Baldessar Castiglione
Il Libro del Cortegiano
LXI.
Il Bembo pur cercava di por fine al ragionamento, ma la signora Duchessa lo pregò che dicesse; ed esso cosí rincominciò: - Troppo infelice sarebbe la natura umana, se l'anima nostra, nella qual facilmente po nascere questo cosí ardente desiderio, fosse sforzata a nutrirlo sol di quello che le è commune con le bestie, e non potesse volgerlo a quella altra nobil parte che a lei è propria; però, poiché a voi pur cosí piace, non voglio fuggir di ragionar di questo nobil suggetto. E perché mi conosco indegno di parlar dei santissimi misterii d'Amore, prego lui che mova il pensiero e la lingua mia, tanto ch'io possa mostrar a questo eccellente cortegiano amar fuor della consuetudine del profano vulgo; e cosí com'io insin da puerizia tutta la mia vita gli ho dedicata, siano or ancor le mie parole conformi a questa intenzione ed a laude di lui. Dico adunque che, poiché la natura umana nella età giovenile tanto è inclinata al senso, conceder si po al cortegiano, mentre che è giovane, l'amar sensualmente; ma se poi ancor negli anni piú maturi per sorte s'accende di questo amoroso desiderio, deve esser ben cauto e guardarsi di non ingannar se stesso, lassandosi indur in quelle calamità che ne' giovani meritano piú compassione che biasimo, e per contrario ne' vecchi piú biasmo che compassione.
LXII.
Però quando qualche grazioso aspetto di bella donna lor s'appresenta, compagnato da leggiadri costumi e gentil maniere, tale che esso, come esperto in amore, conosca il sangue suo aver conformità con quello, súbito che s'accorge che gli occhi suoi rapiscano quella imagine e la portano al core, è che l'anima comincia con piacer a contemplarla e sentir in sé quello influsso che la commove ed a poco a poco la riscalda, e che quei vivi spiriti che scintillan for per gli occhi tuttavia aggiungon nova esca al foco, deve in questo principio provedere di presto rimedio, e risvegliar la ragione e di quella armar la ròcca del cor suo; e talmente chiuder i passi al senso ed agli appetiti, che né per forza né per inganno entrar vi possano. Cosí, se la fiamma s'estingue, estinguesi ancor il pericolo; ma s'ella persevera o cresce, deve allor il cortegiano, sentendosi preso, deliberarsi totalmente di fuggire ogni bruttezza dell'amor vulgare e cosí entrar nella divina strada amorosa con la guida della ragione, e prima considerar che 'l corpo, ove quella bellezza risplende, non è il fonte ond'ella nasce, anzi che la bellezza, per esser cosa incorporea e, come avemo detto, un raggio divino, perde molto della sua dignità trovandosi congiunta con quel subietto vile e corruttibile; perché tanto piú è perfetta quanto men di lui participa e da quello in tutto separata è perfettissima; e che cosí come udir non si po col palato, né odorar con l'orecchie, non si po ancor in modo alcuno fruir la bellezza né satisfar al desiderio ch'ella eccita negli animi nostri col tatto, ma con quel senso del quale essa bellezza è vero obietto, che è la virtú visiva. Rimovasi adunque dal cieco giudicio del senso e godasi con gli occhi quel splendore, quella grazia, quelle faville amorose, i risi, i modi e tutti gli altri piacevoli ornamenti bellezza; medesimamente con l'audito la suavità della voce, il concento delle parole, l'armonia della musica (se musica è la donna amata); e cosí pascerà di dolcissimo cibo l'anima per la via di questi dui sensi, i quali tengon poco del corporeo e son ministri della ragione, senza passar col desiderio verso il corpo ad appetito alcuno men che onesto. Appresso osservi, compiaccia ed onori con ogni riverenzia la sua donna e piú che se stesso la tenga cara, e tutti i commodi e piaceri suoi preponga ai proprii, ed in lei ami non meno la bellezza dell'animo che quella del corpo; però tenga cura di non lassarla incorrere in error alcuno, ma con le ammonizioni e boni ricordi cerchi sempre d'indurla alla modestia, alla temperanzia, alla vera onestà e faccia che in lei non abbian mai loco se non pensieri candidi ed alieni da ogni bruttezza di vicii; e cosí seminando virtú nel giardin di quel bell'animo, raccorrà ancora frutti di bellissimi costumi e gustaragli con mirabil diletto; e questo sarà il vero generare ed esprimere la bellezza nella bellezza, il che da alcuni si dice esser il fin d'amore. In tal modo sarà il nostro cortegiano gratissimo alla sua donna ed essa sempre se gli mostrerà ossequente, dolce ed affabile, e cosí desiderosa di compiacergli, come d'esser da lui amata; e le voglie dell'un e dell'altro saranno onestissime e concordi ed essi conseguentemente saranno felicissimi -.
