Giuseppe Bonghi
Biografia
di
Giacomo Leopardi
Terza parte
I Grandi Idilli
Il 12 o 13 luglio del
1825 parte per Milano, dopo aver ricevuto il permesso del padre, che facilmente glielo
concede, (ma gli "spiccioli" per il viaggio deve chiederli allo zio Ettore),
giungendovi il 30 dopo una sosta a Bologna dal 18 al 27. A Bologna rivede Giordani e
conosce leditore Pietro Brighenti che pubblica tra laltro il "Caffè di Petronio", sul quale appare anonimo Il sogno.
Il 27 parte controvoglia per Milano, ma durante il viaggio lo colpisce un violento dolore
intestinale, che si acuisce col caldo e che lo farà soffrire per ben 14 mesi e di cui
guarirà solo nellinverno del 1827 (mi sono guarito nel
cuor dellinverno, di quel mio male del ventre, duratomi quattordici mesi,
scrive infatti al Brighenti il 9 febbraio 1827). Questo male comunque tornerà spesso ad
affliggerlo tanto da obbligarlo a non viaggiare più durante lestate, quando potrà
affrontare solo brevi viaggi e di notte. Il 29 giunge a Piacenza, dove pernotta, e il 30
giunge a Milano, accolto dalleditore Stella che lo aveva atteso alla fermata della
carrozza.
A Milano, come abbiamo già detto, è
ospite delleditore Stella, nella casa situata vicino al Teatro alla Scala; ma il
soggiorno milanese non è molto apprezzato dal poeta, attratto dal capoluogo bolognese,
che spesso rimpiange sognando le passeggiate nel quartiere di San Petronio, anche se la
capitale del Lombardo-Veneto è la città più moderna ed europea dItalia, il vero
centro della cultura e del Romanticismo, così vicina comè alle nazioni europee di
cultura francese e tedesca; ed è un soggiorno poco apprezzato anche perché gli uomini,
come nella sua respinta Recanati, squadrano gli altri da capo a piedi allo stesso modo
della gente di Montemorello alla ricerca degli altrui difetti, come scrive al fratello
Carlo già il 31 luglio, il giorno dopo larrivo!, e il 7 settembre precisa il suo
giudizio:
Ma tu non hai ben compreso il sentimento della mia lettera. Limbarazzo di cui ti parlava, nasceva solamente dal tuono mercantile di questa casa, la quale mi parve a prima vista la peggior locanda che mi fosse toccata nel viaggio. Poi le cose si sono un poco accomodate, e io mi sono assuefatto, e fin dalla prima sera, quantunque mi paresse di non poter durare, io era però intrepido, perchè la mia pazienza non ha confini conosciuti. Del resto, e in casa e in Milano, io sono stato sempre très - à mon aise. Quello spirito di osservazione curiosa e insolente che tu notasti in Sinigaglia vi fu notato anche da me, e mi parve che arrivasse a un grado da far perdere la pazienza anche a un mio pari; quantunque io trovassi la città già piena di gente e di fracasso, chera un inferno. Ma da ciò tu non devi prendere idea delle capitali. Quel che ti scrissi di Milano, fu una mia osservazione precipitata. Il fatto si è che in Milano nessun pensa a voi, e ciascuno vive a suo modo anche più liberamente che in Roma.
A Bologna tornerà da
Milano il 29 settembre, prendendo in subaffitto un appartamentino in casa di Vincenzo
Aliprandi, nei pressi del teatro Nuovo, con laiuto di Pietro Brighenti, trattato con
ogni riguardo; la paga che mensilmente gli passava leditore Stella non bastava per i
suoi bisogni più immediati, per cui fu costretto a racimolare qualche soldo dando lezioni
private, a un certo Papadopoli, di cui diverrà abbastanza amico, e a un certo Polidoros:
non era il massimo, ma certamente gli permetteva di sbarcare il lunario, conquistando un
minimo dindipendenza: ma quando verranno a mancare le lezioni private, sospese per
motivi di salute o per impegni vari, diventerà indispensabile laiuto del padre. In
questo periodo cerca invano, anche con laiuto di personaggi influenti, come Carl
Bunsen ambasciatore Prussiano presso la Corte Papale, unoccupazione
A Bologna stringe nuove amicizie, come
quella con Carlo Pepoli (nel marzo 1826 scriverà Al conte Carlo Pepoli). Intanto,
dopo essersi svincolato dallimpresa ciceroniana, lavora per leditore Stella,
con un accordo che gli assicura un assegno mensile, con limpegno di curare
ledizione di alcune grandi opere classiche della Letteratura italiana; nel mese di
giugno usciranno infatti le Rime di Francesco Petrarca
con "linterpretazione composta dal conte Giacomo Leopardi",
nel 27 la Crestomazia italiana della prosa e nel
28 la Crestomazia italiana poetica, due
antologie che andava già preparando da un paio danni.
