Giacomo Leopardi
Paralipomeni
della Batracomiomachia
canto quinto
CANTO 5
Lungo discorso (1-15) di Boccaferrata che cerca di costringere Rodipane di "legittimare" il suo potere, rifiutando la sua elezione avvenuta per volontà popolare e sancendo che che il potere gli spetta per diritto dinastico. Rodipane si rifiuta (16-20) e scoppia la guerra: il popolo dei Topi approva sdegnati latteggiamento del suo re e si prepara allo scontro con i Granchi (21-34); ma alla sola vista del nemico i Topi fuggono e vengono sconfitti (35-42): tanto grandiosa ed epica è la descrizione della preparazione alla battaglia (basta vedere lelenco dei personaggi mitici nominati). Lunico a non fuggire è Rubatocchi, contro il quale si rivolgono le schiere nemiche: dopo il tramonto del Sole, quando il buio è ormai completo, cade "ma il suo cader non vide il cielo" (43-48).
1 Signor, disse, che tale esser chiamato Dei pel sangue che porti entro le vene, Il qual certo sappiam che derivato Da sorgente real ne' tuoi perviene E perché di sposar fosti degnato, Colei che sola in vita ancor mantiene, Caduti tutti gli altri augusti frutti, La famiglia del re Mangiaprosciutti; 2 Degno quant'altro alcun di regio trono T'estima il signor mio per ogni punto, Ma il sentiero, a dir ver, crede non buono Per cui lo scettro ad impugnar sei giunto. Tai che a poter ben darlo atti non sono, T'hanno ai ben meritati onori assunto. Ma re fare o disfar, come ben sai, Altro ch'a' re non si appartenne mai. 3 Se vedovo per morte il seggio resta Che legittimamente era tenuto, Né la succession sia manifesta Per discendenza o regio altro statuto, Né men per testamento in quella o in questa Forma dal morto re sia provveduto, Spontaneamente al derelitto regno S'adopran gli altri re di por sostegno. 4 O un successore è dato a quella sede Che sia da lor concordemente eletto, O partono essi re pieni di fede L'orbo stato fra lor con pari affetto, O chi primo il può far primo succede Per lo più chi più forte è con effetto, Cause genealogiche allegando, E per lo più con l'arnie autenticando. 5 Re novo, di lor man pesato e scosso, Dare i sudditi a sé mai non fur visti, Né fora assurdo al mio parer men grosso Che se qualche lavor de' nostri artisti, Come orologio da portare indosso O cosa tal che per danar s'acquisti, Il compratore elegger si vedesse, Che lei portare e posseder potesse. 6 Negli scettri non han ragione o voto I popoli nessuno o ne' diademi, Ch'essi non fer, ma Dio, siccome è noto. Anzi s'anco talvolta in casi estremi Resta il soglio deserto non che vòto Per popolari fremiti e per semi D'ire o per non so qual malinconia, Onde spenta riman la monarchia, 7 Al popol che di lei fu distruttore Cercan rimedio ancor l'altre corone, E legittimo far quel mal umore Quasi e rettificar l'intenzione Destinato da lor novo signore Dando a quel con le triste o con le buone, Né sopportan giammai che da se stesso Costituirsi un re gli sia concesso. 8 Che se pur fu da Brancaforte ingiunto A' tuoi di provveder d'un re novello, Non volea questo dir ch'eletto a punto Fosse il creato re questo né quello, Ma non altro dar lor se non l'assunto Che i più capaci del real mantello Proponessero a' piè de' potentati, Che gli avriano a bell'agio esaminati. 9 Or dunque avendo alla virtù rispetto, Signor, che manifesta in te dimora, E sopra tutto a quei che prima ho detto Pregi onde teco il gener tuo s'onora, Non della elezion solo il difetto Supplire ed emendar, ma vuole ancora La maestà del mio padrone un segno Darti dell'amor suo forse più degno. 10 Perché non pur con suo real diploma Che valevol fia sempre ancor che tardo, E di color che collegati ei noma Che il daran prontamente a suo riguardo, Riponendoti il serto in su la chioma Legittimo farà quel ch'è bastardo, Che legittimità, cosa volante, Vien dal cielo o vi riede in un istante: 11 Ma il poco onesto e non portabil patto Che il popolo a ricever ti costrinse, A cui ben vede il mio signor che un atto Discorde assai dal tuo voler t'avvinse, Sconcio a dir vero e tal che quasi affatto La maestà di questo trono estinse, A potere annullar de' topi in onta Compagnia t'offerisce utile e pronta. 