LXIII.
Quivi il signor Morello, - Il generar, - disse, - la bellezza nella bellezza con effetto sarebbe il generar un bel figliolo in una bella donna; ed a me pareria molto piú chiaro segno ch'ella amasse l'amante compiacendolo di questo, che di quella affabilità che voi dite -. Rise il Bembo e disse: - Non bisogna, signor Morello, uscir de' termini; né piccoli segni d'amar fa la donna, quando all'amante dona la bellezza, che è cosí preciosa cosa, e per le vie che son adito all'anima, cioè la vista e lo audito, manda i sguardi degli occhi suoi, la imagine del volto, la voce, le parole, che penetran dentro al core dell'amante e gli fan testimonio dell'amor suo -. Disse il signor Morello: - I sguardi e le parole possono essere e spesso son testimonii falsi; però chi non ha meglior pegno d'amore, al mio giudicio, è mal sicuro; e veramente io aspettava pur che voi faceste questa vostra donna un poco più cortese e liberale verso il cortegiano, che non ha fatto il signor Magnifico la sua; ma parmi che tutti dui siate alla condizione di quei giudici, che dànno la sentenzia contra i suoi per parer savi -.
LXIV.
Disse il Bembo: - Ben voglio io che assai piú cortese sia questa donna al mio cortegiano non giovane, che non è quella del signor Magnifico al giovane; e ragionevolmente, perché il mio non desidera se non cose oneste, e però po la donna concedergliele tutte senza biasimo; ma la donna del signor Magnifico, che non è cosí sicura della modestia del giovane, deve concedergli solamente le oneste e negargli le disoneste; però piú felice è il mio, a cui si concede ciò ch'ei dimanda, che l'altro, a cui parte si concede e parte si nega. Ed acciò che ancor meglio conosciate che l'amor razionale è piú felice che 'l sensuale, dico che le medesime cose nel sensuale si debbeno talor negare e nel razionale concedere, perché in questo son disoneste, ed in quello oneste; però la donna, per compiacer il suo amante bono, oltre il concedergli i risi piacevoli, i ragionamenti domestici e secreti, il motteggiare, scherzare, toccar la mano, po venir ancor ragionevolmente senza biasimo insin al bascio, il che nell'amor sensuale, secondo le regule del signor Magnifico, non è licito; perché, per esser il bascio congiungimento e del corpo e dell'anima, pericolo è che l'amante sensuale non inclini piú alla parte del corpo che a quella dell'anima, ma l'amante razionale conosce che, ancora che la bocca sia parte del corpo, nientedimeno per quella si dà esito alle parole che sono interpreti dell'anima, ed a quello intrinseco anelito che si chiama pur esso ancor anima; e perciò si diletta d'unir la sua bocca con quella della donna amata col bascio, non per moversi a desiderio alcuno disonesto, ma perché sente che quello legame è un aprir l'adito alle anime, che tratte dal desiderio l'una dell'altra si transfundano alternamente ancor l'una nel corpo dell'altra e talmente si mescolino insieme che ognun di loro abbia due anime, ed una sola di quelle due cosí composta regga quasi dui corpi; onde il bascio si po piú presto dir congiungimento d'anima che di corpo, perché in quella ha tanta forza che la tira a sé e quasi la separa dal corpo; per questo tutti gli inamorati casti desiderano il bascio, come congiungimento d'anima; e però il divinamente inamorato Platone dice che basciando vennegli l'anima ai labri per uscir del corpo. E perché il separarsi l'anima dalle cose sensibili e totalmente unirsi alle intelligibili, si po denotar per lo bascio, dice Salomone nel suo divino libro della Cantica "Bascimi col bascio della sua bocca", per dimostrar desiderio che l'anima sua sia rapita dall'amor divino alla contemplazion della bellezza celeste di tal modo, che unendosi intimamente a quella abbandoni il corpo -.
