barbari in poi non vide a fronte
Due sì possenti eserciti: ma il nostro
L'ultimo sforzo è di Filippo. In ogni
Fatto di guerra entra fortuna, e sempre
Vuol la sua parte: chi nol sa? Ma quando
Ne va il tutto, o Signore, allor non vuolsi
Dargliene piú ch'ella non chiede. E questo
Esercito con cui tutto possiamo
Salvar, ma che perduto in una volta
Mai piú rifar non si potria, non dèssi
Come un dado gittarlo ad occhi chiusi,
Avventurarlo in un sì picciol campo,
E in un campo mal noto, e quel ch'è peggio
Noto al nemico. Ei qui ci trasse: un torto
Argin divide le due schiere: a destra
E a sinistra paludi, in esse sparsi
I suoi drappelli: e noi fuori dei nostri
Alloggiamenti non teniamo un palmo
Pur di terren. Credete ad un che l'arti
Conosce di costui, che ha combattuto
Al fianco suo: qui v'è un'insidia. Forse
La miglior via di guerreggiar quest'uomo
Saria tenerlo a bada, aspettar tempo,
Tanto che alcun dei duci ai quali è sopra
Pigliasse a noja il suo superbo impero,
E il fascio ch'egli or nella mano ha stretto
Si rallentasse alfin. Pur, se a giornata
Venir si debbe, non è questo il loco:
Usciam di qui, scegliamo un campo noi,
Tiriam quivi il nemico: ivi in un giorno,
Senza svantaggio almanco, si decida.
 
 
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MALATESTI Due grandi schiere a fronte stanno; e grande
Fia la battaglia: d'una tale appunto
Abbisogna Filippo. A questi estremi
A poco a poco ei venne, e coi consigli
Ch'or proponete. A trarnelo, fia d'uopo
Appigliarci agli opposti: il rischio vero
Sta nell'indugio, e nel mutare il campo
Rovina certa. Chi sappia dir quanto
Di nunero e di cor scemato ei fia,
Pria che si ponga altrove? Ora egli è quale
Bramar lo puote un capitan; con esso
Tutto lice tentar.
 
 
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SCENA SECONDA

Sforza, Fortebraccio e detti.

MALATESTI                              Ditelo, o Sforza,
E Fortebraccio; voi giungete in tempo:
Ditelo voi, come trovaste il campo?
Che possiamo sperarne?
 
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SFORZA                                        Ogni gran cosa.
Quando gli ordini udir, quando lor parve
Che una battaglia si prepari, io vidi
Un feroce tripudio: alla chiamata
Esultando venièno, e col sorriso
Si fean cenno a vicenda. E quando io corsi
Entro le file, ad ogni schiera un grido
S'alzava; ognuno in me fissando il guardo
Parea dicesse: o condottier, v'intendo.
 
 
 
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FORTEBRACCIO E tai son tutti: allor ch'io venni a' miei,
Tutti mi furo intorno. Un mi dicea:
Quando udremo le trombe? Altri: noi siamo
Stanchi d'esser beffati: e tutti in una
La battaglia chiedean, come già certi
Dell'ottenerla, e dubbj sol del quando.
Ebben, compagni, io rispondea, se il senno
Presto s'udrà, mi date voi parola
Di vincere con me? Gli elmi levati
Sull'aste, un grido universal d'assenso
Fu la parola, ond'io gioisco ancora.
E a tai soldati ci venia proposto
D'intimar la ritratta; ed alle mani,
Che già posate sulle spade aspettano
L'ordin di sguainarle e di ferire,
Si comandasse di levar le tende?
Chi fronte avria di presentarsi ad essi
Con tal ordine ormai?
 
 
 
 
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PERGOLA                                  Dal parlar vostro
Un nuovo modo di milizia imparo;
Che i soldati comandino, e che i duci
Obbediscano.
 
 
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FORTEBRACCIO O Pergola, i soldai
A cui capo son io, fur da quel Braccio
Disciplinati, che per tutto ancora
Con maraviglia e con terror si noma;
E non son usi a sostener gli scherni
Dell'inimico.
 
 
 
 
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PERGOLA

                     Ed io conduco genti
Da me, qual ch'io mi sia, disciplinate;
E sono avvezze ad aspettar la voce
Del condottiero, ed a fidarsi in lui.

 
 
 
MALATESTI Dimentichiamo or noi che numerati
Sono i momenti, e non ne resta alcuno
Per le gare private?
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SCENA TERZA

Torello e detti.