Il soggiorno bolognese però non gli fa
avere nuove grandi conoscenze: trascorre giornate vuote. "lontano da casa non aveva
scoperto né le donne, come si era augurato a Roma, né le distrazioni, ma soltanto la sua
incapacità di vivere con gli altri. Il suo habitat ideale era proprio quello coltivato da
Monaldo: lo scrittoio di una camera affastellata di libri con le finestre chiuse e
allimprovviso aperte come dimpeto, per ascoltare il rumore del mondo" (Damiani,
Allapparir del vero, Mondadori, p. 261). La
passione per Bologna era ormai svanita e nelle lunghe passeggiate novembrine verso la
chiesa di San Luca e nellambiente circostante cerca reminiscenze di Recanati.
Trascorre così il lungo inverno, triste
e freddo, allietato talvolta dalle visite in casa del medico Tommasini, di cui diventa
amico e dallaffettuosa amicizia di Adelaide, la giovane figlia che sposerà un certo
Maestri e che diventerà amica anche di Paolina Leopardi.
Il lunedì di Pasqua 1826
allAccademia dei Felsinei legge lode A Carlo Pepoli,
in una serata lunga e piena di noia: lesibizione di Leopardi delude tutti e viene
definita quella dun dotto letterato di tetro umore. Alla seduta partecipa anche
Teresa Carniani Malvezzi, nata a Firenze nel 1785 e sposatasi sedicenne con il conte
Francesco Malvezzi de Medici, amica e corrispondente del Monti, gentildonna
dilettante di letteratura, poetessa desiderosa di trovarsi al centro dellattenzione,
non bella. Teresa aveva assunto il nome arcadico di Ipsinoe Cidonia e teneva un salotto
"letterario" a Bologna; si vantava di aver studiato geometria da bambina e di
averne ripreso gli studi, dopo il matrimonio, insieme a quello delle letterature
classiche, della filosofia e delle lingue moderne col celebre Mezzofanti, che si diceva
conoscesse una ventina di lingue, parlandole abbastanza correntemente. Giacomo comincia a
frequentare il suo salotto; e lui che non aveva ancora conosciuto una donna in grado di
capire ciò che lui le diceva, provò per Teresa, per la prima volta in vita sua una
sconvolgente e inebriante sensazione mai provata prima. Così ne parla in una lettera al
fratello Carlo:
Bologna 30 maggio 1826
... Sono entrato con una donna (Fiorentina di nascita) maritata in una delle principali famiglie di qui, in una relazione, che forma ora una gran parte della mia vita. Non è giovane, ma è di una grazia e di uno spirito che (credilo a me, che finora lavevo creduto impossibile) supplisce alla gioventù, e crea unillusione meravigliosa. Nei primi giorni che la conobbi, vissi in una specie di delirio e di febbre. Non abbiamo mai parlato di amore se non per ischerzo, ma viviamo insieme in unamicizia tenera e sensibile, con un interesse scambievole, e un abbandono, che è come un amore senza inquietudine. Ha per me una stima altissima; se le leggo qualche mia cosa, spesso piange di cuore senzaffettazione; le lodi degli altri non hanno per me nessuna sostanza, le sue mi si convertono tutte in sangue, e mi restano tutte nellanima. Ama ed intende molto le lettere e la filosofia; non ci manca mai materia di discorso, e quasi ogni sera io sono con lei dallavemaria alla mezzanotte passata, e mi pare un momento. Ci confidiamo tutti i nostri secreti, ci riprendiamo, ci avvisiamo dei nostri difetti. In somma questa conoscenza forma e formerà unepoca ben marcata della mia vita, perché mi ha disingannato del disinganno, mi ha convinto che ci sono veramente al mondo dei piaceri che io credeva impossibili, e che io sono ancor capace dillusioni stabili, malgrado la cognizione e lassuefazione contraria così radicata, ed ha risuscitato il mio cuore, dopo un sonno, anzi una morte completa, durata per tanti anni.
Tanti, crediamo,
quanti ne sono passati dallincontro con la cugina Geltrude Cassi nel lontano 1817;
ma lamicizia così intensa non poteva passare inosservata agli occhi del marito di
Teresa che talora la rimprovera di trattenere lospite fino a mezzanotte, come
afferma lei stessa in una lettera inviata a Giacomo: "Gentilissimo
Leopardi, iersera mi sono buscata una bella chiassata per avere avuto lindiscrezione
di trattenervi sino a mezza notte. La mia cara metà si adombra di tutte le visite che mi
vengono fatte frequenti e lunghi. Ed io sono al mondo per soffrire una dose di più degli
altri viventi, e per tenermi sempre esercitata nella virtù dellasino, nella santa
pazienza".