LXV.
Stavano tutti attentissimi al ragionamento del Bembo; ed esso, avendo fatto un poco di pausa e vedendo che altri non parlava, disse: - Poiché m'avete fatto cominciare a mostrar l'amore felice al nostro cortegiano non giovane, voglio pur condurlo un poco piú avanti; perché star in questo termine è pericoloso assai, atteso che, come piú volte s'è detto, l'anima è inclinatissima ai sensi; e benché la ragion col discorso elegga bene e conosca quella bellezza non nascer dal corpo e però ponga freno ai desidèri non onesti, pur il contemplarla sempre in quel corpo spesso preverte il vero giudicio; e quando altro male non ne avvenisse, il star assente dalla cosa amata porta seco molta passione, perché lo influsso di quella bellezza, quando è presente, dona mirabil diletto all'amante e riscaldandogli il core risveglia e liquefà alcune virtú sopite e congelate nell'anima, le quali nutrite dal calore amoroso si diffundeno e van pullulando intorno al core, e mandano fuor per gli occhi quei spirti, che son vapori sottilissimi, fatti della piú pura e lucida parte del sangue, i quali ricevono la imagine della bellezza e la formano con mille varii ornamenti; onde l'anima si diletta e con una certa maraviglia si spaventa e pur gode e, quasi stupefatta, insieme col piacere sente quel timore e riverenzia che alle cose sacre aver si sòle e parle d'esser nel suo paradiso.
LXVI.
L'amante adunque che considera la bellezza solamente nel corpo, perde questo bene e questa felicità súbito che la donna amata, assentandosi, lassa gli occhi senza il suo splendore e, conseguentemente, l'anima viduata del suo bene; perché, essendo la bellezza lontana, quell'influsso amoroso non riscalda il core come faceva in presenzia, onde i meati restano àrridi e secchi, e pur la memoria della bellezza move un poco quelle virtù dell'anima, talmente che cercano di diffundere i spirti; ed essi, trovando le vie otturate, non hanno esito, e pur cercano d'uscire, e cosí con quei stimuli rinchiusi pungon l'anima e dànnole passione acerbissima, come a' fanciulli quando dalle tenere gingive cominciano a nascere i denti. E di qua procedono le lacrime, i sospiri, gli affanni e i tormenti degli amanti; perché l'anima sempre s'affligge e travaglia e quasi diventa furiosa, fin che quella cara bellezza se le appresenta un'altra volta; ed allor súbito s'acqueta e respira ed a quella tutta intenta si nutrisce di cibo dulcissimo, né mai da cosí suave spettacolo partir vorria. Per fuggir adunque il tormento di questa assenzia e goder la bellezza senza passione, bisogna che 'l cortegiano con l'aiuto della ragione revochi in tutto il desiderio dal corpo alla bellezza sola e, quanto piú po, la contempli in se stessa simplice e pura e dentro nella imaginazione la formi astratta da ogni materia; e cosí la faccia amica e cara all'anima sua, ed ivi la goda e seco l'abbia giorno e notte, in ogni tempo e loco, senza dubbio di perderla mai; tornandosi sempre a memoria che 'l corpo è cosa diversissima dalla bellezza, e non solamente non le accresce, ma le diminuisce la sua perfezione. Di questo modo sarà il nostro cortegiano non giovane fuor di tutte le amaritudini e calamità che senton quasi sempre i giovani, come le gelosie, i sospetti, li sdegni, l'ire, le disperazioni e certi furor pieni di rabbia dai quali spesso son indutti a tanto error, che alcuni non solamente batton quelle donne che amano, ma levano la vita a se stessi; non farà ingiuria a marito, padre, fratelli o parenti della donna amata; non darà infamia a lei; non sarà sforzato di raffrenar talor con tanta difficultà gli occhi e la lingua per non scoprir i suoi desidèri ad altri; non di tollerar le passioni delle partite, né delle assenzie; ché chiuso nel core si porterà sempre seco il suo precioso tesoro ed ancora per virtú della imaginazione si formerà dentro in se stesso quella bellezza molto piú bella che in effetto non sarà.