12 Non solo i nostri trentamila forti Che nel suo nome tengono il castello Alla bell'opra ti saran consorti Di render lustro al tuo real cappello, Ma cinquecentomila che ne' porti De' ranocchi hanno stanza, io vo dir quello Esercito già noto a voi che sotto Brancaforte in quei lochi or s'è ridotto, 13 E che per volontà del signor nostro Così fermato in prossime contrade Aspetta per veder nel regno vostro Che movimento o cosa nova accade, Tosto che un cenno tuo gli sarà mostro, Il cammin prenderà della cittade, Dove i topi o ravvisti o con lor danno A servir prestamente torneranno. 14 Fatto questo, il diploma a te spedito Sarà, di quel tenor che si conviene. E un patto fra' due re fia stabilito Quale ambedue giudicherete bene. Ma troppo oggi saria diminuito L'onor che fra' re tutti il mio ritiene Se un accordo da lui si confermasse Che con suddita plebe altri contrasse. 15 Né certo ei sosterrà che d'aver fatto Onta agli scettri il popol tuo si vanti, E che che avvenga, il disdicevol patto Che tutti offender sembra i dominanti Combatterà finché sarà disfatto, Tornando la città qual era innanti. Questa presso che ostil conclusione Ebbe del capitan l'orazione. 16 Rispose Rodipan, che udir solea Che stil de' granchi era cangiare aspetto Secondo i tempi, e che di ciò vedea Chiara testimonianza or per effetto, Essendo certo che richiesto avea Senzacapo che un re subito eletto Fosse da' topi allor che avea temenza D'altra più scandalosa esperienza. 17 Che stato franco avessero anteposto A monarchia di qualsivoglia sorte, E che l'esempio loro avesse posto Desiderio in altrui d'un'ugual sorte, La qual sospizion come più tosto S'avea tolto dal cor, di Brancaforte Condannava i trattati, e i chiari detti Torceva a inopinabili concetti. 18 Privo l'accordo del real suggello Né re de' topi alcun riconosciuto A sé poco gravar, ma che il castello Con maraviglia grande avria veduto Da genti granchie ritener, che in quello Entrar per solo accordo avean potuto, Se non sapesse ai popoli presenti Esser negati i dritti delle genti. 19 Anzi i dritti comuni e di natura Perché frode, perfidia e qual si sia Pretta solenne autentica impostura È cosa verso lor lecita e pia, E quelli soppiantar può con sicura Mente ogni estrania o patria monarchia, Che popolo e nessun tornan tutt'uno, Se intier l'ammazzi, non ammazzi alcuno. 20 Quanto al proposto affar, che interrogato Capo per capo avria la nazione, Non essendo in sua man circa lo stato Prender da sé deliberazione, E che quel che da lei fosse ordinato Faria come per propria elezione, Caro avendo osservar, poi che giurollo, Lo statuto. E ciò detto, accommiatollo. 21 L'altra mattina al general consiglio Il tutto riferì personalmente, E la grandezza del comun periglio Espose e ragionò distesamente, E trovar qualche via, qualche consiglio, Qualche provvision conveniente Spesse volte inculcò, quasi sapesse Egli una via, ma dir non la volesse. 22 Arse d'ira ogni petto, arse ogni sguardo, E come per l'aperta ingiuria suole Che negl'imi precordii anche il codardo Fere là dove certo il ferir dole, Parve ancora al più vile esser gagliardo Vera vendetta a far non di parole. Guerra scelta da tutti e risoluto Fu da tutti morir per lo statuto. 