La relazione con Teresa si interrompe nel
mese di ottobre, per naturale consunzione, vista limpossibilità di qualsiasi altro
sbocco; così le scrive Giacomo per lultima volta:
Bologna s.d., ma Ottobre 1826
Contessa mia. Lultima volta che ebbi il piacere di vedervi, voi mi diceste così chiaramente che la mia conversazione da solo a sola vi annoiava, che non mi lasciaste luogo a nessun pretesto per ardire di continuarvi la frequenza delle mie visite. Non crediate chio mi chiami offeso; se volessi dolermi di qualche cosa, mi dorrei che i vostri atti, e le vostre parola, benché chiare abbastanza, non fossero ancora più chiare ed aperte. Ora vorrei dopo tanto tempo venirvi a salutarvi, ma non ardisco di farlo senza vostra licenza. Ve la domando istantemente, desiderando assai di ripetervi a voce che io sono, come ben sapete, vostro vero e cordiale amico Giacomo Leopardi.
Una breve parentesi è
il viaggio che compie a Ravenna su invito di un lontano parente, il marchese Antonio
Cavalli, che desiderava mostrargli una traduzione di Cavalli, da pubblicare magari con lo
Stella e che uscirà in effetti lanno successivo ed avrà un discreto successo di
pubblico. Leopardi parta da Bologna il 2 agosto e vi fa ritorno il 13, un breve soggiorno
durante il quale visita la tomba di Dante, che però non gli dà le stesse profonde
sensazioni della tomba di Tasso. A Ravenna viene trattato con molti riguardi dai genitori
di Antonio Cavalli, che lo induce a scrivere una lettera di raccomandazione per
leditore Stella, che rifiuterà comunque la pubblicazione.
Il 3 novembre 1826 lascia Bologna e
rientra a Recanati dove giunge il 10 dopo un cattivo viaggio e un giro poco felice per la
Romagna, dopo 15 mesi di assenza durante i quali era riuscito a mantenersi da solo, ma non
aveva avuto quella fortuna, chera lecito aspettarsi, vista la qualità e
limportanza di chi cercava di aiutarlo (basta ricordare lerudito Carl Bunsen
che svolgeva a Roma incarichi diplomatici come segretario dellambasciata di Prussia,
successore di Niebhur, che dal 1816 al 1823 era stato lincaricato di affari del
governo Prussiano presso la Curia Romana), che gli permettesse di avere un impiego
stabile: dalle stanze vaticane arrivarono soltanto promesse, concrete ma solo promesse.
Per tutto linverno Leopardi vive
praticamente recluso nella casa di Montemorello e dal suo arrivo la prima volta che
uscirà sarà il giorno della partenza per Bologna (come scrive a Puccinotti il 21 aprile:
Quanto a me, la prima volta che in Recanati sarò uscito di casa,
sarà dopo dimani, quando monterò in legno per andarmene) e trascorre
lintera giornata nella biblioteca paterna, concedendosi solo qualche passeggiata
lungo lo stretto corridoio sul quale si aprono le varie stanze della casa, e alla sera
soffre il freddo, anche se non come quello sofferto nellinverno precedente a
Bologna.
Alla fine del mese di febbraio 1827
comincia la correzione delle bozze delle Operette morali,
che aveva consegnato il 12 maggio dellanno prima al Moratti, agente
delleditore Stella colla promessa che sarebbe stato stampato nella collana "Biblioteca amena ed istruttive per le donne gentili" "se lautore non si fosse opposto", proposto che,
come abbiamo visto, scatena la reazione negativa di Leopardi che ottiene che la
pubblicazione avvenga in volume unico e al di fuori di qualsiasi collana come a se stante
nel 1827.
Il "pessimismo cosmico"
Gli anni dal 1823 con i viaggi a Milano e Bologna, la composizione delle Operette morali il soggiorno a Recanati portano il poeta a un approfondimento delle problematiche umane, andando al di là del pessimismo storico. La coscienza dellinfelicità umana lo porta alla concezione del pessimismo cosmico. La Natura non è più la madre benefica che a tutto provvede e sparge speranze nelletà giovanile a piene mani e si manifesta nella bellezza del mondo, ma diventa una forza meccanica che affatica tutte le cose di moto in moto, in ogni momento dellesistenza degli uomini degli animali e delle piante nel ciclo perenne di trasformazione della materia. In questo universo, di cui luomo ignora ragioni e finalità, anche se una divinità superiore e inconoscibile dovrebbe conoscere tutto (la luna nel Canto notturno):
E tu certo comprendi |
Ma a differenza degli animali e delle cose luomo ha il dono funesto della ragione e della coscienza dellesistenza e del trascorrere sulla propria pelle, fino alla morte, alla caduta nellorrido abisso del nulla, che non è da intendere semplicemente come ciò che non esiste, ma come il vuoto che precede il mondo sensibile nel quale noi viviamo, un mondo sconosciuto e inconoscibile che è orrido come orrido è tutto ciò che non assume le forme note del mondo che noi conosciamo:
Tutto è male. Cioè tutto quello che è, è male; che ciascuna cosa esista è un male; ciascuna cosa esiste per fin di male; l'esistenza è un male e ordinata al male; il fine dell'universo è il male; l'ordine e lo stato, le leggi, l'andamento naturale dell'universo non sono altro che male, nè diretti ad altro che al male. Non v'è altro bene che il non essere; non v'ha altro di buono che quel che non è; le cose che non son cose: tutte le cose sono cattive. Il tutto esistente; il complesso dei tanti mondi che esistono; l'universo; non è che un neo, un bruscolo in metafisica. L'esistenza, per sua natura ed essenza propria e generale, è un'imperfezione, un'irregolarità, una mostruosità. Ma questa imperfezione è una piccolissima cosa, un vero neo, perchè tutti i mondi che esistono, per quanti e quanto grandi che essi sieno, non essendo però certamente infiniti nè di numero nè di grandezza, sono per conseguenza infinitamente piccoli a paragone di ciò che l'universo potrebbe essere se fosse infinito; e il tutto esistente è infinitamente piccolo a paragone della infinità vera, per dir così, del non esistente, del nulla.