SFORZA                                   Ebben, Torello,
Siete mutato di parer? Vedeste
L'animo ardente de' soldati?
 
 
TORELLO                                            Il vidi;
Udii le grida, del furor, le grida
Della fiducia e del coraggio; e il viso
Rivolsi altrove, onde nessun dei prodi
Vi leggesse il pensier che mal mio grado
Vi si pingeva: - era il pensier che false
Son quelle gioje e brevi: era il pensiero
Del valor che si perde. Io cavalcai
Lungo tutta la fronte: io tesi il guardo,
Quanto lunge potei, rividi quelle
Macchie che sorgon qua e là dal suolo
Uliginoso che la via fiancheggia:
Là son gli agguati, il giurerei. Rividi
Quel doppio cinto di muniti carri,
Onde assiepato è del nemico il campo.
Se l'urto primo ei sostener non puote,
Ha una ritratta ove sfuggirlo e uscirne
Preparato al secondo. Un nuovo è questo
Trovato di costui, per torre ai suoi
Il pensier primo che s'affaccia ai vinti,
Il pensier della fuga. Ad atterrarlo
Due colpi è d'uopo: ei con un sol ne atterra.
Perché - non giova chiuder gli occhi al vero -
Non son piú quelle guerre, in cui pe' figli
E per le donne e per la patria terra
E per le leggi che la fan sì cara
Combatteva il soldato, in cui pensava
Il capitano a statuirgli un posto,
Egli a morirvi. A mercenarie genti
Noi comandiamo, in cui piú di leggeri
Trovi il furor che la costanza: e corrono
Volonterosi alla vittoria incontro.
Ma s'ella tarda, se son posti a lungo
Tra la fuga e la morte, ah! dubbia è troppo
La scelta di costoro. E questo evento
Piú che tutt'altro antiveder ci è forza. -
Vil tempo in cui tanto al comando cresce
Difficoltà, quanto la gloria scema!
Io lo ripeto, non è questo un campo
Di battaglia per noi.
 
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MALATESTI                                  Dunque?
TORELLO

                                                 Si muti.
Non siam pari al nemico; andiamo in luogo
Dove lo siam.

 
 
MALATESTI                        Così Maclodio a lui
Lascerem quasi in dono? I valorosi,
Che vi son chiusi, non potran tenersi
Piú che due giorni.
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TORELLO

                              Il so; ma non si tratta
Né d'un presidio qui, né d'una terra;
Trattasi dello Stato.

 
 
SFORZA                               E di che mai
Se non di terre si compon lo Stato
E quelle che indugiando, ad una ad una
Già lasciammo sfuggir, quante son elle?
Casal, Bina, Quinzano e... se vi piace
Noveratele voi, ché in tal pensiero
Troppo caldo io mi sento. Il nobil manto,
Che a noi fidato ha il Duca, a brano a brano
Soffriam così che in nostra man si scemi,
E che a lui messo omai da noi non giunga
Che una ritratta non gli annunzi. Intanto
Superbisce il nemico, e ai nostri indugi
Sfacciato insulta.
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TORELLO

                           E questo è segno, o Sforza,
Ch'ei brama una battaglia.

 
SFORZA                                          Oh, che puote
Bramar di piú che innanzi a sé cacciarne
Colla spada nel fodero?
 
 
PERGOLA                                       Che puote
Bramar di piú? Dirovvel'io: che noi
Tutto arrischiam l'esercito in un campo
Ov'egli ha preso ogni vantaggio. Or questo
Poniamo in salvo; ché le terre è lieve
Ripigliar con gli eserciti.
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FORTEBRACCIO                                      Con quali?
Non, per mia fé, con quelli a cui s'insegna
A diloggiar quando il nemico appare,
A non mirarlo in faccia, a lasciar soli
Nelle angosce i compagni; ma con genti
Quali or le abbiam d'ira e di scorno accese,
Impazienti di pugnar, con queste
Si riparan le perdite, e si vince.
Che dobbiamo aspettar? Brandi arrotati,
Perché lasciarli irrugginir?
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SFORZA                                         Torello,
Voi temete d'agguati? Anch'io dirovvi:
Non son piú quelle guerre, in cui minuti
Drappelletti movean, coll'occhio teso
Ogni macchia guatando, ogni rivolta.
Un'oste intera sopra un'oste intera
Oggi rovescerassi: un tanto stuolo
Si vince sì, ma non s'accerchia; ei spazza
Innanzi a sé gl'intoppi, e fin ch'è unito,
Dovunque sia, sul suo terreno è sempre.
 
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FORTEBRACCIO

(a Pergola e Torello)

Siete convinti?

