L'ETA' DEL REALISMO

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L'ETA' DEL REALISMO

Nasce a Valdicastello (prov. di Lucca) nel 1835 e trascorre infanzia e adolescenza nella Maremma grossetana. Il padre era medico condotto: "carbonaro-mazziniano" in politica e "manzoniano" in letteratura. In seguito a una serie di disavventure politiche, il padre fu costretto a girovagare per vari paesi della Versilia e della Maremma toscana, finché, in seguito alle rivoluzioni del 1848-49, venne definitivamente licenziato e, dopo la restaurazione austro-granducale, costretto a riparare a Firenze. Ovviamente il giovane Giosuè cominciò assai presto a maturare idee repubblicane e rivoluzionarie. Nel 1848, appena tredicenne, assisté col padre al discorso di Giuseppe Montanelli sulla Costituente che segnò a Livorno l'inizio della rivoluzione democratica toscana.

E così fa gli studi classici a Firenze, presso i padri Scolopi, pur non nutrendo alcun interesse per le questioni religiose. Già la madre l'aveva indirizzato allo studio dell'Alfieri e non ai testi di edificazione morale e religiosa. Del 1852 è il suo primo sonetto di argomento politico. Viene poi ammesso alla Scuola Normale di Pisa, dove consegue nel 1856 la laurea in Lettere con una dissertazione sulla poesia cavalleresca. Tra i suoi autori preferiti figurano Parini, Alfieri, Foscolo e Leopardi (tra i classici Orazio, Virgilio, Ovidio). Non gli riesce invece di accettare l'opera del Manzoni, né quella dei poeti sentimentali tardo-romantici o degli scrittori cattolici e moderati. A Pisa mise in piedi una sorta di club letterario, chiamato "Amici pedanti", che si prefiggevano come scopo quello di lottare contro le infiltrazioni delle espressioni straniere nella letteratura nazionale e di contrastare la corrente del Romanticismo.

L'idolo politico della gioventù toscana era il Guerrazzi, uno dei principali artefici della rivoluzione democratica toscana. Tuttavia il giovane Carducci si proclamava "scudiero dei classici", benché in polemica col moderatismo culturale fiorentino. Quando il Guerrazzi si trovò in esilio a Genova, il Carducci gli inviò un volumetto di poesie per sapere cosa ne pensava. Guerrazzi gli rispose tre cose fondamentali: 1. occorre parlare, anche quando si fa poesia, dei problemi del proprio tempo; 2. per poterlo fare con efficacia bisogna usare un linguaggio moderno e non un'imitazione di stile e forme passate; 3. la letteratura straniera contemporanea non è meno importante di quella antica.

Subito dopo la laurea, Carducci viene nominato insegnante di retorica (lettere italiane) presso una scuola secondaria di San Miniato al Tedesco (vicino Pisa). Vi resta solo un anno, perché a causa di gravi debiti è costretto ad andarsene. Nel '57 vince la cattedra di greco nel ginnasio di Arezzo, ma la nomina non viene ratificata dalle autorità granducali che vedevano in lui un oppositore politico; inoltre perché era accusato di ateismo. Vive perciò modestamente, impartendo lezioni private e curando per un editore la pubblicazione di una collana di classici, fino al termine della IIa guerra d'Indipendenza, per la quale, pur non partecipandovi attivamente, nutriva forti simpatie.

In breve tempo gli muoiono, suicida, il fratello Dante (1857) e, per il dolore, il padre (1858). Poco dopo (1859) sposava Elvira Menicucci, dalla quale ebbe quattro figli. Nominato professore di greco e latino al liceo di Pistoia, nel 1860 viene chiamato, senza concorso, dal ministro dell'Istruzione, Mamiani, alla cattedra di eloquenza (letteratura italiana) all'Università di Bologna. La sua fama di poeta fu il motivo di questo inaspettato incarico, per il quale egli avvertirà sempre una grande responsabilità. L'inserimento nell'ambiente universitario lo mette in contatto con una cultura più viva e moderna: approfondisce i poeti stranieri (Hugo, Goethe, Heine, Platen, Shelley) e arricchisce la sua preparazione politica con la lettura di Mazzini e degli scrittori francesi democratici e radicali (Quinet, Michelet, Blanc), mentre si accosta alle idee repubblicane e giacobine.  