Questo sistema, benchè urti le nostre idee, che credono che il fine non possa essere altro che il bene, sarebbe forse più sostenibile di quello del Leibnitz, del Pope ec. che tutto è bene. Non ardirei però estenderlo a dire che l'universo esistente è il peggiore degli universi possibili, sostituendo così all'ottimismo il pessimismo. Chi può conoscere i limiti della possibilità?...
Così scrive sullo
Zibaldone in Bologna il 19 aprile 1826; e queste poche parole ci fanno capire due cose
fondamentali:
1) in Leopardi non si può parlare con
rigore di pessimismo (il brano riportato sopra è lunico in cui compare la parola
pessimismo);
2) in Leopardi dobbiamo mettere
lattenzione sulle due dicotomie felicità-infelicità e finito-infinito, la prima
riguarda essenzialmente lesistenza umana, la seconda ciò che si trova al di là
della vita e leternità, cioè il nulla eterno, ciò che non può essere compreso
dalla mente umana perché questa è limitata e finita.
Non possiamo parlare a rigor di logica di
pessimismo storico o cosmico,
ma di infelicità storica o cosmica, e
quindi di unesistenza infelice che finisce nel nulla eterno,
per cui in questa esistenza tutto diventa vano e inutile e alluomo non resta che
avere la coscienza di questa vita, in cui la sofferenza quotidiana è nobilitata dalla
dignità umana e dalla non rassegnazione al meccanicismo universale. Così scrive nello Zibaldone in Bologna il 13 luglio 1826:
Riconosciuta la impossibilità tanto dell'esser felice, quanto del lasciar mai di desiderarlo sopra tutto, anzi unicamente; riconosciuta la necessaria tendenza della vita dell'anima ad un fine impossibile a conseguirsi; riconosciuto che l'infelicità dei viventi, universale e necessaria, non consiste in altro nè deriva da altro, che da questa tendenza, e dal non potere essa raggiungere il suo scopo; riconosciuto in ultimo che questa infelicità universale è tanto maggiore in ciascuna specie o individuo animale, quanto la detta tendenza è più sentita; resta che il sommo possibile della felicità, ossia il minor grado possibile d'infelicità, consista nel minor possibile sentimento di detta tendenza. (13 luglio 1826)
Siamo con questo giunti alla fine del secondo stadio della vita umana, che è quello della disperazione furibonda e renitente. Il 3 Giugno 1826 sempre in Bologna così scrive nello Zibaldone:
Tre stati della gioventù: 1. speranza, forse il più affannoso di tutti: 2. disperazione furibonda e renitente: 3. disperazione rassegnata.
1827 - Bologna Firenze
Il 23 aprile
riparte da Recanati per Bologna dove giunge il 26 daprile e vi si trattiene per
quasi due mesi; alloggia alla Locanda della Pace, dove nella prima decade di giugno lo
raggiunge leditore Stella, che alloggia per cinque giorni nella stessa locanda per
aver più agio di parlare con Leopardi, che nel frattempo soffre di una aggravata
flussione agli occhi, che non si presentava in questo modo dal 1819, quasi consigliere
oltre che autore; è in quei giorni che Leopardi consegna il manoscritto della Crestomazia e discute di altri progetti, come di una
"enciclopedia delle cognizioni inutili e delle cose che non si sanno",
congegnata con i materiali dello Zibaldone, sul
modello del Dizionario filosofico di Voltaire; in
giugno esce la prima edizione delle Operette morali.
Il 20 giugno parte da Bologna in
compagnia di don Luigi Masi, amico di Brighenti, spia tra laltro del governo
pontificio, che nella vita di Leopardi rappresenta un elemento più negativo che positivo,
anche se era stato sempre trattato amichevolmente e con fiducia dal poeta recanatese. Il
21 arriva a Firenze dove si sistema allalbergo della Fontana nei pressi del Mercato
del grano e di Palazzo Vecchio su consiglio di Giordani e dello stesso Brighenti. A
Firenze frequenta lambiente del Gabinetto Vieusseux, entrando in contatto con Gino
Capponi, Niccolò Tommaseo, Pietro Colletta, Alessandro Poerio e dove conosce il giovane
esule napoletano Antonio Ranieri, che una grande parte avrà nella sua vita.