 

 

TORELLO                         Sofferite...
MALATESTI                                           Io il sono.
Omai vano è piú dir. Certo io mi tengo
Che tutti andrete in operar d'accordo
Piú che non foste in divisar disgiunti.
Poi che un partito e l'altro ha il suo periglio,
Scegliamo almen quel che piú gloria ha seco.
Noi darem la battaglia: alla frontiera
Io mi pongo coi miei; Sforza vien dietro
E chiude la vanguardia; il mezzo tenga
Della battaglia Fortebraccio: e il nostro
Ufficio sia con impeto serrarci
Addosso il campo del nemico, aprirlo
E spingerci a Maclodio. Voi, Torello,
E voi, Pergola, a cui sì dubbia sembra
Questa giornata, io pongo in vostra mano
L'assicurarla: voi, discosti alquanto,
Il retroguardo avrete. O la fortuna,
Pur come suol, seconda i valorosi,
E rompiamo il nemico; e voi piombate
Sopra i dispersi. Ma s'ei dura incontro
L'impeto nostro, e ci vedete entrati
Donde uscir soli non possiam; venite
A noi, reggete i periglianti amici;
Ché per cosa che accaggia, io vi prometto,
Retrocedere a voi non ci vedrete.
 
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FORTEBRACCIO Non ci vedrete, no.
SFORZA                                 Siatene certi.
FORTEBRACCIO Sia lode al ciel, combatteremo alfine:
Mai non accadde a capitan, ch'io sappia,
Per fare il suo mestier contender tanto.
215

PERGOLA O Carmagnola, tu pensasti che oggi
Il giovenil corruccio alla prudenza
Prevarrebbe dei vecchi; e ti apponesti.


220
FORTEBRACCIO Sì, la prudenza è la virtú dei vecchi:
Ella cresce cogli anni, e tanto cresce
Che alfin diventa...


PERGOLA                              Ebben, dite.
FORTEBRACCIO

                                                 Paura;
Poi che volete ad ogni modo udirlo.


MALATESTI Fortebraccio!
PERGOLA                       L'hai detto. Ad un soldato
Che già piú volte avea pugnato e vinto
Prima che tu vedessi una bandiera,
Oggi tu il primo hai detto...
225


MALATESTI

                                           Da quel lato,
Presso Maclodio è posto il Carmagnola.
Quegli fra noi che avere oggi pensasse
Altro nemico che costui, sarebbe
Un traditor: pensatamente il dico.

 
 
230
 
PERGOLA Ritratto il voto che dapprima io diedi;
E il do per la battaglia: ella fia quale
Predissi allor; ma non importa. Allora
Potea schifarsi; or la domando io primo:
Io son per la battaglia.
 
 
235
 
MALATESTI                                   Accetto il voto,
Ma non l'augurio: lo distorni il cielo
Sul capo del nemico.
 
 
PERGOLA                                  O Fortebraccio,
Tu m'hai offeso.
 
MALATESTI                         Or via...
FORTEBRACCIO                                          Se così credi,
Sia pur così: perché a te spiaccia, o a quale
Altro pur sia, non crederai ch'io voglia
Una parola ritirar che uscita
Dalle labbra mi sia.
240
 
 
 
MALATESTI

(in atto di partire)

                                Chi resta fido
A Filippo, mi segua.

 


PERGOLA                                 Io vi prometto
Che oggi darem battaglia, e che di noi
Non mancheravvi alcuno. - O Fortebraccio,
Non giunger onta ad onta; io ti ripeto,
Tu m'hai offeso. - Ascolta, io t'offro il modo
Che tu mi renda l'onor mio, serbando
Intatto il tuo.
245
 
 
 
 
250
FORTEBRACCIO                      Che vuoi?
PERGOLA                                        Dammi il tuo posto.
Ovunque tu combatta, a tutti è noto
Che tu volesti la battaglia, ed io -
Io deggio ad ogni modo essere in luogo
Che l'amico e il nemico aperto veda
Ch'io non ho... tu m'intendi.
 
 
 
 
255
FORTEBRACCIO                                           Io son contento,
Piglia quel posto; poi che il brami è tuo.
O forte, or m'odi: ora m'è dolce il dirti
Ch'io non t'offesi, no: per la fortuna
Del Signor nostro tu soverchio temi:
Questo dir volli. Ma il timor che nasce
In cor di quei che ama la vita, e l'ama
Piú dell'onor, ma che nel cor del prode
Muore al primo periglio ch'egli affronta,
E mai piú non risorge, o valoroso,
Pensavi tu?...
 