LXVII.
Ma tra questi beni troveranne lo amante un altro ancor assai maggiore, se egli vorrà servirsi di questo amore come d'un grado per ascendere ad un altro molto piú sublime: il che gli succederà, se tra sé anderà considerando come stretto legame sia il star sempre impedito nel contemplar la bellezza d'un corpo solo; e però, per uscire di questo cosí angusto termine, aggiungerà nel pensier suo a poco a poco tanti ornamenti, che cumulando insieme tutte le bellezze farà un concetto universale e ridurrà la moltitudine d'esse alla unità di quella sola che generalmente sopra la umana natura si spande; e cosí non piú la bellezza particular d'una donna, ma quella universale, che tutti i corpi adorna, contemplarà; onde offuscato da questo maggior lume, non curerà il minore, ed ardendo in piú eccellente fiamma, poco estimarà quello che prima avea tanto apprezzato. Questo grado d'amore, benché sia molto nobile e tale che pochi vi giungono, non però ancor si po chiamar perfetto, perché per essere la imaginazione potenzia organica e non aver cognizione se non per quei principi che le son sumministrati dai sensi, non è in tutto purgata delle tenebre materiali; e però, benché consideri quella bellezza universale astratta ed in sé sola, pur non la discerne ben chiaramente, né senza qualche ambiguità per la convenienzia che hanno i fantasmi col corpo, onde quelli che pervengono a questo amore sono come i teneri augelli che cominciano a vestirsi di piume, che, benché con l'ale debili si levino un poco a volo, pur non osano allontanarsi molto dal nido, né commettersi a' venti ed al ciel aperto.
LXVIII.
Quando adunque il nostro cortegiano sarà giunto a questo termine, benché assai felice amante dir si possa a rispetto di quelli che son summersi nella miseria dell'amor sensuale, non però voglio che se contenti, ma arditamente passi più avanti, seguendo per la sublime strada drieto alla guida che lo conduce al termine della vera felicità; e cosí in loco d'uscir di se stesso col pensiero, come bisogna che faccia chi vol considerar la bellezza corporale, si rivolga in se stesso per contemplar quella che si vede con gli occhi della mente, li quali allor cominciano ad esser acuti e perspicaci, quando quelli del corpo perdono il fior della loro vaghezza; però l'anima, aliena dai vicii, purgata dai studi della vera filosofia, versata nella vita spirituale ed esercitata nelle cose dell'intelletto, rivolgendosi alla contemplazion della sua propria sustanzia, quasi da profundissimo sonno risvegliata, apre quegli occhi che tutti hanno e pochi adoprano, e vede in se stessa un raggio di quel lume che è la vera imagine della bellezza angelica a lei communicata, della quale essa poi communica al corpo una debil umbra; però, divenuta cieca alle cose terrene, si fa oculatissima alle celesti; e talor, quando le virtú motive del corpo si trovano dalla assidua contemplazione astratte, o vero dal sonno legate, non essendo da quelle impedita, sente un certo odor nascoso della vera bellezza angelica, e rapita dal splendor di quella luce comincia ad infiammarsi e tanto avidamente la segue, che quasi diviene ebria e fuor di se stessa, per desiderio d'unirsi con quella, parendole aver trovato l'orma di Dio, nella contemplazion dei quale, come nel suo beato fine, cerca di riposarsi; e però, ardendo in questa felicissima fiamma, si leva alla sua piú nobil parte, che è l'intelletto; e quivi, non piú adombrata dalla oscura notte delle cose terrene, vede la bellezza divina; ma non però ancor in tutto la gode perfettamente, perché la contempla solo nel suo particular intelletto, il qual non po esser capace della immensa bellezza universale. Onde, non ben contento di questo beneficio, amore dona all'anima maggior felicità; ché, secondo che dalla bellezza particular d'un corpo la guida alla bellezza universal di tutti i corpi, cosí in ultimo grado di perfezione dallo intelletto particular la guida allo intelletto universale. Quindi l'anima, accesa nel santissimo foco del vero amor divino, vola ad unirsi con la natura angelica e non solamente in tutto abbandona il senso, ma piú non ha bisogno del discorso della ragione; ché, transformata in angelo, intende tutte le cose intelligibili, e senza velo o nube alcuna vede l'amplo mare della pura bellezza divina ed in sé lo riceve, e gode quella suprema felicità che dai sensi è incomprensibile.
