Luigi Tripodaro

Appunti di Storia della Letteratura italiana

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Gabriele D'Annunzio

         Mentre il Pascoli svolge prevalentemente i motivi del mistero e del rifugio, in D'Annunzio notiamo un'orgogliosa esaltazione dell'io, che tende ad affermare se stesso nella società e nella storia. Fra gli altri aspetti fondamentali del messaggio di questo poeta spiccano inoltre il nuovo modo di considerare la parola, l’adesione spontanea alle esperienze culturali e letterarie più diverse, dal Naturalismo di Zola e Maupassant alle suggestioni della letteratura russa (Tolstoj e Dostoyewski), a Nietzsche, ad Oscar Wilde, a Baudelaire, ai parnassiani ed ai simbolisti.
         Va anche precisato, però, che tutte queste suggestioni sono rivissute piuttosto superficialmente e che D'Annunzio fu prima di tutto un letterato attento all'eleganza. Del Decadentismo egli accetta la tendenza irrazionalistica, che si fonde con la sua sensibilità accesa e con la sua inclinazione verso ciò che sa di istintivo, di primordiale, di ferino. Condivide anche l'ansia decadente nei confronti del mistero e le aspirazioni indefinite per qualcosa di grande, che aiuti l'uomo ad emergere, a superare il limite angusto entro il quale è costretto. Egli trova un appagamento, per questa aspirazione, nella comunione immediata con la natura, ossia nel panismo, che da un lato porta alla dissoluzione dell'io, al suo immergersi nelle cose ed al suo abbandono all'istinto, e dall'altra ne determina il potenziamento e l'arricchimento. Oltre a ciò è importante nel D'Annunzio l'esaltazione del barbarico, del ferino, del primitivo, che in particolare caratterizza le sue opere teatrali e le novelle.
         Risulta collegato al suo temperamento, più che al soggettivismo decadente, la volontà di attuare una fusione tra vita ed arte; tale fusione è alla base del modo come il D'Annunzio imposta la sua esistenza, così come ispira tutte le sue azioni, che hanno carattere teatrale e retorico e tendono a creare l'immagine di una "vita inimitabile". Alla base della sua poetica traviamo il culto della parola. Egli sviluppa in modo eccezionale l'arte del linguaggio, scoprendo le più varie suggestioni musicali e crede che sia la parola ad evocare immagini e situazioni. "C'è una sola scienza al mondo, suprema: la scienza delle parole. Chi conosce quella conosce tutto, perchè tutto esiste solamente per mezzo del verbo". "O poeta, divina è la parola, ne la pura bellezza il ciel ripose ogni nostra letizia e il Verso è tutto".
         Dopo le raccolte giovanili Primo vere (1879) e Canto novo (1882) dove appare evidente l'adesione alla sensibilità ed allo stile del Carducci, la più matura produzione del D'Annunzio ha inizio con una serie di novelle: Terra vergine, che rappresenta il primo nucleo della raccolta successiva, Novelle della Pescara, in cui apparentemente l'autore aderisce al Verismo. In realtà, all'analisi sociale ed alla scoperta commossa del mondo povero ma profondamente umano della provincia che anima le pagine dei veristi si sostituisce la scoperta, seguita dalla compiaciuta descrizione del barbarico, con l'esaltazione delle passioni e degli istinti primordiali. Frutto di raffinate esperienze culturali furono le sue opere successive, fra cui sono da ricordare l'Intermezzo di rime (1884), L'Isotteo (1886), le Elegie romane (1892) e i romanzi Il piacere (1889), Giovanni Episcopo (1891), L'innocente (1892). Fra questi, il primo si inquadra nella prima fase del Decadentismo, l'estetismo, rivelando la partecipazione dell'autore a quel tema descritto in romanzi di portata europea come À rebours di Huysmans. In esso abbiamo inoltre un'eco degli atteggiamenti dell'autore in un determinato periodo della sua vita, allorché accentuò le sue tendenze estetizzanti e sensuali. L’opera è importante perchè fa conoscere in Italia il nuovo eroe decadente, impersonato da Andrea Sperelli, personaggio raffinato e gelido, aristocratico e spregiatore di quel "grigio diluvio democratico moderno che tante belle cose e rare sommerge miseramente". Andrea Sperelli rappresenta comunque un mito di cui il D'Annunzio sentirà sempre il fascino, a cui cercherà sempre di adeguare la sua vita. Esso rappresenta anche il punto di partenza della nuova soluzione che sarà costituita dal superuomo.