23 Commendò Rodipan questo concorde Voler del popol suo con molte lodi, Morte imprecando a quelle bestie sorde Dell'intelletto e pur destre alle frodi; Purché, disse, nessun da sé discorde Segua il parlar, non poi gli atti de' prodi: E soldatesche ed armi e l'altre cose Spettanti a guerra ad apprestar si pose. 24 Di suo vero od al ver più somigliante Sentir, del quale ogni scrittore è muto, Dirovvi il parer mio da mal pensante Qual da non molto in qua son divenuto, Che per indole prima io rette e sante Le volontà gran tempo avea creduto, Né d'appormi così m'accadde mai, Né di fallar poi che il contrario usai. 25 Dico che Rodipan di porre sciolta La causa sua dalla comun de' topi In man de' granchi, avea per cosa stolta, Veduto, si può dir, con gli occhi propi Tanta perfidia in quelle genti accolta, Quanta sparsa è dagl'Indi agli Etiopi, E potendo pensar che dopo il patto Similmente lui stesso avrian disfatto. 26 Ma desiato avria che lo spavento Della guerra de' granchi avesse indotto Il popolo a volere esser contento Che il seggio dato a lui non fosse rotto, Sì che spargendo volontario al vento La fragil carta, senza più far motto, Fosse stato a veder se mai piacesse Al re granchio adempir le sue promesse. 27 Così re senza guerra e senza patto Forse trovato in breve ei si saria, Da doppio impaccio sciolto in un sol tratto E radicata ben la dinastia, Né questo per alcun suo tristo fatto, Per tradimento o per baratteria, Né violato avendo in alcun lato Il giuramento alla città giurato. 28 Queste cose, cred'io, tra sé volgendo Meno eroica la plebe avria voluta. Per congetture mie queste vi vendo, Che in ciò la storia, come ho detto, è muta. Se vi paresser frasche, non intendo Tor fama alla virtù sua conosciuta. Visto il voler de' suoi, per lo migliore La guerra apparecchiò con grande ardore. 29 Guerra tonar per tutte le concioni Udito avreste tutti gli oratori, Leonidi, Temistocli e Cimoni, Muzi Scevola, Fabi dittatori, Deci, Aristidi, Codri e Scipioni, E somiglianti eroi de' lor maggiori Iterar ne' consigli e tutto il giorno Per le bocche del volgo andare attorno. 30 Guerra sonar canzoni e canzoncine Che il popolo a cantar prendea diletto, Guerra ripeter tutte le officine Ciascuna al modo suo col proprio effetto. Lampeggiavan per tutte le fucine Lancioni, armi del capo, armi del petto, E sonore minacce in tutti i canti S'udiano, e d'amor patrio ardori e vanti. 31 Primo fatto di guerra, a tal fatica Movendo Rubatocchi i cittadini, Fu di torri e steccati alla nemica Gente su del castel tutti i confini Chiuder donde colei giù dall'aprica Vetta precipitar sopra i vicini Poteva ad ogn'istante, e nella terra Improvvisa portar tempesta e guerra. 32 Poi dubitato fu se al maggior nerbo De' granchi che verrebbe omai di fuore Come torrente rapido e superbo Opporsi a mezza via fosse il migliore, Ovver nella città con buon riserbo Schernir, chiuse le porte, il lor furore. Questo ai vecchi piacea, ma parve quello Ai damerini della patria bello. 33 Come Aiace quel dì che di tenebre Cinte da Giove fur le greche schiere, Che di servar Patroclo alla funebre Cura fean battagliando ogni potere, Al nume supplicò che alle palpebre Dei figli degli Achei desse il vedere, Riconducesse il dì, poi se volesse Nell'aperto splendor li distruggesse; 34 Così quei prodi il popolar consiglio Pregàr che la virtù delle lor destre Risplender manifesta ad ogni ciglio Potesse in parte lucida e campestre, Né celato restasse il lor periglio Nel buio sen di quella grotta alpestre. Vinse l'alta sentenza, e per partito Fuori il granchio affrontar fu stabilito. 35 E già dai regni a rimembrar beati Degli amici ranocchi che per forza Gli aveano insino allor bene albergati Movevan quei dalla petrosa scorza Brancaforte co' suoi fidi soldati, Per quel voler ch'ogni volere sforza Del lor padrone e re che di gir tosto Sopra Topaia aveva al duce imposto. 36 Dall'altra parte orrenda ne' sembianti Da Topaia movea la cittadina Falange che di numero di fanti A un milione e mezzo era vicina. Serse in Europa non passò con tanti Quando varcata a piè fu la marina. Coperto era sì lunge ogni sentiero Che la veduta si perdea nel nero. 37 Venuti erano al loco ove diè fine Alla fuga degli altri il Miratondo, Loco per praticelli e per colline E per quiete amabile e giocondo. Era il tempo che l'ore mattutine Cedono al mezzodì le vie del mondo, Quando assai di lontan parve rimpetto All'esercito alzarsi un nugoletto. 