LXIX.
Se adunque le bellezze, che tutto dí con questi nostri tenebrosi occhi veggiamo nei corpi corruttibili, che non son però altro che sogni ed umbre tenuissime di bellezza, ci paion tanto belle e graziose, che in noi spesso accenden foco ardentissimo e con tanto diletto, che riputiamo niuna felicità potersi agguagliar a quella che talor sentimo per un sol sguardo che ci venga dall'amata vista d'una donna, che felice maraviglia, che beato stupore pensiamo noi che sia quello, che occupa le anime che pervengono alla visione della bellezza divina! che dolce fiamma, che incendio suave creder si dee che sia quello, che nasce dal fonte della suprema e vera bellezza! che è principio d'ogni altra bellezza, che mai non cresce né scema; sempre bella e per se medesima, tanto in una parte, quanto nell'altra, simplicissima; a se stessa solamente simile, e di niuna altra participe; ma talmente bella, che tutte le altre cose belle son belle perché da lei participan la sua bellezza. Questa è quella bellezza indistinta dalla somma bontà, che con la sua luce chiama e tira a sé tutte le cose; e non solamente alle intellettuali dona l'intelletto, alle razionali la ragione, alle sensuali il senso e l'appetito di vivere, ma alle piante ancora ed ai sassi communica, come un vestigio di se stessa, il moto e quello instinto naturale delle lor proprietà. Tanto adunque è maggiore e piú felice questo amor degli altri, quanto la causa che lo move è più eccellente; e però, come il foco materiale affina l'oro, cosí questo foco santissimo nelle anime distrugge e consuma ciò che v'è di mortale e vivifica e fa bella quella parte celeste, che in esse prima era dal senso mortificata e sepulta. Questo è il rogo, nel quale scrivono i poeti esser arso Ercule nella summità del monte Oeta e per tal incendio dopo morte esser restato divino ed immortale'; questo è lo ardente rubo di Mosè, le lingue dispartite di foco, l'infiammato carro di Elia, il quale raddoppia la grazia e felicità nell'anime di coloro che son degni di vederlo, quando da questa terrestre bassezza partendo se ne vola verso il cielo. Indriciamo adunque tutti i pensieri e le forze dell'anima nostra a questo santissimo lume, che ci mostra la via che al ciel conduce; e drieto a quello, spogliandoci gli affetti che nel descendere ci eravamo vestiti, per la scala che nell'infimo grado tiene l'ombra di bellezza sensuale ascendiamo alla sublime stanzia ove abita la celeste, amabile e vera bellezza, che nei secreti penetrali di Dio sta nascosta, acciò che gli occhi profani veder non la possano; e quivi trovaremo felicissimo termine ai nostri desidèri, vero riposo nelle fatiche, certo rimedio nelle miserie, medicina saluberrima nelle infirmità, porto sicurissimo nelle turbide procelle del tempestoso mar di questa vita.
LXX.