 
 
 
260
 
 
 
 
265
PERGOLA

                      Nulla pensai: tu parli
Da generoso qual tu sei.

(a Malatesti)

                                       Signore,
Voi consentite al cambio?


 


MALATESTI                                          Io v'acconsento;
E son ben lieto di veder tant'ira
Tutta cader sovra il nemico.
 
 
TORELLO

(allo Sforza)

                                            Io stava
Col Pergola da prima; ingiusto, io spero,
Non vi parrà...

 

270
 

SFORZA V'intendo; e con lui state
Alla vanguardia: ultimi e primi, tutti
Combatterem; poco m'importa il dove.
MALATESTI

Non più ritardi. Iddio sarà coi prodi.

(partono).

275

 

SCENA QUARTA

Campo veneziano. Tenda del Conte.
Il Conte, un Soldato

SOLDATO Signor, l'oste nemica è in movimento:
La vanguardia è sull'argine, e s'avanza.

IL CONTE I condottieri dove son?
SOLDATO                                      Qui tutti
Fuor della tenda i principali; e stanno
Gli ordin vostri aspettando.


IL CONTE

                                         Entrino tosto.

(parte il Soldato).

280

SCENA QUINTA

IL CONTE Eccolo il dì ch'io bramai tanto. - Il giorno
Ch'ei non mi volle udir, che invan pregai,
Che ogni adito era chiuso, e che deriso,
Solo, io partiva, e non sapea per dove,
Oggi con gioja io lo rammento alfine.
Ti pentirai, dicea, mi rivedrai,
Ma condottier de' tuoi nemici, ingrato!
Io lo dicea; ma allor pareva un sogno,
Un sogno della rabbia; ed ora è vero.
Gli sono a fronte: ecco mi balza il core:
Io sento il dì della battaglia... e s'io...
No: la vittoria è mia.
 
 
 
 
285
 
 
 
 
290
 

CENA SESTA

Il Conte, Gorzoga, Orsini, Tolentino, altri Condottieri

IL CONTE Compagni, udiste
La lieta nuova: l'inimico ha fatto
Ciò ch'io volea; così voi pur farete.
E il sol che sorge, a ognun di noi, lo giuro,
Il piú bel dì di nostra vita apporta.
Non è tra voi chi una battaglia aspetti
Per farsi un nome, io'l so; ma questa sera
L'avrem piú glorïoso; e la parola
Che al nostro orecchio scenderà piú grata,
Omai fia quella di Maclodio. - Orsini,
Son pronti i tuoi?
 
 
 
295
 
 
 
 
300
 
ORSINI                            Sì.
IL CONTE                                 Corri all'imboscate
Sulla destra dell'argine; raggiungi
Quei che vi stanno, e prendine il comando.
E tu a sinistra, o Tolentino. E quindi
Non vi movete, che non sia lo scontro
Incominciato; quando ei fia, correte
Alle spalle al nemico. Udite entrambi.
Se dell'insidie egli s'avvede, e tenta
Ritrarsi, appena avrà voltato il dorso,
Siategli addosso uniti: io son con voi.
Provochi, o fugga, oggi dev'esser vinto.
 
 
 
305
 
 
 
 
310
 
ORSINI

Ei lo sarà.

(parte).

 

 

TOLENTINO

                  Ti obbedirem, vedrai.

(parte)

 

 

IL CONTE

(agli altri)

Tu, Gonzaga, al mio fianco. I posti a voi
Assegnerò sul campo. Andiam, compagni;
Si resista al prim'urto: Il resto è certo.

 

 
315

CORO

      S'ode a destra uno squillo di tromba;
A sinistra risponde uno squillo:
D'ambo i lati calpesto rimbomba
Da cavalli e da fanti il terren.
Quinci spunta per l'aria un vessillo;
Quindi un altro s'avanza spiegato:
Ecco appare un drappello schierato;
Ecco un altro che incontro gli vien.

      Già di mezzo sparito è il terreno;
Già le spade rispingon le spade;
L'un dell'altro le immerge nel seno;
Gronda il sangue; raddoppia il ferir. -
Chi son essi? Alle belle contrade
Qual ne venne straniero a far guerra
Qual è quei che ha giurato la terra
Dove nacque far salva, o morir? -

      D'una terra son tutti: un linguaggio
Parlan tutti: fratelli li dice
Lo straniero: il comune lignaggio
A ognun d'essi dal volto traspar.
Questa terra fu a tutti nudrice,
Questa terra di sangue ora intrisa,
Che natura dall'altre ha divisa,
E ricinta con l'alpe e col mar.