38 Un nugoletto il qual di mano in mano Con prestezza mirabile crescea Tanto che tutto ricoprire il piano Dover fra poco e intenebrar parea, Come nebbia talor cui di lontano Fiume o palude in bassa valle crea, Che per soffio procede e la sua notte Campi e villaggi a mano a mano inghiotte. 39 Conobber facilmente i principali Quel di che il bianco nugolo era segno, Che dai passi nascea degli animali Che venieno avversari al misto regno. Però tempo ben parve ai generali Di mostrar la virtù del loro ingegno, E qui fermato il piè, le ardite schiere A battaglia ordinàr con gran sapere. 40 Al lago che di sopra io ricordai, Ch'or limpido e brillando al chiaro giorno Spargea del Sol meridiano i rai, Appoggiàr delle squadre il destro corno, L'altro al poggio che innanzi anco narrai Alto ed eretto, e quanti erano intorno Lochi angusti e boscosi ed eminenti Tutti fero occupar dalle lor genti. 41 Già per mezzo all'instabil polverio Si discernea de' granchi il popol duro, Che quetamente e senza romorio Nella sua gravità venia sicuro. Alzi qui la materia il canto mio E chiaro il renda se fu prima oscuro, Qui volentieri invocherei la musa Se non che l'invocarla or più non s'usa. 42 Eran le due falangi a fronte a fronte Già dispiegate ed a pugnar vicine, Quando da tutto il pian, da tutto il monte Diersi a fuggir le genti soricine. Come non so, ma né ruscel né fonte Balza né selva al corso cor diè fine. Fuggirian credo ancor, se i fuggitivi Tanto tempo il fuggir serbasse vivi. 43 Fuggiro al par del vento, al par del lampo Fin dove narra la mia storia appresso. Solo di tutti in sul deserto campo Rubatocchi restò come cipresso Diritto, immoto, di cercar suo scampo Non estimando a cittadin concesso Dopo l'atto de' suoi, dopo lo scorno Di che principio ai topi era quel giorno. 44 In lui rivolta la nemica gente Sentì del braccio suo l'erculea possa. A salvarla da quel non fu possente La crosta ancor che dura ancor che grossa. Spezzavala cadendo ogni fendente Di quella spada, e scricchiolar fea l'ossa, E troncava le branche e di mal viva E di gelida turba il suol copriva. 45 Così pugnando sol contro infiniti Durò finché il veder non venne manco. Poi che il Sol fu disceso ad altri liti, Sentendo il mortal corpo afflitto e stanco, E di punte acerbissime feriti E laceri in più parti il petto e il fianco, Lo scudo ove una selva orrida e fitta D'aste e d'armi diverse era confitta, 46 Regger più non potendo, ove più folti Gl'inimici sentia, scagliò lontano. Storpiati e pesti ne restaron molti, Altri schiacciati insucidaro il piano. Poscia gli estremi spiriti raccolti, Pugnando mai non riposò la mano Finché densato della notte il velo, Cadde, ma il suo cader non vide il cielo. 47 Bella virtù, qualor di te s'avvede, Come per lieto avvenimento esulta Lo spirto mio: né da sprezzar ti crede Se in topi anche sii tu nutrita e culta. Alla bellezza tua ch'ogni altra eccede, O nota e chiara o ti ritrovi occulta, Sempre si prostra: e non pur vera e salda, Ma imaginata ancor, di te si scalda. 48 Ahi ma dove sei tu? sognata o finta Sempre? vera nessun giammai ti vide? O fosti già coi topi a un tempo estinta, Né più fra noi la tua beltà sorride? Ahi se d'allor non fosti invan dipinta, Né con Teseo peristi o con Alcide, Certo d'allora in qua fu ciascun giorno Più raro il tuo sorriso e meno adorno. |
8 16 24 32 40 48 56 64 72 80 88 96 104 112 120 128 136 144 152 160 168 176 184 192 200 208 216 224 232 240 248 256 264 272 280 288 296 304 312 320 328 336 344 352 360 368 376 384 |
© aprile 1998 - by prof. Giuseppe Bonghi
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Ultimo aggiornamento: 03 May 1998