Qual sarà adunque, o Amor santissimo, lingua mortal che degnamente laudar ti possa? Tu, bellissimo, bonissimo, sapientissimo, dalla unione della bellezza e bontà e sapienzia divina derivi ed in quella stai, ed a quella per quella come in circulo ritorni. Tu dulcissimo vinculo del mondo, mezzo tra le cose celesti e le terrene, con benigno temperamento inclini le virtú superne al governo delle inferiori e, rivolgendo le menti de' mortali al suo principio, con quello le congiungi. Tu di concordia unisci gli elementi, movi la natura a produrre e ciò che nasce alla succession della vita. Tu le cose separate aduni, alle imperfette dài la perfezione, alle dissimili la similitudine, alle inimiche la amicizia, alla terra i frutti, al mar la tranquillità, al cielo il lume vitale. Tu padre sei de' veri piaceri, delle grazie, della pace, della mansuetudine e benivolenzia, inimico della rustica ferità, della ignavia, in somma principio e fine d'ogni bene. E perché abitar ti diletti il fior dei bei corpi e belle anime e di là talor mostrarti un poco agli occhi ed alle menti di quelli che degni son di vederti, penso che or qui fra noi sia la tua stanzia. Però dégnati, Signor, d'udir i nostri prieghi, infundi te stesso nei nostri cori e col splendor del tuo santissimo foco illumina le nostre tenebre e come fidata guida in questo cieco labirinto mostraci il vero camino. Correggi tu la falsità dei sensi e dopo 'l lungo vaneggiare donaci il vero e sodo bene; facci sentir quegli odori spirituali che vivifican le virtú dell'intelletto, ed udir l'armonia celeste talmente concordante, che in noi non abbia loco piú alcuna discordia di passione; inebriaci tu a quel fonte inesausto di contentezza che sempre diletta e mai non sazia, ed a chi bee delle sue vive e limpide acque dà gusto di vera beatitudine; purga tu coi raggi della tua luce gli occhi nostri dalla caliginosa ignoranzia, acciò che piú non apprezzino bellezza mortale e conoscano che le cose che prima veder loro parea, non sono, e quelle che non vedeano veramente sono; accetta l'anime nostre, che a te s'offeriscono in sacrificio; abbrusciale in quella viva fiamma che consuma ogni bruttezza materiale, acciò che in tutto separate dal corpo, con perpetuo e dolcissimo legame s'uniscano con la bellezza divina, e noi da noi stessi alienati, come veri amanti, nello amato possiam transformarsi, e levandone da terra esser ammessi al convivio degli angeli, dove, pasciuti d'ambrosia e nèttare immortale, in ultimo moriamo di felicissima e vital morte, come già morirono quegli antichi Padri, l'anime dei quali tu con ardentissima virtú di contemplazione rapisti dal corpo e congiungesti con Dio -.
LXXI.
Avendo il Bembo insin qui parlato con tanta veemenzia, che quasi pareva astratto e fuor di sé, stavasi cheto e immobile, tenendo gli occhi verso il cielo, come stupido; quando la signora Emilia, la quale insieme con gli altri era stata sempre attentissima ascoltando il ragionamento, lo prese per la falda della robba e scuotendolo un poco disse: - Guardate, messer Pietro, che con questi pensieri a voi ancora non si separi l'anima dal corpo. - Signora, - rispose messer Pietro, - non saria questo il primo miraculo, che amor abbia in me operato -. Allora la signora Duchessa e tutti gli altri cominciarono di novo a far instanzia al Bembo che seguitasse il ragionamento, e ad ognuno parea quasi sentirsi nell'animo una certa scintilla di quell'amor divino che lo stimulasse, e tutti desideravano d'udir piú oltre; ma il Bembo, - Signori, - suggiunse, - io ho detto quello che 'l sacro furor amoroso improvvisamente m'ha dettato; ora che par che piú non m'aspiri, non saprei che dire; e penso che amor non voglia che piú avanti siano scoperti i suoi secreti, né che il cortegiano passi quel grado che ad esso è piacciuto ch'io gli mostri; e perciò non è forse licito parlar piú di questa materia -.
LXXII.