         Negli altri due romanzi si avverte invece in qualche modo l’influsso del romanzo psicologico russo di Tolstoj, e Dostoewskij. Un certo raccoglimento si avverte infine nel Poema paradisiaco, dove l'elemento più significativo è il tono sommesso, e non mancano esempi di vera poesia. Verso il 1892 il poeta, anche se in modo superficiale, alle teorie di Nietzsche, ossia all'esaltazione della volontà di potenza di creature dotate di una ricca vitalità, di profonda intelligenza e di attitudine al dominio nei confronti della massa. Tale volontà di potenza deve superare, secondo il poeta, le barriere dalle quali è frenata, le quali non hanno vero significato e fondamento. Da tale ideale il D'Annunzio passa rapidamente a quello della super nazione, prospettando per l'Italia un destino di gloria e di potenza e presentandosi come il vate della nuova nazione. Con ciò egli non solo sviluppava le logiche conseguenze del suo velleitarismo, ma diventava l'interprete di quegli ideali nazionalistici e imperialistici che si diffondevano in quegli anni nelle classi medie.
         Dal mito del superuomo e dall'idoleggiamento del barbarico e del primordiale risultano ispirate le opere successive del D'Annunzio. Tra queste ricordiamo in particolare i romanzi Il trionfo della morte (1893), Le vergini delle rocce (1895), vari drammi (La città morta, La Gioconda). Tra il 1898 e il 1910, durante il soggiorno nella villa della Capponcina, ha luogo il suo periodo più fecondo. A questi anni risalgono i tre libri delle Laudi (Maia, Elettra, Alcyone) pubblicati nel 1903 e le principali opere teatrali (Francesca da Rimini, La figlia di Jorio, La fiaccola sotto il moggio, Più che l'amore, La nave, Fedra) oltre ai due romanzi Il fuoco e Forse che sì forse che no. In Francia, nel 1912, compare il quarto libro delle Laudi, Merope, che celebra la conquista della Libia. Alle sue vicende personali nella Prima Guerra Mondiale è ispirata la più originale fra le opere d'Annunziane, il Notturno (1916) mentre agli ultimi anni della sua vita risalgono opere come Le faville del maglio (‘24-‘28) e Il libro segreto (1935).
         Nell'ambito della vasta produzione dannunziana, pur tenendo conto dei limiti dell'autore, nonché della sua scarsa sincerità e del peso rappresentato dall'eloquenza e dal decorativismo, possiamo tuttavia rintracciare alcune opere significative e varie pagine di poesia. Nell'ambito delle tragedie, si eleva ad esempio al di sopra delle altre, La figlia di Jorio, per il fascino che essa presenta grazie allo sfondo fantastico e primordiale dell'Abruzzo ed al tono religioso e stupito che circonda gli atti dei personaggi ed il loro modo di concepire la vita che si inquadra in una civiltà essenziale e millenaria. Nelle Laudi, invece, è possibile in qualche modo recuperare il terzo libro, l'Alcyone, che con il suo lirismo e con gli accenni ad un certo raccoglimento, apre la strada a quella fase dell'opera dannunziana che la critica definisce notturna, ricollegandosi all'opera scritta dal poeta quando fu colpito dalla cecità. In questa fase si nota una chiara disposizione al sentimento, alla confessione, alla meditazione.
         Dato il carattere della sua arte, si può dire che il D'Annunzio esercitò la sua influenza in modo decisivo più sul costume che sulla letteratura; il ceto medio vedeva infatti nelle sue azioni e nei suoi atteggiamenti l'incarnazione dei suoi ideali, così come imparò da lui una serie di miti e di aspirazioni. Sul piano letterario egli invece, pur esercitando una sorta di predominio oscurando gli altri autori, non sfuggì alle critiche, che tendevano a demolire il mito di una vita inimitabile da lui praticato, nonché la sua stessa concezione della poesia.

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Ultimo aggiornamento: 17 luglio, 2000