Luigi Tripodaro
Giuseppe Bonghi

Appunti di Storia della Letteratura italiana

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Federico De Roberto

         Nel mondo poetico e letterario dominato dall'arte del Verga, una certa importanza assume un'opera che si colloca ai margini del Verismo: I Vicerè, di Federico De Roberto. Alla base della concezione di questo romanzo esistono tre motivi, non perfettamente amalgamati:

          - il verismo ddi stampo Verghiano, che realizza un distacco più assoluto dell'autore dai personaggi, generato anche da uno scetticismo più arido e intellettualistico e da una sostanziale sfiducia nella storia
          - il naturalismo deterministico di Zola (che riduceva tutte le vicende, le azioni e il carattere degli uomini alla condizione di semplici risultati di leggi precise che si ricollegano all'ereditarietà e all’ambiente),
          - gusto per l'indagine psicologica sulla scia di Bourget.

         Infatti il determinismo patologico, imperniato sulle tare ereditarie degli Uzeda, e lo psicologismo, si fondono solo in parte col motivo verghiano dell'origine economicistica dei sentimenti.
         Un altro limite dell'opera consiste nell'incapacità dell'autore di giungere ad una concreta visione storica diretta a valutare non solo gli insuccessi e le delusioni che seguono la realizzazione degli ideali del Risorgimento nel Mezzogiorno ma anche le imponenti trasformazioni di ordine economico, storico e politico che accompagnano la formazione del nuovo Stato unitario all'interno della seconda rivoluzione industriale.
         Il romanzo non è privo, tuttavia, di aspetti positivi, fra i quali il più notevole è rappresentato dalla visione che esso offre di una grossa città di provincia, Catania, osservata nei suoi vari ambienti e ceti sociali e resta un ritratto efficace e drammatico del sostanziale fallimento dell'unificazione italiana nel Meridione, dove i funzionari piemontesi non riescono a creare quelle condizioni di ricambio della classe politica al potere che avrebbe potuto avviare un processo di vera espansione economica e culturale. Nell'arida e disumana cronaca delle vicende dello sfacelo di un reparto dei Mille acquartierato in un convento catanese, ritroviamo l'adattamento degli ideali risorgimentali svuotati di ogni grandezza.
         Gli Uzeda, Vicerè di Sicilia ai tempi di Carlo V, borbonici fin nelle ossa, riescono a salvare la famiglia perché uno di loro parteggia al tempo opportuno per i liberali e pone la sua candidatura a deputato sabaudo. In tal modo «tutto sarà cambiato» perché tutto rimanga come prima e il potere resti ancora nelle mani di coloro che lo hanno sempre esercitato. Questo pensiero sarà qualche anno dopo il fondamento del Gattopardo di Tomasi di Lampedusa. Il decadimento degli Uzeda non è dovuto al cambiamento dei tempi e della struttura sociale, ma a tare ereditarie, alla corruzione che, esercitata per tante generazioni, è entrata a far parte di un modo preciso di vivere, lontano dall'effettivo progresso della società.

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© 2000 - by prof. Giuseppe Bonghi
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Ultimo aggiornamento: 16 luglio, 2000