Una svolta nella sua vita fu segnata dagli avvenimenti degli anni 1870-71: morte della madre e del figlioletto Dante (1870), inizio della relazione (1871) con Carolina Cristofori Piva (la Lidia o Lina della sua poesia). Sul piano professionale la sua vita di intellettuale coincide con la sua produzione poetica, con le sue ricerche critiche e filologiche, con la sue battaglie politico-letterarie. Il Carducci è uno dei pochi poeti italiani (l'altro è D'Annunzio) che con i suoi scritti e suoi comportamenti influenzerà notevolmente gli intellettuali della nazione. Famosissimo fu il suo Inno a Satana (1863) col quale egli esalta, in contrapposizione al Sillabo di Pio IX, la cultura illuministico-giacobina, la Rivoluzione francese e il progresso scientifico. A Bologna le sue lezioni attrassero un gran numero di studenti: le odi Sicilia e rivoluzione e Dopo Aspromonte furono particolarmente apprezzate.

Il Carducci visse molto intensamente gli anni che prepararono e che seguirono l'unità d'Italia. Dopo il 1861, morto il Cavour, egli ebbe l'impressione che la borghesia volesse rinunciare a realizzare la piena unificazione nazionale con Roma capitale, per cui si dichiara apertamente democratico e repubblicano. Per questa ragione nel 1868 viene trasferito d'ufficio alla cattedra di latino a Napoli; siccome rifiutò, fu sospeso per tre mesi dall'insegnamento e dallo stipendio, con altre tre docenti dell'ateneo. Il Carducci, infatti, fu per così dire il poeta del partito d'azione, cioè del partito repubblicano (garibaldino, mazziniano e anticlericale), che mal si adattava alla soluzione moderata e monarchica scelta dalla borghesia, alleata con la nobiltà terriera del Sud. Tant'è che proprio per effetto di quei provvedimenti le sue poesie ebbero una maggiore diffusione: l'epodo per Monti e Tognetti, fatti decapitare a Roma dal governo pontificio, fu venduto a migliaia di copie a beneficio delle famiglie dei giustiziati.  

Va detto tuttavia che in una sua lettera, indirizzata al ministro della Pubblica Istruzione, pur di restare a Bologna egli promette di non occuparsi più di politica e di interessarsi unicamente alla famiglia, smentendo l'immagine di fierezza assunta con lo pseudonimo di Enotrio Romano. All'amico Chiarini, che gli aveva inviato uno scritto sulla "civiltà dei borghesi", sconsigliò la pubblicazione. In altre lettere però denunciava agli amici più fidati le perquisizioni "per cospirazioni mazziniane mai esistite" e la chiusura a Bologna della "Unione democratica" cui apparteneva.  

Dall'epistolario risulta che il Carducci aveva preso contatto coi maggiori esponenti della moderna cultura europea: da Hugo a Quinet, da Sainte-Beuve a Michelet, da Hillebrand a Pichler. Intorno agli anni '70 egli godeva già di una vasta popolarità negli ambienti letterari più avanzati di Francia, Germania, Austria e Russia. Significativa era la sua avversione al Manzoni, di cui accettava la popolarità dei Promessi sposi, ma respingeva il "convenzionalismo religioso", la "scuola della rassegnazione" e lo "stile dilavato e barocco". Alla scuola lombarda (esclusi Cattaneo e Ferrari) egli preferiva quella toscana del Niccolini (che si pose sulla scia classicista, liberale e razionale di Alfieri-Monti-Foscolo) e del Guerrazzi (favorevole a una sorta di romanticismo rivoluzionario). In tal senso Carducci aspirava alla costituzione di una "scuola dell'avvenire", i cui iniziatori erano già Heine e Hugo, ma che in Italia contava pochissimi seguaci. A Felice Tribolati, di Pisa, scrisse di essere partigiano dei Montagnardi, ma di avere spiccate simpatie per Babeuf. In un'altra lettera gli confidava di sperare molto (come il Guerrazzi) nella Russia e nelle genti slave, poiché vedeva, nelle opere di Herzen, che la rivoluzione era ormai inevitabile.  