Ma le condizioni spirituali, determinate da una triste meditazioni su quanto aveva
raggiunto fino a quel momento, lo gettano in una disperazione un po sorda, tanto da
fargli scrivere allamico Francesco Puccinotti di Macerata il 16 agosto: Sono stanco della vita, stanco della indifferenza filosofica, ch'è il
solo rimedio de' mali, e della noia, ma che in fine annoia essa medesima. Non ho altri
disegni, altre speranze che di morire. Veramente non metteva conto il pigliarsi tante
fatiche per questo fine.
Il 3 settembre, durante un
ricevimento offerto dal Gabinetto Vieusseux in onore di Alessandro Manzoni, avviene
lincontro tra il poeta recanatese e il grande scrittore e poeta milanese, che aveva
appena pubblicato I promessi sposi; così descrive al
padre Monaldo lavvenimento qualche giorno dopo:
Firenze 8 settembre 1827
Carissimo Signor Padre. Rispondo pur troppo tardi alla cara sua ultima, ma Ella non si può immaginare la pena che mi dà lo scrivere, a causa del cattivo stato de miei occhi. Sono costretto a mancare non solo allaffezione, ma anche alla creanza, lasciando senza risposta parecchie lettere che mi vengono da persone degne di riguardo. La mia debolezza docchi è la più grave ed ostinata che io abbia sofferto da otto anni in qua: tuttavia spero nellinverno; ma lautunno al solito me la rende più molesta. Del rimanente, grazie a Dio, sto bene, eccetto incomodi leggeri di flussioni e di stomaco. Ella indovina assai bene che io non posso curarmi molto di certe alte conoscenze, dalle quali anche non potrei sperar nulla. Me la passo con questi letterati, che sono tutti molto sociali, e generalmente pensano e valgono assai più de bolognesi. Tra forestieri ho fatto conoscenza e amicizia col famoso Manzoni di Milano, della cui ultima opera tutta lItalia parla, e che ora è qui colla sua famiglia. ...
Sono parole fredde, di circostanza, come quelle che scrive allamico Brighenti lo stesso giorno: Io qui ho avuto il bene di conoscere personalmente il signor Manzoni, e di trattenermi seco a lungo: uomo pieno di amabilità, e degno della sua fama., che corregge in parte ciò che allo stesso Brighenti aveva scritto il 30 Agosto: Qui si aspetta Manzoni a momenti. Hai tu veduto il suo romanzo, che fa tanto rumore, e val tanto poco?; e questo è anche lunico cenno al romanzo, che Leopardi fino a quel momento non aveva neanche visto e ne aveva sentito leggere qualche pagina in una delle serate alle quali partecipava a Firenze.
Il nove di novembre si trasferisce a Pisa, facendo il viaggio in compagnia di Gaetano Cioni che accompagnava allUniversità pisana il figlio Girolamo; il viaggio dura lintera giornata, comprese due ore di sosta a Pontedera per permettere al poeta di far colazione; grazie al Cioni trova alloggio in un piccolo appartamento di via della Faggiuola, a casa di Giuseppe Soderini, soprannominato Nocciolo, di modesta ma decorosa condizione sociale; Soderini, come lAliprandi di Bologna, fornisce camere in affitto praticando prezzi per studenti. A Pisa trova le condizioni climatiche più adatte alle sue malferme condizioni di salute ed entra in rapporto con diversi ambienti mondani e culturali, dove viene accolto con molto favore.
Pisa e Teresa Lucignani
In casa Soderini conosce Teresa Lucignani, cognata del padrone di casa, bionda con gli occhi azzurri e una folta capigliatura di boccoli inanellati, che lo incantava colla sua freschezza. La donna "non aveva ricevuto una vera istruzione e questo apparente difetto conferiva una grazia particolare alle sue maniere dolci, alle sue parole timide". Ancora nella sua vecchiaia, intervistata dalla "Gazzetta letteraria" ricordava "il poeta come un uomo abitudinario e curioso, che osservava per strada con tale attenzione le coppie di innamorati da essere in grado di descrivere nei minimi dettagli i loro abiti, gli accenti della voce, le andature. Spesso si metteva alla finestra a spiare il passare delle donne" (Damiani, p. 330). Teresa rimase affezionata nel tempo allomino deforme, che passava per uno scienziato pur studiando poco e solo alla luce del giorno e alla domenica non andava a messa. Lincontro con Teresa lo riporta ai primi moti del cuore vissuti nella sua Recanati, una via di Pisa, in particolare, nella quale andava a passeggiare e che aveva ribattezzato Via delle Rimembranze, avevano risvegliato in lui sentimenti sopiti, sensazioni che sembravano passate. Ed è proprio allora che ritorna alla poesia: comincia il periodo dei Grandi Idilli. Una qualche importanza ha certamente avuto per il suo ritorno alla poesia il personaggio di Teresa, una delle pochissime persone che poteva chiamarlo Giacomo e non conte, e Pisa, che univa in sè la caratteristica della grande città e lintimità del borgo paesano.