      Ahi! Qual d'essi il sacrilego brando
Trasse il primo il fratello a ferire?
Oh terror! Del conflitto esecrando
La cagione esecranda qual è?
Non la sanno: a dar morte, a morire
Qui senz'ira ognun d'essi è venuto;
E venduto ad un duce venduto,
Con lui pugna, e non chiede il perché.

      Ahi sventura! Ma spose non hanno,
Non han madri gli stolti guerrieri?
Perché tutte i lor cari non vanno
Dall'ignobile campo a strappar?
E i vegliardi che ai casti pensieri
Della tomba già schiudon la mente,
Ché non tentan la turba furente
Con prudenti parole placar? -

      Come assiso talvolta il villano
Sulla porta del cheto abituro
Segna il nembo che scende lontano
Sopra i campi che arati ei non ha;
Così udresti ciascun che sicuro
Vede lungi le armate coorti,
Raccontar le migliaja de' morti,
E la piéta dell'arse città.

      Là, pendenti dal labbro materno
Vedi i figli che imparano intenti
A distinguer con nomi di scherno
Quei che andranno ad uccidere un dì;
Qui le donne alle veglie lucenti
De' monili far pompa e de' cinti,
Che alle donne diserte de' vinti
Il marito o l'amante rapì. -

      Ahi sventura! sventura! sventura!
Già la terra è coperta d'uccisi;
Tutta è sangue la vasta pianura;
Cresce il grido, raddoppia il furor.
Ma negli ordini manchi e divisi
Mal si regge, già cede una schiera;
Già nel volgo che vincer dispera,
Della vita rinasce l'amor.

      Come il grano lanciato dal pieno
Ventilabro nell'aria si spande;
Tale intorno per l'ampio terreno
Si sparpagliano i vinti guerrier.
Ma improvvise terribili bande
Ai fuggenti s'affaccian sul calle;
Ma si senton piú presso alle spalle
Scalpitare il temuto destrier.

      Cadon trepidi a piè dei nemici,
Rendon l'arme, si danno prigioni:
Il clamor delle turbe vittrici
Copre i lai del tapino che muor.
Un corriero è salito in arcioni;
Prende un foglio, il ripone, s'avvia,
Sferza, sprona, divora la via
Ogni villa si desta al romor.

      Perché tutti sul pesto cammino
Dalle case, dai campi accorrete?
Ognun chiede con ansia al vicino,
Che gioconda novella recò?
Donde ei venga, infelici, il sapete,
E sperate che gioja favelli?
I fratelli hanno ucciso i fratelli:
Questa orrenda novella vi do.

      Odo intorno festevoli gridi;
S'orna il tempio, e risuona del canto;
Già s'innalzan dai cori omicidi
Grazie ed inni che abbomina il ciel. -
Giú dal cerchio dell'alpi frattanto
Lo straniero gli sguardi rivolve;
Vede i forti che mordon la polve,
E li conta con gioja crudel.

      Affrettatevi, empite le schiere,
Sospendete i trionfi ed i giuochi,
Ritornate alle vostre bandiere:
Lo straniero discende; egli è qui.
Vincitor! Siete deboli e pochi?
Ma per questo a sfidarvi ei discende;
E voglioso a quei campi v'attende
Dove il vostro fratello perì. -

      Tu che angusta a' tuoi figli parevi,
Tu che in pace nutrirli non sai,
Fatal terra, gli estrani ricevi:
Tal giudizio comincia per te.
Un nemico che offeso non hai
A tue mense insultando s'asside;
Degli stolti le spoglie divide;
Toglie il brando di mano a' tuoi Re.

      Stolto anch'esso! Beata fu mai
Gente alcuna per sangue ed oltraggio?
Solo al vinto non toccano i guai;
Torna in pianto dell'empio il gioir.
Ben talor nel superbo viaggio
Non l'abbatte l'eterna vendetta;
Ma lo segna; ma veglia ed aspetta;
Ma lo coglie all'estremo sospir.

      Tutti fatti a sembianza d'un Solo;
Figli tutti d'un solo Riscatto,
In qual ora, in qual parte del suolo,
Trascorriamo quest'aura vital
Siam fratelli; siam stretti ad un patto:
Maledetto colui che l'infrange,
Che s'innalza sul fiacco che piange,
Che contrista uno spirto immortal!

 
 
 
 
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125
 
 

Fine dell'Atto secondo.

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Ultimo aggiornamento: 01 gennaio 1999