Questa sua posizione radicale si attenua dopo il 1874, con la scomparsa dalla scena politica dei maggiori esponenti della democrazia risorgimentale, che per lui erano Mazzini, Cattaneo e Guerrazzi. Nella prolusione accademica di quell'anno dichiara di non sentirsi all'altezza di proseguire l'eredità ricevuta. Lo sconcerta soprattutto l'abbandono da parte della sinistra socialista emergente dell'interclassismo mazziniano. Nel 1878, in occasione della visita all'Università di Bologna da parte dei sovrani Umberto I e Margherita di Savoia, da poco saliti al trono, egli, colpito dal fascino di lei, compose l'ode Alla regina d'Italia, che suscitò notevoli polemiche e gli costò l'accusa, da parte di vecchi amici della sinistra, di aver abbandonato i suoi ideali "giacobini" e repubblicani per rendere omaggio alla monarchia. Tuttavia, nell'82 fu a capo delle proteste per la condanna a morte di Guglielmo Oberdan, che aveva organizzato un attentato, poi fallito, contro l'imperatore Francesco Giuseppe, che aveva alleato l’Austria con l’Italia e la Germania contro Inghilterra, Francia e Russia.  

Nonostante la breve parentesi radicale dei sonetti ça ira (1883) frutto del contatto col Michelet, il suo distacco dalla politica democratico-rivoluzionaria diventa progressivo. L'ultimo discorso antigovernativo lo pronuncia contro il trasformismo e il colonialismo di Depretis al collegio elettorale di Pisa, ove si era presentato come candidato della sinistra, ma gli elettori gli preferirono il meno celebre antagonista. Quella sconfitta confermò al Carducci la realtà politica del suo isolamento, cui si unirà la consapevolezza del proprio declino psico-fisico e intellettuale: nell'85 inizia infatti a paralizzarsi il braccio destro a causa di un grave esaurimento nervoso.  

Proprio in questi anni ha inizio il suo nuovo culto per il Crispi, giudicato degno successore di Garibaldi. Nell'87 infatti il nuovo governo presieduto dal Crispi gli offre subito una cattedra dantesca da istituire a Roma in funzione antivaticana, ma egli rifiuta sostenendo che per combattere il clericalismo occorrono "buone leggi, una savia amministrazione, rettitudine e sincerità". Tuttavia, nel 1891 accetta di tenere a battesimo (e invita il Crispi a fare da padrino) la bandiera degli studenti universitari monarchici di Bologna: cosa che gli provocò l'aperta ostilità degli studenti repubblicani e socialisti.  

Nel 1890 viene nominato senatore. In questo periodo assume atteggiamenti nazionalistici che lo portano ad aderire completamente alla politica colonialistica africana del Crispi. Inoltre, ebbe sempre sentimenti irredentistici, con i quali rivendicava la liberazione di Trento-Trieste, Trentino e Venezia Giulia dagli austriaci. Nel 1896 il Comune di Bologna gli conferisce la cittadinanza onoraria. Per quanto riguarda il suo atteggiamento verso la religione, in questi anni, pur non rinnegando il proprio laicismo, egli tende a rivalutare il cattolicesimo sul piano storico. Nel 1904 deve lasciare l'insegnamento a causa della grave malattia nervosa e il Parlamento gli vota una pensione annua di 12 mila lire (come per il Manzoni), con una motivazione che lo definiva "il glorioso poeta dell'Italia rigenerata". Nel 1906 ottiene a Stoccolma il premio Nobel per la letteratura: è il primo tra gli scrittori italiani. Muore a Bologna di polmonite nel 1907.

   

Ideologia e poetica  

La sua formazione intellettuale, in un primo momento, si basa sullo studio dei classici greci e latini, di cui si serve per criticare i tardo-romantici (Prati, Aleardi, ecc.), considerati troppo vuoti e sentimentali. I versi di Juvenilia (1850-60) sono improntati a un intransigente classicismo.  

Quando si dedica allo studio della moderna letteratura italiana, esalta Alfieri e Foscolo, lasciandosi altresì influenzare dal francese Victor Hugo e dal tedesco Enrico Heine, scrittori che univano letteratura e politica progressista. Ora il Carducci può criticare il Romanticismo abbandonando l'imitazione dei modelli classici. I versi di Levia Gravia (1861-71) attestano una maggiore consapevolezza artistica.  

La sua raccolta di poesie più importanti, culminata con la violenta reazione del poeta alle delusioni politiche degli