1828: la ripresa poetica
Il 1828 è contrassegnato dalla rinata vena poetica, da cui sgorgano versi veramente allantica: in aprile nasce A Silvia e il 2 maggio così scrive alla sorella Paolina (riportiamo la lettera integralmente):
Pisa 2 Maggio 1828
Paolina mia. Tu ti lagni del mio lungo silenzio. Ma io, dopo aver risposto a Pietruccio, ti scrissi poco fa, e ti feci la stessa lagnanza, ora vedo che quella lettera non ti è arrivata. Le nuove che tu mi dài degli incomodi sofferti da Babbo e da Mamma e da voi altri, benché glincomodi, grazie a Dio, siano stati leggeri, mi hanno dispiaciuto molto; anzi mi tengono ancora angustiato; e ti prego per carità, che appena avrai ricevuto questa, mi scriva subito per dirmi che tutti siete guariti perfettamente e state bene. Dimmi ancora se domani sarete andati a fare la vostra solita scampagnata. Fatti anche dare la lettera che scrissi a Pietruccio, e rispondi a uninterrogazione che ci troverai. Io, grazie a Dio, non ho avuto mai febbre, come voi altri: la primavera mi ha incomodato e mincomoda ancora molto, ma non mi ha mai fatto ammalare, e glincomodi sono passeggeri. Ma veramente la stagione è stata cattiva ancor qui, non tanto per il freddo, quanto per lincostanza, e per il caldo fuor di tempo. Qui e in Firenze il terremoto non si è sentito, se non da certi pochi che lhanno detto dopo che lhan visto annunziato nella gazzetta. Dimmi se costì è stato tanto forte da metter paura. Dì a Carlo che per baratto di copie della Crestomazia, ho acquistato qui, fra certi libri, la storia di Ginguené, edizione francese, che mi ricordo che egli leggeva con piacere. Bacia la mano a Babbo e Mamma: salutami tutti: abbiti cura, e non stare al sole. Io ho finita ormai la Crestomazia poetica: e dopo due anni, ho fatto dei versi questAprile; ma versi veramente allantica, e con quel mio cuore duna volta. Addio, addio.
Il 4 maggio muore di tisi il fratello Luigi ventiquattrenne e grande è il dolore di Giacomo che avrebbe voluto recarsi subito a Recanati per stare vicino ai suoi familiari, ma la salute glielo impedisce: la stagione calda è già inoltrata e non può viaggiare di giorno; leggiamo integralmente la lettera inviata al padre Monaldo:
Pisa 18 maggio 1828
Mio carissimo Signor Padre. Non le parlerò del mio dolore, il quale è tanto, che io non giungo ad abbracciarlo tutto intero. Sento troppo bene quanto Ella abbia bisogno di consolazioni piuttosto che daltro; e il pensiero dello stato suo, e di quello della Mamma e dei fratelli, è uno dei principali fra quelli che mi fanno pianger tanto.
Fino dal momento che ricevetti la cara sua dei 2, la lontananza in cui mi trovo da loro cominciò a diventarmi acerbissima. Ora poi essa mi riesce quasi insopportabile; e se tutto il viaggio di qui a Recanati si potesse far di notte, come si fa con sicurezza di qui a Firenze, io laccerto senza alcuna esagerazione, che a questora o sarei già in cammino alla volta loro, o sul punto di partire. Ma perché conosco che avendo a viaggiar di giorno, in questa stagione già per me inoltrata, non potrei reggere al caldo, dal quale ancor qui bisogna che mi abbia una cura straordinaria, sono costretto con mia gran pena ad aspettare fino alla stagione più fresca; nel qual tempo, se Dio mi darà vita, e tanta salute da poter solamente salire in un legno, non vi sarà cosa al mondo che mi impedisca di mettermi in viaggio per tornar fra loro. Intanto, per questi pochi mesi, la supplico a fare chio abbia le loro nuove colla maggior frequenza possibile: non potrei più viver quieto in nessuna maniera, se mi trovassi per qualche tempo senza notizie precise dello stato loro. Io per la mia parte non mancherò dinformarla del mio con altrettanta frequenza. Ora, grazie a Dio, sto bene, e rassegnato al voler divino.
Ebbi la sua lettera ier laltro; ma quel giorno non ebbi forza di scrivere. Non ho veduto Rossi, e non me ne maraviglio, perché Ella non avrà potuto sapere il suo nome di battesimo (Antonio), ed essendo qui moltissimi i Rossi, è difficile che la lettera sia capitata al suo destino. I miei teneri saluti a tutti. Ella si abbia cura, e mi benedica. Il suo Giacomo.
Il male che si porta
dietro è già tanto pesante da sopportare che bisogna che stia attento a tutto, e
soprattutto ai viaggi e al caldo, perché la sua sofferenza maggiore riguarda lo stomaco,
così sensibile ai cambiamenti di calore, i nervi; proprio la respirazione, sulla carrozza
unitamente al caldo del giorno, diventa molto pericolosa: un male questo che lo affliggeva
già dal 1825 manifestatosi durante il primo viaggio a Milano e che ben per 14 mesi lo
fece star male.