- Veramente, - disse la signora Duchessa, - se 'l cortegiano non giovane sarà tale che seguitar possa il camino che voi gli avete mostrato, ragionevolmente dovrà contentarsi di tanta felicità e non avere invidia al giovane -. Allora messer Cesare Gonzaga, - La strada, - disse, - che a questa felicità conduce, parmi tanto erta, che a gran pena credo che andar vi si possa -. Suggiunse il signor Gaspar: - L'andarvi credo che agli omini sia difficile, ma alle donne impossibile -. Rise la signora Emilia e disse: - Signor Gaspar, se tante volte ritornate al farci ingiuria, vi prometto che non vi si perdonerà piú -. Rispose il signor Gaspar: - Ingiuria non vi si fa, dicendo che l'anime delle donne non sono tanto purgate dalle passioni come quelle degli omini, né versate nelle contemplazioni, come ha detto messer Pietro che è necessario che sian quelle che hanno da gustar l'amor divino. Però non si legge che donna alcuna abbia avuta questa grazia, ma sí molti omini come Platone, Socrate e Plotino e molt'altri; e de' nostri tanti santi Padri come san Francesco, a cui un ardente spirito amoroso impresse il sacratissimo sigillo delle cinque piaghe; né altro che virtú d'amor poteva rapire san Paulo apostolo alla visione di quei secreti di che non è licito all'uom parlare; né mostrar a san Stefano i cieli aperti -. Quivi rispose il Magnifico Iuliano: - Non saranno in questo le donne punto superate dagli omini, perché Socrate istesso confessa, tutti i misterii amorosi che egli sapeva, essergli stati rivelati da una donna, che fu quella Diotima; e l'angelo che col foco d'amor impiagò san Francesco, del medesimo carattere ha fatto ancor degne alcune donne alla età nostra. Dovete ancor ricordarvi che a santa Maria Magdalena furono rimessi molti peccati perché ella amò molto, e forse non con minor grazia che san Paulo fu ella molte volte rapita dall'amor angelico al terzo cielo; e di tante altre, le quali, come ieri piú diffusamente narrai, per amor del nome di Cristo non hanno curato la vita, né temuto i strazi, né alcuna maniera di morte, per orribile e crudele che ella fosse; e non erano, come vole messer Pietro che sia il suo cortegiano, vecchie, ma fanciulle tenere e delicate, ed in quella età nella quale esso dice che si deve comportar agli omini l'amor sensuale -.
LXXIII.
Il signor Gaspar cominciava a prepararsi per rispondere; ma la signora Duchessa, - Di questo, - disse, - sia giudice messer Pietro Bembo e stiasi alla sua sentenzia, se le donne sono cosí capaci dell'amor divino come gli omini, o no. Ma perché la lite tra voi potrebbe esser troppo lunga, sarà ben a differirla insino a domani. - Anzi a questa sera, - disse messer Cesare Gonzaga. - E come a questa sera? - disse la signora Duchessa. Rispose messer Cesare: - Perché già è di giorno; - e mostrolle la luce che incominciava ad entrar per le fissure delle finestre. Allora ognuno si levò in piedi con molta maraviglia, perché non pareva che i ragionamenti fossero durati piú del consueto, ma per l'essersi incominciati molto piú tardi e per la loro piacevolezza aveano ingannato quei signori tanto, che non s'erano accorti del fuggir dell'ore; né era alcuno che negli occhi sentisse gravezza di sonno, il che quasi sempre interviene, quando l'ora consueta del dormire si passa in vigilia. Aperte adunque le finestre da quella banda del palazzo che riguarda l'alta cima del monte di Catri, videro già esser nata in oriente una bella aurora di color di rose e tutte le stelle sparite, fuor che la dolce governatrice del ciel di Venere, che della notte e del giorno tiene i confini; dalla qual parea che spirasse un'aura soave, che di mordente fresco empiendo l'aria, cominciava tra le mormoranti selve de' colli vicini a risvegliar dolci concenti dei vaghi augelli. Onde tutti, avendo con riverenzia preso commiato dalla signora Duchessa, s'inviarono verso le lor stanzie senza lume di torchi, bastando lor quello del giorno; e quando già erano per uscir dalla camera, voltossi il signor Prefetto alla signora Duchessa e disse: - Signora, per terminar la lite tra 'l signor Gaspar e 'l signor Magnifico, veniremo col giudice questa sera piú per tempo che non si fece ieri -. Rispose la signora Emilia: - Con patto che se 'l signor Gaspar vorrà accusar le donne e dar loro, come è suo costume, qualche falsa calunnia, esso ancora dia sicurtà di star a ragione, perch'io lo allego suspetto fuggitivo -.
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Edizione telematica e revisione a cura di: Giuseppe Bonghi, 1999
Edizione HTML e impaginazione a cura di: Giuseppe Bonghi, Aprile 1999
Tratto da: Baldesar Castiglione, Il
libro del Cortegiano, a cura di Luigi Preti, Giulio Einaudi Editore, Torino 1965
© 1999 - by prof. Giuseppe Bonghi
- E-mail: Giuseppe Bonghi - bonghi@mail.fausernet.novara.it
Ultimo aggiornamento: 14 aprile, 1999