Dopo il viaggio di una notte, la mattina
del 10 giugno ritorna a Firenze e nei primi giorni del soggiorno fiorentino viene colpito
di nuovo dal disturbo agli intestini che li aveva colpito a Milano, come scrive ad
Adelaide Maestri. Questennesimo malanno serve solo a convincerlo che il suo corpo
mal sopporta i viaggi e ha bisogno di una vita più tranquilla e sedentaria,
contrariamente a quanto avverrà. Il soggiorno a Firenze è caratterizzato una salute
particolarmente precaria, con emicranie troppo frequenti e gonfiori agli occhi che gli
impedivano quasi di pensare e soprattutto di leggere e scrivere. Deve perfino rifiutare
lofferta di una cattedra di studi danteschi allUniversità di Bonn, offertagli
da Karl Bunsen, e il rifiuto è determinato in gran parte dallincapacità di
sopportare il freddo di Bonn e in piccola parte dal timore di lasciare i suoi affetti più
cari. Lo stesso rapporto con Firenze e coi fiorentini diventa un po difficile, per
le continue lamentele di Giacomo, difficili da sopportare, quando diventano continue e
insistenti senza lo spiraglio di una reazione accettabile di fronte agli eventi pur
negativi della sua salute.
In questo periodo conosce Vincenzo
Gioberti, che nutrirà una sconfinata ammirazione per la poesia leopardiana per il cui
autore nutriva una istintiva affinità sentimentale e culturale, fatta di una idealità un
po staccata dalla realtà e dalla praticità quotidiana. Il soggiorno fiorentino
dura fino al 10 novembre, quando parte per lultima volta per Recanati, proprio con
Gioberti che trascorrerà anche una notte in casa del poeta. Sarà lultima volta che
si vedranno: la lontananza di Torino, e soprattutto la diversità delle vicende che
caratterizzeranno le loro esistenze non permetteranno alcun altro incontro; e certamente
questo influì in modo negativo sulla spiritualità di Giacomo e sulla sua capacità di
accettare la vita.
Recanati: l'ultimo soggiorno
Dopo 11 giorni di viaggio, il 21 novembre ritorna a casa e non sa quanto vi si fermerà: "forse per sempre": vi trascorrerà sedici mesi, fino alla partenza definitiva, sempre col desiderio vivissimo di scappare via, come scrive ad Adelaide Maestri il 31 dicembre:
Lo stato della mia salute è lordinario; e questo valga a dispensarmi dallentrare in una materia che mi annoia. Quanto a Recanati, vi rispondo chio ne partirò, ne scapperò, ne fuggirò subito chio possa; ma quando potrò? Questo è quello che non vi saprei dire. Intanto siate certa che la mia intenzione non è di star qui, dove non veggo altri che i miei di casa, e dove morrei di rabbia, di noia e di malinconia, se di questi mali si morisse.
Le chiede anzi di
guardarsi attorno con discrezione per vedere se "si potesse
trovare costà in Parma un impiego letterario onorevole, e di non troppa fatica; tale, che
si potesse accordare colla mia salute". Ed un lavoro in effetti viene
trovato: una cattedra di insegnamento di Storia naturale allUniversità di Parma,
per interessamento dellamico Tommasini, padre di Adelaide Maestri: ma non se ne fa
niente anche perché "salario" mensile di soli quattro luigi al mese non avrebbe
permesso al poeta di essere autonomo economicamente dai suoi genitori. Limplorazione
ad Adelaide Maestri viene rivolta anche ad altri amici. Nel mese di febbraio del 29,
mentre il padre Monaldo si trova a Roma per un impegno, Carlo si sposa segretamente con
Paolina Mazzagalli, bella ma squattrinata, scatenando una reazione abbastanza violenta
nella famiglia; viene perdonato dal padre, ma di fatto per 12 anni la sposa non potrà
mettere piede in casa Leopardi. Giacomo perde il fratello, che va a vivere in casa della
sposa, lamico e il confidente, perché le loro strade ormai divergono nettamente e a
parte alcune lettere non si incontreranno più.
Colluscita di casa del fratello, la
sua solitudine diventa più dolorosa e aspra, tanto da ridursi non solo a mangiare da
solo, e una sola volta al giorno, ma anche a vedere poco gli stessi familiari, rintanato
nella sua camera e nella biblioteca paterna. Senza compagni né tranquillità, incapace di
evadere da se stesso e dalle sue ossessioni, visse sprofondato in uno scoramento peggiore
di quanti ne aveva conosciuti mai. "Persino i suoi congiunti,
osservandolo, dovettero ammettere che in nessun posto era infelice quanto a casa sua"
(Origo, p. 315). Oltretutto laggravarsi delloftalmia tra
settembre e novembre, tale da impedirgli persino di leggere e scrivere, lo aveva
nuovamente strappato alle sue letture. Ma anche una situazione così drammatica sul piano
spirituale riuscì a smuovere i coniugi Leopardi dal tendere una mano al figlio e
permettergli di uscire da Recanati aiutandolo economicamente.
Questo soggiorno recanatese (21 novembre
1828 29 aprile 1830) è uno dei più fecondi della poesia leopardiana; nascono i grandi idilli: Il passero solitario,
Le ricordanze, La quiete dopo
la tempesta, Il sabato del villaggio, il
Canto notturno di un pastore errante dellAsia.
Allinizio del 1830 riceve
unennesima delusione: il 9 febbraio viene tenuta la rituale adunanza
dellAccademia della Crusca per lassegnazione, che avveniva ogni 5 anni, di un
premio di mille scudi destinato a unopera che congiungesse "purità ed eleganza
di stile ... allimportanza della materia"; i voti vengono così distribuiti: 13
a Carlo Botta per la sua Storia dItalia dal 1789 al 1814,
uno a un certo Michelangelo Lanci che aveva pubblicato unopera sulla Sacra scrittura illustrata con monumenti assiri ed egiziani
ed infine uno a Leopardi per le sue Operette morali,
dato da Gino Capponi o più probabilmente dallamico Niccolini. Alcuni membri
dellAccademia non votarono il Leopardi per il tono antireligioso, per cui non
potevano in effetti dirsi morali, ed altri non amavano il tono fantastico di alcune
operette, specialmente La storia del genere umano.
Il 23 marzo riceve una lettera di Pietro
Colletta che gli comunica linvito a nome di "amici di Toscana" a
trasferirsi a Firenze, come loro ospite, con un prestito, per un anno, di "18
francesconi al mese: questa una parte della lettera del Colletta, che comunque faceva
seguito a una proposta che aveva fatto già al Leopardi il 18 aprile di un anno prima,
invitandolo a seguire le orme del Botta ("Non potreste far
voi come fece il Botta? Ossia, ricevere un assegnamento mensuale; lavorare a volontà,
vendere i lavori, restituire le somme ricevute..."):
Sta a voi venire a viver tra noi, provvedere alla vostra salute, compiacere i vostri amici. Mi diceste una volta che 18 francesconi al mese bastavano al vostro vivere: ebbene 18 francesconi al mese Voi avrete per un anno, a cominciare, se vi piace, dal prossimo aprile. Io passerò in vostre mani, con anticipazione da mese a mese, la somma suddetta, ma non avrò altro peso ed ufficio che passarla: nulla uscirà di mia borsa: chi dà non sa a chi dà; e Voi che ricevete, non sapete da quali. Sarà prestito, qualora vi piaccia di rendere le ricevute somme; e sarà meno di prestito, se la occasione di restituire mancherà...
Giacomo, che aveva rifiutato la precedente proposta ("ma vi confesso chio non mi so risolvere a pubblicare in quel modo la mia mendicità. Il Botta ha dovuto farlo per mangiare: io non ho questa necessità per ora; e quando lavessi, dubito se eleggerei prima il limosinare, o il morir di fame. E non crediate che questa mia ripugnanza nasca da superbia; ma primieramente quella cosa mi farebbe vile a me stesso, e così mi priverebbe di tutte le facoltà dellanimo; poi non mi condurrebbe al mio fine, perché stando in città grande, non ardirei comparire in nessuna compagnia, non godrei nulla, guardato e additato da tutti con misericordia." 26-4-1829). Così risponde:
Recanati 2 aprile 1830
Mio caro Generale. Né le condizioni mie sosterrebbero chio ricusassi il benefizio, donde e come che mi venisse, e voi e gli amici vostri sapete beneficare in tal forma, che ogni più schivo consentirebbe di ricever benefizio da vostri pari. Accetto pertanto quello che mi offerite, e laccetto così confidentemente, che non potendo (come sapete) scrivere, e poco potendo dettare, differisco il ringraziarvi a quando lo potrò fare a viva voce, che sarà presto, perchio partirò fra pochi giorni. Per ora vi dirò solo che la vostra lettera, dopo sedici mesi di notte orribile, dopo un vivere dal quale Iddio scampi i miei maggiori nemici, è stata a me come un raggio di luce, più benedetto che non è il primo barlume del crepuscolo nelle regioni polari.
Io abitai costì tre mesi in via del Fosso (che è confusa per lo più con via Fiesolana, al numero 401, primo piano, con certe signore Busdraghi, buone persone e discrete. Se avrete tanta bontà di mandare a queste a chiedere se hanno camera per me che sia disoccupata, e in caso che labbiano, farmene avviso a Bologna, mi farete cosa carissima ed utile, perchio andrò diritto a smontare a quellalloggio. In caso che non labbiano, basterebbe, senzaltro scrivere, che vi compiaceste di fare avvisare quelli della Fontana che vedano di tenermi libera la camera che io abitava.
Addio, mio caro Generale. Non vi chiedo né della salute vostra né della storia, perché spero di parlarvene presto, e ne parleremo assai. Il vostro Leopardi.
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© aprile 1998 - by prof. Giuseppe Bonghi
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Ultimo aggiornamento: 08 settembre 1999